domenica 26 settembre 2010

IO PROFESSORESSA


Ognuno di noi ha un destino: io sono stata felice e fortunata, ho amato marito e figli, ho avuto una vita divertente, agiata, serena. Ho adorato la scuola e l' insegnamento e mi sono divertita tanto dal primo all' ultimo giorno dei 38 anni in cui ho svolto questo lavoro ma spesso ho dovuto sudarmelo questo piacere, guadagnarmelo superando ostacoli, accettando supplenze in posti disagiati, ricominciando da capo quando ormai da anni ero stabile in una scuola...insomma ne ho vissute di belle. Sono stata ricompensata dalla ricchezza di rapporti umani, dall' enorme campionario di vite che ho incontrato e con le quali mi sono confrontata, dal senso di avventura che mi ha sempre accompagnato e che trasmettevo ai miei alunni, quasi che ogni giorno portasse nuove scoperte, nuove sfide; quanti ricordi, volti, nomi, sembra ieri, potrei allungare la mano e mi sembra di essere là al mio primo giorno da supplente.
Quel primo giorno fu come la mia vita di insegnante; imprevedibile e un pò folle.
Nella primavera del 71, ero laureata da pochi mesi, riuscii a ottenere una supplenza di quindici giorni in un istituto tecnico: dovevo sostituire un' insegnante di francese ( allora noi laureati in lettere potevamo insegnare anche francese).
Credo, non l' ho mai conosciuta, che fosse una di quelle vecchie zitelle, fissate col registro; infatti se lo portò a casa e a me mancò l' arma primaria del potere ma ne feci a meno e questo caratterizzò tutto il mio futuro.
Mi trovai, il primo giorno della mia vita di professoressa, a dover portare una classe di ragazzi che non conoscevo e che quindi, nella folla, non riconoscevo, allo stadio Albricci, per una parata militare o roba del genere; credo che solo l' incoscienza mi salvò: non avevo assolutamente modo di individuare e controllare i ragazzi che mi erano affidati.
Quando entrammo nello stadio un soldato si mise sull' attenti e mi fece il saluto militare: lo guardai, lo riconobbi, era stato mio collega all' Università fino all' anno prima: questo incontrarci, a 23 anni, pochi mesi dopo la laurea in veste da adulti, al lavoro, ci fece scoppiare a ridere come pazzi, ma credo che ci fece anche capire che un periodo si era chiuso per sempre.
A parte quel primo giorno, quella supplenza fu come è stata quasi tutta la mia vita da insegnante: piacevole; erano ragazzi dai quattordici ai diciotto anni, quindi quelli di quinta erano di poco più piccoli di me, il francese era tanto se ricordavo quello studiato dalle suore, parlammo di vita, di studio in senso generale, delle loro e mie esperienze, dei loro e miei progetti. Erano altri tempi, l' inizio degli anni 70, non voglio nemmeno pensare a cosa andrebbe incontro oggi, una ragazza sprovveduta con una massa di adolescenti scafati, andò bene e fu bello. 
Quando, negli anni seguenti, compilavo il mio stato di servizio ( e l' ho fatto tante volte) mettevo quei quindici giorni in cima alla lista e ci pensavo sempre come a un buon inizio.

mercoledì 1 settembre 2010

Gli anni dell' Università


Da sempre, avrei voluto frequentare la facoltà di giurisprudenza, mia madre era convinta che, per una donna, l'unica professione possibile fosse l' insegnamento.Mi lavorò ai fianchi secondo il suo modo dolce, insistente ma implacabile, per tutta l' estate che seguì la maturità. Che dire, mi conosceva meglio di quanto mi conoscessi io: credetti di farla contenta e mi avviai verso quello che è stato il più grande divertimento della mia vita.
Non fu un' estate facile quella del' 65, cominciata più tardi per colpa degli esami, la maturità di allora: tema di italiano, versione italiano - latino, versione latino - italiano, versione di greco e due giorni di orali con tutte le materie dell'anno più degli argomenti degli anni precedenti. Se ne usciva stremati e, se fortunati, promossi a giugno. Io finii gli esami il 23 luglio fui promossa e poi, Vico, ma l' estate già iniziata, la stanchezza, non ero al massimo della forma.
Due anni prima avevo avuto la prima grande cotta, quello che si dice " il primo amore non si scorda mai"; ricordo la data con assoluta precisione:  21 aprile 1963,  festa a casa di un' amica per il suo compleanno, un ragazzo bello, grande, 23 anni mi invita a ballare, la canzone era " Io che amo solo te" di Sergio Endrigo, credo che la mia ingenuità di sedicenne lo spingesse a scherzare con me, credo che si dichiarò o per scommessa con gli amici o altro; dopo l' intervallo dell' estate, durante il quale ci fu anche una storia con un ragazzo a Vico, al ritorno a Napoli ci mettemmo insieme che equivaleva vedersi una volta ogni tanto e sbaciucchiarsi in auto. Si innamorò anche, per un poco, ma era donnaiolo di natura e dopo pochi mesi mi lasciò: soffrii come un cane, pagine e pagine di diario, confidenze con chiunque volesse ascoltarmi; .lui continuavo a vederlo, studiava per gli esami all' università con la mia amica del piano di sopra che ne era innamorata, riuscì anni dopo a sposarlo, fu cornificata a vita e, nonostante tre figli finirono col divorziare.
Sta di fatto che nell' estate dopo la  maturità, il bel tipo, per il quale io avevo sparso lacrime l' anno prima, si presentò a Vico, una sera, mi portò a ballare, ci sbaciucchiammo ballando " lenti", alla fine della serata mi annunciò che era fidanzato con quella del piano di sopra e che era una cosa seria, fu come una vaccinazione, me lo tolsi dalla testa: quante volte nella vita ho pensato a quanto sono stata fortunata io e, forse, sfortunato lui che capitò con una donna gelosa e possessiva ma lui era di quelli che il vizio di tradire se lo portano per sempre.
Alla fine dell' estate i miei mi lasciarono la casa a Vico libera e una mia amica più grande di me per tenermi d' occhio; in realtà ci divertimmo come due pazze, con una terza ragazza, mia compagna di scuola che ci raggiunse. La  mia amica in quei giorni di settembre-ottobre conobbe quello che ancora oggi è suo marito, io avevo l' illusione di sentirmi grande e libera e prolungammo le vacanze fino a ottobre inoltrato. Poi il ritorno a Napoli, l' iscrizione alla facoltà di lettere e l' inizio dei più pazzi e begli anni della mia vita.
Allora, quando si arrivava da matricole all' università c' erano gli studenti anziani, generalmente quelli di legge, parecchio più grandi che sottoponevano noi ragazze a tormenti di ogni genere, prima di rilasciarci il famigerato " papiello" un lasciapassare che attestava che avevi passato il loro sbarramento ed eri stata ammessa; una cerimonia simile  si svolgeva, generalmente sotto forma di festa , in casa, dove amici più avanti negli anni ,  prossimi alla laurea facevano una specie di processo, c'era un avvocato che si appellava alla clemenza della corte, noi malcapitati prendevamo in testa uova usate come shampoo, farina, poi alla fine, veniva redatta e letta questa pergamena nella quale si era coperti di insulti e poi si era ufficialmente ammessi a far parte del mondo universitario.
L' Università, dal punto di vista dell' organizzazione e dello studio, non l' ho mai amata: ero troppo abituata ad uno studio guidato, per cui sono rimasta sempre un pò disorientata dal fatto di dover gestire da sola la preparazione degli esami, generalmente mi riducevo agli ultimi giorni, mettevo la sveglia ad orari tremendi come le cinque di mattina, studiavo poco e male, a volte al momento dell' esame sentivo di non essere preparata e lo rimandavo. Mia madre implorava che almeno facessi due esami a sessione; nel complesso senza prendere voti eccelsi, riuscii a laurearmi in quattro anni e due sessioni e  anche con 110 come voto di laurea.
Per quanto riguarda il divertimento fu tutta un' altra cosa: una vita che chiamarla senza regole è anche poco: era tutto un organizzare feste, cene fuori, dancing ( le discoteche di allora). C' erano giorni in cui uscivo la mattina e ritornavo a notte fonda. Avevo due amiche: Paola e Anna e insieme organizzavamo uscite, ognuna presentava alle altre i suoi amici e formavamo comitive imprevedibili e improbabili.
Io, alle feste ero usata per adescare ragazzi grandi con auto; ballando proponevo di andare tutti, la sera dopo in un locale: generalmente il poverinodi turno acconsentiva pensando di aver fatto un" acchiappanza", come si diceva a Napoli. La sera dopo si andava nel locale stabilito e gli altri amici mi facevano " muro " intorno, cioè anticipavano qualunque avance del ragazzo incastrato; però l' espediente serviva quando ci era necessaria una macchina in più. Ricordo una sera in cui tre nostri amici dell' Università con cui avevamo molto legato, ad una festa, credo ubriachi, fecero pipì da un balcone in piazza Cavour, con la gente che li guardava da sotto.
Ricordo una sera in cui a Napoli nevicò ed io ero con un ragazzo, carino, un amico: ci mettemmo a correre sotto la neve al Vomero e ci baciammo là, davanti a tutti. Facemmo amicizia con dei cadetti dell' Accademia di Pozzuoli; uno di loro per mesi mi fece una corte assidua, balli lenti, baci, promesse di lettere; poi, dopo il servizio militare, tornò a Roma e seppi che là aveva la fidanzata: quello che lui non seppe mai era che come lui mi aveva usato, lo avevo usato anche io: se ci ripenso ora eravamo abbastanza ciniche, ci interessava divertirci e basta. Una sera a casa di Paola bevemmo come spugne; mi riaccompagnò un ragazzo che dovette aiutarmi per dieci minuti per infilare la chiave del portone nella toppa; a casa vomitai tutta la notte, fu la grande e credo unica sbronza della mia vita.
 In primavera, uscivamo da casa col costume da bagno in borsa, andavano a lezione e poi a mare a Mergellina al Sea Garden, furono anni bellissimi. Nel frattempo, nel 68 ci fu la contestazione e l' università venne occupata. Della contestazione e dell' occupazione ho un unico ricordo preciso: una mattina, nel cortile della Minerva si tenne un' assemblea che durò ore, parlava un certo collega Troia; il punto su cui verteva l' assemblea era quello di votare una mozione. La mozione era quale posto dovessero occupare, rispetto allo scalone quelli che votavano a favore della mozione e quale quelli che votavano contro. Due anni fa, quando ho visto il film " Mio fratello è figlio unico" qualche scena mi ha ricordato quel lontano episodio. Noi diventammo politicamente impegnati dopo il 70.
L' estate del 70, quando mancavano pochi mesi alla laurea, all' arrivo a Vico, vidi Vittorio Siravo, un amico di mia sorella di due anni e mezzo più giovane di me, quindi mai considerato prima , notai che si era fatto crescere la barba e pensai che era proprio carino. Quell' estate stessa ci fidanzammo, anzi ora, mentre sto scrivendo sono giusto 40 anni . Era la sera del 30 agosto 1970: eravamo andati a mangiare una pizza tutti insieme; all' uscita della pizzeria, forse con una birra bevuta di troppo, scommettemmo di baciarci, ci baciammo e fu per sempre. Ci sposammo cinque anni dopo, appena si laureò in ingegneria e stiamo ancora insieme.
Il 27 novembre del '70 mi laureai; per fare presto avevo chiesto una tesi in storia dell' arte, con un professore che, la dava senza fare storie, non ti seguiva nè ti faceva seguire da assistenti, poi il giorno della discussione, di solito non dava voti in più. Io scelsi come titolo:" Il Fansago scultore".
Cosimo Fansago è stato un architetto barocco, forse il più importante a Napoli, pur essendo nato a Clusone, vicino Bergamo; io dovevo occuparmi solo delle parti scultoree delle sue opere. Tra visite in biblioteca, appunti, stesura e battitura della tesi impiegai meno di tre mesi. Il giorno della seduta di laurea ero nervosissima perchè partivo dalla media del 27 e si sapeva che il professore non dava voti. Non volli nessuno della mia famiglia, tranne Vittorio e mia sorella Pina che piombò all' improvviso e non ebbi il coraggio di cacciare. Sarà che forse la tesi era carina, anche perchè, di mio, ci avevo aggiunto un capitolo finale che oggi si direbbe di " gossip" cioè: " Il Fansago nel giudizio dei suoi contemporanei ", sarà che mi espressi bene e con vivacità, il professore mi diede undici punti e mi laureai con 110. Telefonammo ai miei genitori perchè venissero per la proclamazione, ma arrivarono appena dopo; mia madre me lo ha rinfacciato per sempre.
Da quel giorno finiva un pezzo della mia vita e cominciava quella che forse per me è stata l' esperienza più bella, divertente importante: l' insegnamento.
Gli anni dal '66 in poi furono quelli dell' Università e del divertimento alla grande: anni di follie che allora ci sembrarono trasgressive e che erano, tutto sommato, innocenti.
Nel frattempo arrivò il '68 e, accanto al divertimento ecco l' impegno,
Del '68 all' Università mi resta un ricordo preciso: una mattina intera a votare una mozione proposta dal collega Troia ( nome che era già un programma).
Si trattava, in breve, di come si dovessero votare le mozioni: se per alzata di mano o se ci si doveva spostare sulla destra o sulla sinistra dello Scalone della Minerva a seconda se si era favorevoli o contrari.
E' chiaro che il '68 fu molto più di questo ma qualche anno fa vedendo il bel film " Mio fratello è figlio unico " ho ritrovato anche quel tipo di atmosfera.
C' era poi il Cineforum, tutti ci andavamo.
A Napoli il principale e più bello era tenuto da un gesuita: Padre Casolaro. Era assolutamente laico e frequentatissimo.
Vedemmo tutto Bergman, vedemmo tutto Bunuel (ricordate " La Via Lattea " e " Nazarin"?)
Parlo per paradossi ma, generalmente, il film era impegnato e importante quanto meno risultava comprensibile: bisognava soffrire!
Ricordo un film ungherese o polacco in lingua originale con sottotitoli bianchi su sfondo innevato; ogni tanto un albero, qua e là, ci permetteva di leggere qualche parola.
Scoprimmo, è vero, Roman Polanski ( Cul de sac ) e film meravigliosi come " Elvira Maddigan" e " Messaggero d' amore " di Losey, opere che la televisione non passa mai e che mi regalarono il gusto del cinema che ho cercato di trasmettere con il mio Cineforum ( più allegro ) per tanti anni ai ragazzi a scuola.
Nello stesso periodo cominciarono le serate di autocoscienza: si parlava, si leggeva, si dividevano le persone in" quelli di destra " e " quelli di sinistra" tramite divisioni rigide che, in massima parte oggi ci accorgiamo essere frutto di stereotipi.
Dal punto di vista cinematografico ci sdoganò, che Dio lo benedica, Woody Allen e il suo " Dittatore delle stato libero di Bananas ", il primo film che arrivò in Italia anche se non il primo in ordine cronologico.
Lo vedemmo il un cinema d' essai che si chiamava " No" e scoprimmo che si può ridere da morire e vedere, nello stesso tempo, film intelligenti e " impegnati"
Il divertimento non impegnato era, soprattutto, andare a ballare.
Prima c' erano i " balletti", le feste in casa: mangiadischi, lo sfigato di turno che li cambiava ( i dischi ), buffet allestito nel salotto bello, madre- padrona di casa che faceva capolino nemmeno troppo discretamente.
Poi crescemmo e all' Università o già all' ultimo anno del liceo si andava nei " locali".
Erano dancing, nigth- club, poi, ma molto più avanti, si cominciarono a chiamare discoteche ma non come quelle di oggi.
Nei night-club veri e propri non credo che andassimo: costavano ed era roba di lusso per gente più grande.
Nei dancing, generalmente, la musica era dal vivo: si bevevano i primi alcolici; a me piaceva un cocktail che si chiamava Alexander; mi faceva sentire adulta e raffinata: cognac,cacao, crema di latte, mi sembra di sentirne ancora il sapore.
In genere si andava in comitiva, si ballava lo shake e poi, i meravigliosi lenti.
E quando ti invitava un lui che ti piaceva, il lento era solo un pretesto.
Alcuni locali avevano musica nel sottofondo: erano dischi ma non ricordo che le chiamassimo discoteche, sempre " locali ".
Mia madre ( e io godevo di eccezionale libertà ), per un certo periodo diffidava di questi posti a meno che non vi si svolgessero MAK PI 100 ( che si dovrebbe scrivere col P greco ) quelle feste che ogni classe organizzava l' ultimo anno del liceo.
Sono state le uniche bugie della mia vita: andavo a ballare il sabato sera e inventavo inesistenti feste scolastiche; poi non ci fu più bisogno di mentire, si abituarono.
Ne ricordo due di locali: " I Damiani " e lo " Stereo club".
Il primo era un vero e proprio dancing con musica dal vivo: era elegante, forse esiste ancora chissà!
Si trovava fuori Napoli: quando io e la mia amica Paola eravamo senza maschi passabili la nostra ultima spiaggia erano due ragazzi, Gino e Antonio.
Col senno di poi credo fossero gay; li ho sempre visti insieme, non avevano ragazze fisse, erano disponibili, cavallereschi e gentili, non tentavano avances.
Ridevano e facevano battute alla Jack Lemmon ma erano carini, simpatici e per un sabato di ripiego, passabili.
Non ricordo quando scomparvero dalla nostra vita e ignoro che fine abbiano fatto.
Generalmente si andava in molti con gente conosciuta a feste mescolata ad amici cari; c' era spesso il tipo nuovo che attraeva e là il " lento " assolveva meravigliosamente alla funzione per la quale, credo, era stato creato e rodato.
Lo " Stereo Club " era in centro, al Parco Margherita, una via elegante; vi facemmo la nostra festa di fine liceo.
Questo locale lo collego ai cadetti dell' Accademia aeronautica di Pozzuoli; un periodo facemmo amicizia con un gruppo di AUC ( allievi ufficiali di complemento ), facevano il servizio militare.
Andavamo in questo locale tutti i sabati: uno dei ragazzi mi fece la corte e usammo i " lenti " per il loro scopo.
Alla fine partì con grandi promesse di lettere e appuntamenti, poi seppi che a Roma aveva la fidanzata; non soffrii per niente, ci eravamo romanticamente usati a vicenda, fortunatamente, dati i tempi, senza danni.
Che anni, ragazzi, che serate godute, gustate, ballate, bevute, vissute, assaporate.
Che senso meraviglioso di libertà e di promesse d' amore gli anni '66, '67 e seguenti!
Ci sentivamo adulti e tremendamente sofisticati ma penso, almeno per quanto mi riguarda, che fossimo teneramente e irrimediabilmente innocenti!