sabato 5 giugno 2010

La scuola media e il liceo


Fino al '6o -'61, dopo l' esame di licenza elementare, se si voleva accedere alla scuola media, quella con il latino, bisognava sostenere l' esame di ammissione. Era difficile, bisognava portare un programma che comprendeva tutte le materie studiate alle elementari, inoltre un certo numero di poesie e brani di prosa a memoria e alcune biografie di personaggi famosi.
C'era un primo giorno di scritti in cui si svolgeva un tema, un altro dedicato alla matematica e poi gli orali. Tutto avveniva presso la scuola media nella quale ci si sarebbe iscritti e si veniva esaminati dai professori delle medie. Se non si passava, si andava alla scuola di avviamento professionale al lavoro, una specie di serie B. Mi preparò mia nonna, quella milanese, la mamma di mia madre, insegnante anche lei, che, avendo un cognome diverso dal mio, poteva firmare il programma da presentare. Mi avevano iscritto in una scuola pubblica; ma quell'anno, a causa dell' elevato numero di alunni e dello scarso numero di scuole, iniziarono ( e sarebbero durati quasi 20 anni ) i tremendi doppi turni: si andava a scuola per tre giorni di mattina e tre di pomeriggio e altrettante classi facevano il contrario; di conseguenza ogni scuola poteva contenere un numero doppio di alunni. Conciliaboli in famiglia, la nonna promise il suo aiuto economico, io sostenni l' esame di ammissione, brillantemente,  presso la scuola statale e poi fui iscritta in un prestigioso istituto privato di suore francesi che mamma, zie e nonne di entrambi i rami della famiglia avevano frequentato da piccole
Ho amato molto quegli anni,  ma non ho mai perdonato a mia madre questa sua incoerenza: da una scuola normale, dove c' erano i bravi e gli asini, i ricchi e i poveri,  il figlio del medico e la compagna che mi chiamava " Quattr' uocchie",  mi trovai in un ambiente rarefatto, frequentato dalla nobiltà napoletana. Noi eravamo una famiglia di origine elevata, ma di condizioni economiche normali, con una domestica, una casa di tipo borghese, di cinque camere e accessori e io, di colpo mi trovai a dividere il banco con figli di principi, conti, grandi industriali, una casta dove sembrava che tutti conoscessero tutti, da sempre.
Non provai alcun tipo di disagio, allora;  il mio rendimento scolastico era molto alto e le compagne gentili nei miei confronti , le occasioni di vedersi fuori scuola erano poche: a quei tempi, d' inverno si stava a casa e si studiava. Era in estate, durante le lunghe vacanze al mare che cominciavano a giugno e finivano a settembre, che godevamo di più libertà;  si usciva a Vico con gli amici della " comitiva",  tutti ragazzi che i nostri genitori conoscevano benissimo perché figli di loro amici.
In realtà il senso di aver perso irrimediabilmente qualcosa, il chiasso, i primi scioperi,  la casualità, lo specchio della vita che è la scuola pubblica,  pur con tutti i suoi difetti e le sue carenze, l' ho avvertito dopo, quando ho insegnato a mia volta. Credo di averla goduta fino in fondo e amata tanto proprio per questo. perché mi era mancata negli anni dell' adolescenza.
A " Maria Ausiliatrice", così si chiamava la scuola, le pareti erano tinteggiate di un pallido verde, colore scelto perché riposasse la vista;  al mattino, prima delle lezioni, mettevamo il velo e si andava in cappella per la preghiera;  entravamo divise in due file e ci si inginocchiava e ci si rialzava al suono di una piccola nacchera di legno che la suora faceva schioccare, poi le ore di scuola,. Una volta a settimana, la messa, dopo la quale si andava in refettorio a fare colazione con latte e cioccolato con brioche. Ogni mattina, in classe veniva dato un quadernetto dove, chi voleva, segnava la merenda preferita per l' ora di ricreazione ( in genere pane e prosciutto o pane e salame, una barretta di cioccolato); durante l' intervallo venivano distribuite dalle bidelle: ogni classe il suo cestino.
Avemmo sempre insegnanti eccellenti, le suore erano moderne e disponibili al colloquio; nonostante ciò quel meraviglioso senso di caos che la scuola pubblica ti regala,  mi è mancato. Eravamo comunque paganti e, per questo stesso,  necessitavamo di cure particolari.
Ogni quindici giorni veniva data,  a chi aveva voti alti una spilla: " la decorazione",  blu se non avevi 10 in condotta, rossa se lo avevi. Alla fine del trimestre chi aveva ottenuto tutte decorazioni rosse aveva un fiocco rosso con una croce che si chiamava" croce di eccellenza " e veniva ostentata sulla divisa per tutto il trimestre successivo. I miei voti erano alti, come disciplina lasciavo molto a desiderare: credo, forse di averla avuta,  in otto anni,  una volta e basta.  Portavamo una divisa che era cucita in una delle migliori sartorie di Napoli:  gonna blu con piegone davanti, camicetta bianca, pullover a giro collo blu d' inverno, cardigan blu in primavera, scarpe blu, tutte dello stesso modello e uno scamiciato azzurro che faceva da grembiule e, credo, al liceo non portammo più. Alla fine del trimestre ci si riuniva nella cappella dell' edificio vecchio e, alla presenza di professoresse, suore, madre preside e madre superiora, venivano chiamate una per volta, le prime della classe in ogni materia. Alle medie, tranne che in ginnastica, io ero prima in tutto; al ginnasio, fortunatamente,  rientrai nella norma. Non che studiassi molto, anzi, mi veniva facile, avevo memoria ,  in poco tempo facevo i compiti e, se potevo, aiutavo. Durante tutto il liceo ho sempre svolto,durante il compito di italiano in classe tre temi :  il mio e due per delle mie compagne dietro che aspettavano con pazienza che venisse il loro turno.
Ero simpatica alle altre, non perché fossi brava,  ma per la mia fantasia inesauribile nell' organizzare scherzi e burle innocue di ogni tipo. Da piccola ero stata una bambina timida e piena di paure, l' adolescenza me le tolse tutte.
A fine anno c' era la festa,  il 24 maggio, il giorno di Maria Ausiliatrice. Iniziava con la messa alla fine della quale si cantava l' inno " A toi mon coeur, Marie Auxiliatrice", poi si preparava la " kermesse"; ogni classe organizzava un suo banco di vendita,  giochi a premi,  pesche di beneficenza:  i biglietti erano acquistati da genitori e parenti indulgenti e generosi,  il ricavato andava ai poveri. Una ragazza : Anna M, di grande famiglia, bella e dolce che ora è anziana e molto malata, suonava la chitarra: cantava sempre " Lisbona antica", un anno cantò: " Non arrossire";  le suore si mostrarono sconvolte dall' audacia del testo.
Iniziavano i primi scioperi,  gli alunni del vicino liceo scientifico " Mercalli ", un anno tentarono un assalto alla scuola per convincere noi ragazze a sfilare: le suore, da sopra i muri, li cacciarono a scopate.
Quando, anni prima, mia mamma aveva frequentato la stessa scuola, le suore erano tutte francesi,  negli anni 60 ne erano rimaste poche:  Mère Marie Agathe, vecchissima e rossa di capelli, che chiamava tutte noi " mon petit",  Mère Marie Josephine che era la maestra di canto e aveva un metodo tutto suo per decidere se eri intonata o no, le altre tutte italiane. Anche tra le suore c' era la graduatoria:  quelle che insegnavano erano Madri, quelle addette a servizi manuali erano suore.
Pochi anni dopo la mia maturità, la scuola chiuse per carenza di vocazioni: le ultime tre madri rimasero a vivere insieme, una di loro, pur rimanendo suora, riprese il suo nome da laica e continuò a insegnare matematica e fisica nelle scuole statali.
Quando insegnava a noi era giovane, noi la vedevamo già adulta :  la chiamavamo " Monaca di Monza" perché ci interrogava con curiosità insistente sui nostri primi amori...chissà!
Avevamo anche insegnanti laiche, tra le quali alcune bravissime che poi passarono alla scuola statale: al ginnasio avevamo una professoressa di lettere della quale dicevamo " E' una vecchia zitella "; aveva 25 anni...
Io, a volte, andavo a studiare da compagne: case principesche, servitù in livrea, un mondo sconosciuto che non mi imbarazzò mai, ma che non cercai mai di condividere, come facevano altre del mio livello che cercavano di farne parte. Con la fine del liceo decisi di ritornare al mondo normale a cui ero abituata e ruppi, semplicemente, qualunque rapporto.
In quarto ginnasio eravamo 32, arrivammo in terza liceo in 18. La nostra, essendo l'unica terza, veniva associata alle terze del vicino liceo " Umberto", il liceo statale della Napoli bene. Molte delle mie compagne erano fidanzate con ragazzi che avrebbero sostenuto l' esame con noi:  alcuni si sono sposati e dei matrimoni continuano ancora.
Io ero tra le migliori e iniziò la caccia ad accaparrarsi le brave per studiare insieme: io studiai con Grazia L.; sua madre era principessa, suo padre conte, quando studiavamo a casa sua era una goduria per me il fatto che il cameriere ci servisse la colazione a letto, più complicato era a pranzo, quando il cameriere veniva di lato e io dovevo servirmi dal piatto di portata. Quando era lei a venire a casa mia, mi rendevo conto che non c' era confronto, ma la cosa non mi disturbava più che tanto; la nostra era una differenza economica più che di nascita, essendo la mia famiglia una delle più note a Napoli,  io poi non avevo incertezze; credo di non essermi mai, nella vita, sentita inferiore ad altri, diversa ma mai inferiore. Qualche anno fa ho parlato con una compagna di classe che vive anche lei a Milano, anche lei di grande famiglia con quei cognomi che non finiscono mai e le ho chiesto che ricordo avesse di me, da ragazza;  mi ha risposto che mi invidiava perché sembravo non aver paura di niente: forse era semplice sicurezza in me, nelle mie capacità, l' annettere importanza alle cose che veramente contano. Finiva che, forse per reazione, ero io ad essere, seppure cordiale, distaccata e come superba nei loro confronti.
Quando studiavamo per la maturità, quella di tanto tempo fa, con quattro scritti e tutte le materie orali," si facevano le nottate", era quasi un rito di iniziazione  studiare la notte, un segno tangibile dell' esame di maturità.
Mio padre, che Dio lo benedica, ci procurava le sigarette: fumavamo le Mercedes quelle nel pacchetto piatto, da dieci. Mio padre era anticonformista, ci ha regalato la libertà in anni in cui nessuna ragazza era libera...a Napoli, poi.
Per la festa di fine anno scolastico prenotammo un nigth club sofisticato, invitammo le insegnanti ( quelle laiche), chi aveva il fidanzato, lo portò. So che in quello stesso locale hanno festeggiato il ventennale e il trentennale: io non sono mai andata. Era gente che si apparteneva, frequentavano le stesse feste, si sposavano tra loro, erano soci del Circolo dell' Unione, dalle cui sale si accedeva direttamente ai palchi del S. Carlo, senza andare in strada...semplicemente non sentivo mio quel mondo.
Nei primi anni di Università, quando la contestazione esplose, le più arrabbiate erano loro, le trovavi sempre a volantinare, in prima fila nelle assemblee, vissero anche quello come un gioco, senza mai abbandonare la loro casta.
Ho rivisto qualcuna di loro, ho risentito Grazia poco tempo fa: da giovani si è duri nei giudizi, avevano un bel ricordo di me, migliore, forse del mio nei loro confronti.
La maturità venne e passò, una delle compagne in autunno si sposò, ci disperdemmo, cominciarono gli anni folli e divertenti dell' Università.

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