mercoledì 16 giugno 2010

La famiglia, l' infanzia...Vico...


Io sono nata nel 1947, non posso ricordare la guerra  ma ricordo il dopoguerra; l' Italia che si vede oggi nei film in bianco e nero degli anni 50.
Dai miei so che sono nata nella casa del nonno paterno, al Corso Vittorio Emanuele. Non la ricordo, ma era quella dove i miei nonni paterni,con i loro dodici figli avevano abitato per una vita. Sullo stesso pianerottolo c' erano i cugini Barendson, cugini due volte perché mia nonna Eva Barendson aveva sposato mio nonno Tito Gambardella e la sorella di lui aveva sposato il fratello di lei.
 Era una grande casa, circa dieci camere; quando papà, al ritorno dalla prigionia, conobbe e sposò mamma, lei frequentava la famiglia come amica di mia zia Elia, sorella di papà, che era e restò sempre signorina.
Gli altri figli erano sposati e vivevano altrove: sembrò naturale che la nuova coppia restasse col nonno; mia madre era molto legata al suocero, felice di vivere in una famiglia dove i figli in visita riempivano la casa, per lei abituata da sempre a una vita a tre : lei, sua madre e sua sorella.
C' erano, amici, cugini che andavano e venivano, grandi tavole apparecchiate, sempre un' atmosfera festosa.
Quando nacqui io, che avevo il nome della nonna che non c' era più,  ci fu grande felicità, anche se c' erano già altri nipoti, ero la prima a chiamarsi Eva.
Quando ebbi un anno e mezzo il nonno morì e gli equilibri saltarono : il nonno era stato un grande avvocato, ma crescere dodici figli dei quali molti, tra i maschi, con sindrome da Peter Pan, non era stato facile ; di tanta abbondanza restava la casa. Mamma supplicò invano di poterla riscattare pagando un pò alla volta le quote agli altri...niente da fare, alcune mogli di fratelli vollero realizzare subito, la casa fu venduta.
Noi andammo in affitto, o meglio, in subaffitto al 440 del Corso Vittorio Emanuele: era un palazzo antico con scale, androni, terrazze, poi altre scale. Abitammo per quattro anni presso una famiglia composta da padre anziano e tre figli, un maschio e due ragazze. La casa era divisa in due, credo cucina e bagno in comune; era il dopoguerra, loro avevano bisogno di arrotondare, noi di una casa.
I miei primi ricordi risalgono a quegli anni: d' estate non si andava in vacanza, si andava con la Cumana a fare i bagni a Torregaveta; ci sono due odori che mi ricorderanno sempre quel tempo : la frittata di maccheroni, il piatto classico da spiaggia del napoletano e l'odore misto di treno, sudore e gelato che ancora adesso, se si cammina per Montesanto e si passa vicino alla Cumana ti riporta a quei tempi.
I miei erano gran signori con un pizzico di boheme: continuavano a ricevere amici come se vivessimo in un castello; io non provavo imbarazzo perché non avevo ricordi precedenti, in quella casa nel 52 nacque mia sorella. Nel 53 papà riusci a comprare una casa dell' Ina case, quelle popolari che venivano costruite e che si riscattavano, a Fuorigrotta. Oggi è un quartiere come un altro di Napoli : allora per noi fu l' esilio.
Già il nome: da Mergellina bisognava attraversare un tunnel, c'era quello dei tram e quello degli autobus, il particolare dei tunnel ti faceva sentire "fuori " Napoli, poi eravamo nel '53; c' era una chiesa, una piazza, Viale Augusto, zingari e campagna. In fondo a viale Augusto che oggi è una via piena di palazzi e negozi, c'era una piazza con la Mostra d' Oltremare, faraonico complesso con stand, una fontana enorme con zampilli, e cascatelle che scendevano a gradini, un teatro, il tutto fatto costruire da Mussolini, prima della guerra per ospitare una mostra delle nostre colonie, le colonie dell' impero.
Allo scoppio della guerra i poveri etiopi, che si trovavano con costumi, palmizi e cose varie a mostrare la grandezza dell' Italia nel mondo, rimasero là. C' era, tra la fine di Viale Augusto e Piazzale Tecchio, una costruzione fatiscente dove, miseramente, viveva questo gruppo di persone ( basta immaginare uno stanziamento di extracomunitari oggi ). Non so come e di che vivessero; non so se, come e quando furono rimpatriati, ma quando andammo a Fuorigrotta, erano là. Di fronte casa nostra c'era una costruzione: lo Sferisterio, dove si giocava la "pelota basca", uno sport su cui la gente scommetteva. I miei genitori, a volte accompagnavano amici a vedere la partita, e forse a scommettere.
L' ambiente di questo grosso caseggiato con quattro scale era misto: c' erano signori come noi che la guerra aveva costretto ad abitare in case popolari e c'era anche gente modesta, operai, commessi.
Una sera, mamma aspettava che mio padre rientrasse: una signora, al piano di sopra si affacciò e chiese " Signò ma vostro marito torna tardi perchè fa il guardio?" Voleva dire guardia ma lo disse, secondo lei, italianizzando la parola. Papà, al ritorno trovò mamma in lacrime che gli chiedeva tra che gente l' avesse portata...
Facemmo amicizia con una famiglia del primo piano, i Bianchi persone carine con cui restammo legati per anni anche dopo, con i Simiani del quarto piano; il padre di lei era stato ministro durante il fascismo, avevano quattro figli e mia madre era convinta che lei bevesse e anche che portasse male.
I Rizzotti, quelli del piano di sopra, quattro figli e padre pompiere, furono la nostra salvezza perché erano l' unica famiglia del condominio ad avere la televisione: l' anno dopo cominciò " Lascia o raddoppia?" e tutti andavamo da loro, proprio tutti; mettevano le sedie in fila e assistevamo alla trasmissione.
Nel pomeriggio c'era la tv dei ragazzi, poi non c' era più niente, ma la signora diceva" Bambini spegnete che si consumano le valvole".
Io, prima che nascesse mia sorella, ero stata molto coccolata, soffrivo di gelosia ero dispettosa, saccente, venivo spesso sculacciata e messa in punizione e questo mi incattiviva di più. Avevo paura della fine del mondo, avevo paura che i miei, se uscivano la sera, non tornassero più.  Probabilmente mi trasmettevano ansia;  mamma, se papà ritardava, andava ad aspettarlo in strada;  loro si portavano ancora appresso la angosce della guerra, delle sirene, delle corse notturne nei ricoveri.
La casa era comunque sempre piena di amici:  i miei avevano l' abitudine, e la conservarono sempre, di frequentare coppie più giovani di cui erano un pò amici e un pò mentori; avevano una natura goliardica, miravano a stupire, a girare tutto in risata, quando volevano essere severi, come l' educazione del tempo esigeva,  li sentivo poco credibili e ne ero disorientata. Ci curavano ma non facevano amicizie in funzione nostra: siamo cresciute in quegli anni con loro e i loro amici, il sabato si andava da zia Maria Pia, la maggiore delle sorelle di papà e là c' era salotto: zie, zii, amici di turno, discorsi colti, politica ( leggevano l' Espresso che era un foglio enorme).
Io ero disinvolta con gli adulti e timida con i miei coetanei; quando mi portavano a feste con bambini, mi rifiutavo di giocare e rimanevo aggrappata alla gonne di mia madre. A carnevale, alle feste mi toccavano sempre vestiti prestati, da maschio: cavaliere, principe, perché ero più alta della mia età, un anno mi vestirono da contadinella e si vede, nelle foto, questa bambina con un sorriso forzato, quasi una smorfia di pianto. A scuola no, a scuola ero disinvolta e felice, facevo amicizia volentieri, mi sentivo sicura.
L' affetto grande della mia vita, in quegli anni e per sempre fu zia Vittoria, la sorella di mia madre; era insegnante anche lei, prima per  me, poi tanti anni dopo per i miei figli è stata la compagna di giochi prediletta, la raccontatrice di favole ideale, l' amica del cuore, la delizia insomma.
Quando, a 42 anni decise, tra le ire della nonna, di sposare un collega più giovane di undici anni, me lo dissero con cautela e io urlai, piansi perché, dicevo, lei mi aveva promesso che non si sarebbe mai sposata.
Ho amato molto mia madre, riamata, con mio padre ho avuto un rapporto conflittuale ma di grande confidenza, ma quello che è stato per me zia Vittoria, non lo è stato nessun altro:  i viaggi, il teatro, le vacanze: fino a che ha avuto 92 anni, anche dopo che io ero venuta a Milano continuavamo a sentirci tutti i giorni; poi gli ultimi anni, per un ictus, li ha passati in casa di riposo. Quando, d' estate, venendo da Milano andavo a farle visita, mi guardava rapita,mi carezzava il volto; il suo per me è stato un affetto totale, ricambiato.
D' estate, dopo i bagni di Torregaveta, prendevamo una cabina a Coroglio. si andava al mattino, si tornava la sera; poi,  nel '56, le condizioni economiche migliorarono, dei nostri amici andavano a Vico Equense, paese della costiera sorrentina, prendemmo una casa in affitto per due mesi e mezzo ed ebbe inizio il mio amore per un luogo che ancora oggi per me è la casa.
Le villeggiature di una volta, quando per alcuni ricominciarono e per altri continuarono, erano completamente diverse da quelle che oggi si chiamano vacanze; eravamo più poveri ma paradossalmente più ricchi...Le case in affitto non costavano molto, anzi col tempo si cominciò ad affittare la casa per tutto l'anno, e poi c'erano quei lunghi, deliziosi periodi estivi, i ritmi di vita erano più  lenti.
Finita la scuola,verso fine giugno, primi di luglio ci si trasferiva; eravamo un gran numero di famiglie, i genitori amici o conoscenti tra loro, noi ragazzi in comitiva. Ci si tratteneva anche tutto settembre, a volte fino al 4 ottobre: ogni anno ragazzi nuovi si aggiungevano, c' era qualcuno che veniva per un periodo, poi andava altrove, ma gran parte di noi rimane ancora fedele. A settembre con i primi freddi, smontavano le cabine di legno, ne lasciavano alcune per noi fedelissimi, gli spezzoni delle comitive si riunivano e si diventava amici, salvo l'anno seguente tornare a luglio ciascuno col proprio gruppo.
Peppino di Capri cantava "Voce ' notte", NicoFidenco " Legata a un granello di sabbia", ci si riuniva nelle case con il giradischi, si ballava, i famosi " balletti", dove nascevano e morivano amori estivi, si aveva grande libertà, di cui io, veramente, ho sempre goduto, perché i miei genitori nella loro concezione un po' goliardica, ma devo riconoscere, intelligente e lungimirante, dai quindici, sedici anni in poi ci diedero tutta la libertà che, forse, hanno le ragazze oggi e ci regalarono una splendida giovinezza.
Nel '60 lasciammo la casa di Fuorigrotta, che venne affittata e, in seguito, venduta e tornammo al Corso Vittorio Emanuele. La nonna milanese, materna aveva continuato ad abitare là e noi affittammo una casa di fronte alla sua. lei venne ad abitare con noi e dopo due anni anche zia Vittoria e suo marito si trasferirono nel palazzo. L' incubo di Fuorigrotta era finito, io cominciai a settembre il quarto ginnasio e a riempire pagine del mio diario segreto; la casa era bella, luminosa affacciava sul panorama di Napoli , quello da cartolina;èstata la casa in cui è morto mio padre, in cui sono nati i miei figli, che ho lasciato nell' 87 per venire a Milano.
 In quella casa il mio carattere migliorò, gli anni erano quelli belli i 60, i capelli cotonati, il miracolo economico, l' automobile, la nostra fedele Rosa, cameriera che mi aveva visto nascere e che morì in casa nostra. Intorno un mondo che prometteva benessere e amore: Papa Giovanni, Kennedy presidente negli Stati Uniti, le vacanze estive, d'inverno studio e qualche balletto.
Ci fu nel '63 la tragedia di Dallas e la morte del Papa buono, ma era comunque un' epoca che sembrava promettere tutto; così arrivammo al '65, anno della mia licenza liceale e dell'iscrizione all' Università.















2
.

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page