I MIEI RICORDI
Sono tanti i miei ricordi e vorrei poterli fissare, fermare, condividere con altri o anche solo con me stessa. Qual è il primo ricordo? Una parete di un' aula buia. Per dare luce, sulla parete qualcuno aveva dipinto un ramo di albero e un volo di rondini ma la stanza restava buia.. Era un' aula della scuola elementare che frequentavo e dove mia madre insegnava.
Si chiamava "E. Fuà Fusinato", dove E stava per Erminia. Credo fosse la moglie di un poeta, Fusinato e che lei fosse una direttrice e ispettrice scolastica.
Eravamo ospitati in un edificio fatiscente, una pia istituzione, che si chiamava " Istituto Mondragone", situato nell' omonima piazzetta nel centro di Napoli, dove, tra vicoli intricati, dal CorsoVittorio Emanuele si scendeva a Via Chiaia : due vie di signori con in mezzo un dedalo di stradine poverelle.
La scuola era pericolante, che vuol dire che poteva crollare tutto da un momento all' altro; ma la cosa veniva detta con la rassegnazione mista a una sorta di indifferenza che è tipica del popolo napoletano. Come dire" Che ce putimm' fà?" L' ho sentito dire sempre: quando ero alunna e dopo, fino a che mia mamma andò in pensione nel '73.
.L' istituto"Mondragone" ospitava pie donne, quasi delle suore ma non proprio: tra queste ce n' era una che mi preparò per la Prima Comunione. C' era anche, ospite là fin da piccola, una sordomuta, sopravvissuta al terremoto di Messina; io, terrorizzata da qualunque tipo di malformazione, avevo paura e scappavo quando vedevo questa poverina che si esprimeva con mugolii..
La scuola elementare aveva con l' istituto una specie di convenzione, per cui, dopo l'orario scolastico, una volta a settimana, noi bambine andavamo in un refettorio dove ci venivano impartite lezioni di cucito, odiavo quelle ore: punto a giorno, punto erba, punto croce; che schifezze uscivano dalle mie dita riluttanti!
L' edificio era una sovrapposizione di costruzioni: c' era un primo piano, poi un secondo che prendeva luce da un corridoio il quale si affacciava sul refettorio dove cucivamo, poi, tramite una scala tutta tornanti ( penso alle attuali norme di sicurezza), si accedeva a un terzo piano luminoso dove c' era la mia classe.
Quella di mia madre, invece, era al prima piano: lei era LA MAESTRA.. Era da tanti anni in quella scuola da potersi scegliere l' aula, in base a non so quali criteri: non era la più bella, era nel lato più fatiscente della scuola, ma a lei piaceva. Mia madre dava il "tu " alla Direttrice, perchè erano state colleghe, ma non la chiamava per nome , solo Direttrice e il tu.
Mia madre era brava, molto, le sue classi vincevano tanti concorsi, l' hanno fatta anche Cavaliere per meriti scolastici, amava gli alunni e loro l' amavano, ma urlava; anche io, negli anni seguenti mi sarei distinta per il tono stentoreo ma ricordo che appena si entrava nella scuola, si sentiva la voce di mia madre.
Ho fatto la prima elementare a tre, quattro e cinque anni; i primi due, semplicemente perchè non avendo dove lasciarmi e avendo io rifiutato, rotolandomi per terra, di frequentare l' asilo, mi portava con sè e mi faceva sedere in un banco; a quattro anni leggevo e scrivevo, a cinque, sempre trascinandomi, mi costrinsero a fare la prima regolare.
A Napoli tutti fanno la prima a cinque anni, non solo ora che si può, da sempre. Se si conosceva una maestra venivi ammessa come uditore ( tremo pensando ancora alle norme di sicurezza), poi alla fine della prima si sosteneva un esame e si andava di diritto in seconda.
Quando io feci l' esame di prima, così come quando diedi la licenza elementare, mia madre, per correttezza, uscì dalla scuola.
L' utenza della scuola era mista: c' erano figli di signori e bambini che venivano dal Pallonetto S. Lucia, un intrico di vicoli e scalinatelle che dall' Egiziaca a Pizzofalcone portava a S. Lucia; i più intelligenti di un popolo intelligente: così li definiva mia madre, perché, diceva, erano cresciuti sul mare.
La mia maestra si chiamava Carolina Rossi Bruno, gran signora, brava maestra : quando qualcuno non sapeva la lezione tirava schiaffoni che lasciavano l' impronta delle dita ( a me no perché brava e figlia di collega).
Nessuno si sognava di contestare, anzi i genitori dicevano " Signò vattitele" invitavano la maestra a picchiare i figli.; io avevo una compagna che mi chiamava " Quatt'uocchie" perché io portavo gli occhiali, ma non l'ho mai sentita come un' offesa, era un modo di definirmi.
Ai bambini poveri veniva data la refezione, cioè la merenda gratuita: panini a rosette, formaggini gialli americani e la cotognata che era una marmellata di cotogne, ma dura. La maestra divideva la refezione e la dava anche a bambini che sapeva essere poveri ma non tanto da averne diritto.
Io invidiavo molto i bambini poveri perché l' avrei voluta ma non mi spettava.
Avevamo una maestra di canto, vecchia e zoppa che si chiamava signorina Cattedra: nell' ora di canto ci insegnava l' Inno nazionale, quello di Mameli, che cantavamo nelle occasioni importanti e " Va pensiero", non ricordo altre canzoni.
La mia era una classe mista: fu l' unica della mia vita perché medie e superiori le ho frequentate dalle suore, ma questa è un' altra storia.
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