domenica 28 novembre 2010

GLI ALUNNI CHE NON CI SONO PIU'



Ho avuto tante classi, a Napoli e a Milano e non ho mantenuto i contatti con tutti, di tanti conosco storie, ho seguito la vita, altri li ho persi di vista, sono figure, nomi che non ricordo più, volti rimasti impressi  nell' espressione che avevano da ragazzi.
Di tre, però, so che sono morti, tutti e tre di Melito, il paese dove ho insegnato per più di dieci anni, prima di venire a Milano e dove ho lasciato una parte del mio cuore.
Franco entrò nella mia vita nel '78, ripetente, aveva frequentato tre volte la prima lo chiamavano " capellone" aveva i capelli biondi e lunghi, un' infanzia difficile alle spalle, un padre che era stato in carcere, era un predestinato: violento, strafottente, incapace di fermarsi anche solo per pochi secondi, forse tanto indurito dalla vita da essere incapace anche di affezionarsi.
Fu un rapporto di odio- amore, il nostro: le tentai tutte, con lui, le lusinghe, i castighi, le convocazioni dei genitori; .nulla servì a nulla.
 Era  irridente, irriverente, bugiardo, blandiva e poi colpiva alle spalle, non riuscì mai a combinare niente di costruttivo.
Lo promuovemmo in seconda e ricominciò; una giornata con lui in classe era un inferno, tormentava i compagni,  non svolgeva i compiti assegnati nè a casa nè a scuola, durante il secondo quadrimestre si calmò, ma poco, io speravo, cominciò, a volte a studiare una paginetta di storia o di geografia, qualche volta a imparare, quando gli andava a genio, una mezza poesia.
In terza, venne costruito il nuovo edificio scolastico fuori paese, bello,  spazioso, col teatro. Io fui assegnata là e cambiai sezione, accadde l' inevitabile, senza il mio freno ruppe ogni argine: chiamò "ricchione" un professore, scappò dalla finestra della classe.
 Pur di liberarsene, gli chiesero di non andare più a scuola, se non per sostenere gli esami, e gli garantirono la promozione.
Anni dopo, ebbi nel mio corso il fratello minore, bravo ragazzo, tranquillo, con un fondo di bontà che il maggiore non aveva; voleva imitare il fratello e fare il bullo, ma non gli riusciva proprio, eppure Franco veniva a trovarmi; col pretesto di chiedere notizie del fratello minore, veniva a fare la sua " sceneggiata" in classe atteggiandosi a delinquente, lo era, ma di mezza tacca, nemmeno in quello emerse.
Quando venni a Milano, seppi che c' era stata una sparatoria nella piazza del paese da cui era uscito incolume; morì a 32 anni, alcuni dicono per overdose, altri per abuso di alcool,  fu una morte silenziosa e mediocre, conclusione di una vita sprecata.
Spesso ho pensato a sua madre, si era sfiancata lavando scale tutta la vita, lo aveva viziato e rovinato contentandolo in tutto o forse si nasce in un modo; il fratello aveva avuto la stessa partenza e uscì meglio di lui..
 Io gli volli bene, tanto, e la sensazione di impotenza mi accompagnerà, anche in questo caso, per sempre.
Luigi era bello, dolce aveva uno sguardo sincero, onesto, era un bravo ragazzo forse non uno studente eccellente, ma sicuramente affidabile e educato.
Per uno strano motivo mi ricordava mio nipote e per un altra stranezza, vederlo, parlargli, mi dava una sorta di tenerezza, come una stretta al cuore, il desiderio che nella vita fosse felice, chissà.
Qualche anno fa, ormai adulto, so che andò a fare un viaggio in India, contrasse una malattia tropicale, tornò a Napoli, fu ricoverato e curato; si era ripreso, a Capodanno volle uscire per il Veglione, ebbe una ricaduta. Finì così, una morte stupida e inutile; so che la madre è come impazzita, lo ricordo sempre con quegli occhi grandi e sinceri e il sorriso buono.
Giovanni mi ha insegnato che non ci si lascia mai con rancori in sospeso; dopo, sempre, a costo di chiedere scusa io ad un alunno,  non ho lasciato mai che si finisse la scuola e poi, incontrandosi, non ci si salutasse.
Era figlio di due insegnanti, ora i genitori sono morti;  lo trovai in una classe, tutta maschile, dove andai quando, costruita la scuola nuova, lasciai la classe di Franco e fui trasferita là.
Giovanni era bravissimo in italiano scritto, per il resto era di livello medio-alto;  fu un anno difficile, credo l' unico della mia vita in cui sia stata veramente tesa, in cui non sono riuscita a stabilire con la classe un rapporto sereno.
 E' vero che con le classi maschili era più difficile, dall' anno seguente ci furono le classi miste e tutto andò meglio; io alternavo nei banchi maschi e femmine e alla fine del triennio si è sempre creato un vero cameratismo.
Fu un anno durissimo; alcuni ribattevano alle mie proposte con tono, a volte canzonatorio, a volte supponente; ebbi bisogno di molto sforzo per mantenermi calma e all' altezza della situazione.
Si arrivò agli esami prima gli scritti, poi gli orali.
Agli esami, per una serie di circostanze Giovanni ebbe" distinto ". e non " ottimo" come si aspettava.
 Negli anni seguenti, entrava, a volte, in classe e affettava di non vedermi o di non conoscermi;  più volte fui tentata di fermarlo in strada per spiegargli come fossero andate le cose, ma rimandavo, mai si deve fare questo.
Non ci parlammo per chiarire e il tempo passò.
Da un momento all' altro decidemmo di trasferirci a Milano per il lavoro di mio marito e non lo vidi più.
L' anno dopo, erano passati quasi dieci anni da quella licenza media, seppi che Giovanni era morto in un incidente stradale, di notte, tornando a casa, le morti del sabato sera; aveva poco più di vent' anni, forse ventidue.
L' unica cosa buona che feci e che mi scaturì dal cuore,  fu quella di scrivere una lettera ai genitori, parlando solo di lui, del suo carattere, dei suoi pregi, della sua intelligenza e sensibilità; mi risposero con una lettera molto cara e seppi, dal mio collega di matematica  che  nel loro disperato dolore, mostravano a tutti quella mia lettera come testimonianza di affetto di una ex professoressa.
 Io rimasi con il mio rimorso, avrei voluto che il tempo potesse tornare indietro per parlargli, chiarirci, spiegarmi , è stata una delle più grandi lezioni della mia vita, spesso  mi è capitato di pensare a lui e alla sua vita spezzata troppo presto, ma, lasciarmi male con un alunno, questo non mi è capitato più.

domenica 21 novembre 2010

IL " PICCOLO " LIVIO



A Colli a Volturno la scuola era ubicata nel vecchio carcere del paese.
Nel Sud non ho quasi mai insegnato in scuole nate per essere scuole: ex ospizi, ex carceri, civili abitazioni.
I ragazzi venivano tutti da frazioni vicine, avevano zoccoli ai piedi, c' erano ancora i banchi quelli neri col piano inclinato e il buco per l' inchiostro; la sala professori era una cucina con caminetto al primo piano, le aule invece, nei sotterranei, quando pioveva si allagavano.
Le ragazze erano, generalmente più civili dei maschi,  parlavano un misto di italiano e molisano; c' era la figlia del macellaio, benestante, che mi offriva ospitalità quando dovevo trattenermi fino a sera per i consigli; mi invitavano a pranzo e mi rimpinzavano di carne, a me non piace la carne.
 Dormivo con la sorella maggiore della mia alunna: si chiamava Dea, aveva una grave malformazione cardiaca e di notte respirava con affanno, io avevo paura che stesse male.
Il piccolo Livio, che piccolo non era perchè più volte ripetente,  era all' ultimo gradino di una classe di disperati..
I genitori erano contadini alcolizzati, lui era disinteressato a tutto, aveva la rassegnazione dentro e la sfogava in mille dispetti, aveva pochi abiti e stracciati; credo di non avergli mai visto un cappotto e d' inverno faceva freddo.
 La povertà, nei ragazzi, io non l' ho mai sopportata, con il mio primo stipendio mi inventai un concorso, una lotteria, non ricordo più cosa e gli comprai una quantità di roba: camicie, pantaloni, pullover, l' ho fatto anche nell' ultimo anno in cui ho insegnato.
Ho una foto, in bianco e nero di me, ragazza, snella e tanto giovane e lui, piccolo, smunto, con un occhio un pò più chiuso dell' altro, ma finalmente sorridente, con un' aria perbene, quasi fiera.
Ho insegnato solo un anno in quella scuola e gli ho dato poco, per tutta la vita, in seguito, ho sempre lottato come una disperata per convincere qualunque ragazzo che la cultura avrebbe potuto farlo uscire, anche solo mentalmente, da un pantano di niente, ho proprio dato l' anima per questo e spesso ci sono riuscita e quando non ce l' ho fatta mi sono sempre sentita fallita; con lui non ci fu il tempo.
 Riuscii a dargli qualche panno nuovo e l' illusione che qualcuno, per un pò, si interessasse a lui;.
Spesso ci ho pensato, aveva 15 anni, ora, se esiste da qualche parte, ne ha più di 50, non aveva nessuna chanche, ma a volte mi ricordo di  lui e mi viene la rabbia di non aver potuto fare di più.