venerdì 17 dicembre 2010

MELITO DI NAPOLI


Entrò nella mia vita il 10 gennaio del 1975: ero stata convocata per una supplenza e appena arrivai, trovai una cabina telefonica ( è esistita un' epoca senza i cellulari ) e telefonai a casa per dire a mamma che il paese era facilmente raggiungibile.
E' un comune alla periferia Nord di Napoli dopo Secondigliano; è stato rovinato, come tanti posti dal dopo- terremoto dell' 80, quello dell' Irpinia, che devastò vaste zone di Napoli.
Vi sono stati costruiti casermoni dormitorio per gente dei vicoli le cui case erano inagibili.
Quando ci andai, quella prima volta c' era una via principale su cui si apriva ogni sorta di negozi, soprattutto alimentari; la scuola media era in una via laterale, ovviamente casa di civile abitazione adibita a scuola, solo nel 79 ne avemmo una nuova, bella, fuori paese,.
Quella prima volta mi fu assegnata una Prima sez I maschile, c' era di tutto.
 Io, che già' insegnavo da quattro anni, cercai di imporre una certa disciplina, ma con scarso esito; a una mia collega andò peggio.
 Insegnava matematica e il primo giorno disse ai ragazzi : " Non sarò per voi un' insegnante, ma un' amica", le tirarono dietro qualunque cosa.
Dopo un pò le acque si calmarono; c' era Enzo, un biondino dalla faccia d' angelo, figlio della farmacista, che so essere diventato sindaco del paese in questi anni.
C' era il figlio dell' ortolano: io non sapevo che in dialetto napoletano ortolano si dicesse" parulano"; sentivo che i compagni lo chiamavano così e pensavo si riferissero al fatto che parlava molto; un giorno lo chiamai anche io con questo soprannome, si alzò, era una specie di bisonte e io pensai " Adesso mi picchia".
Non lo fece ma si offese molto .
Da quel giorno curai tanto il dialetto che ancora oggi lo conosco più che se fossi nata nei quartieri spagnoli.
C' era poi il primo dei dieci fratelli  De Leo quattro o cinque dei quali, negli anni, sono stati miei alunni; questo era tremendo, ma le sorelle, venute dopo, sono state deliziose; il padre era il custode della scuola, un uomo mite e buono, la mamma bidella, donna intelligente, anche se spesso malata.
Ho saputo che sono morti entrambi.
La prima figlia ha sposato un mio alunno che per soprannome era chiamato Cicchi Joe, compagno di scorribande di quel Franco, detto " capellone" che ora è morto, ma, al contrario di quello, fondamentalmente un ragazzo buono e onesto.
L' economia del paese si basava soprattutto sui vivai di piante e sulla costruzione di botti, il mestiere di bottaio veniva tramandato da padre in figlio e le botti esportate in tutta Europa.
Come preside c' era un terribile professore, un orco che mi ha insegnato quasi tutto quello che mi è servito per essere una brava insegnante; l' anno dopo andai via perchè ebbi l' incarico dal Provveditorato per le scuole serali per lavoratori,  le 150 ore, poi due anni dopo tornai da incaricata, mi aveva stregato, fu la mia seconda casa, il posto dove ho vissuto i momenti più belli da insegnante e collega; lo lasciai a malincuore nell' 87 per seguire, con i figli, mio marito a Milano.

martedì 7 dicembre 2010


Vico Equense, luglio 2006

Una giornata di luglio, siamo a Montechiaro, frazione di Vico Equense un paese della penisola sorrentina.
Ogni estate torno qua, da che ero piccola, anche dopo essermi trasferita, molti anni fa, a Milano.
Oggi, mia sorella mi ha invitato a un incontro letterario ; viene Roberto Saviano che presenta il suo libro “ Gomorra” da poco pubblicato, ma già un “ caso ” letterario. L’ ho letto in questi giorni di vacanza: è bello, potente, un pugno nello stomaco.
Siamo in una piazzetta: da una parte, una chiesetta di campagna, di quelle dipinte a colori ingenui tutta rosa e azzurro, dall’ altra una balaustra che si affaccia su un panorama da togliere il respiro.
Arriva l‘autore. Giovane, l’età dei miei figli, uno zainetto sulla spalla, l’aria di chi non è ancora abituato alla popolarità. Si unisce a noi, chiacchieriamo piacevolmente, gli dico che, per molti anni ho insegnato in un paese di camorra, gli porgo la mia copia del libro per una dedica, scrive “ Vico Equense ’06. A Eva che conosce bene questa realtà! Con stima. Roberto Saviano”
Sergio Lambiase, un amico, giornalista del “ Corriere del Mezzogiorno” lo presenta, lui parla del libro con competenza, passione, precisione. Segue il dibattito: qualcuno gli chiede se ha paura, risponde di no, che finché il libro sarà veicolato e se ne parlerà, lui si sente tranquillo. Siamo in molti, ma è come una riunione tra amici; il pomeriggio diventa crepuscolo, poi sera.
L’ho rivisto da lontano, due mesi fa, al Grassi a Milano, presentare il suo splendido monologo tratto da “ La bellezza e l’ inferno”, su un palcoscenico blindato di un teatro blindato. Dalle poltrone, dove eravamo noi si vedevano, dietro di lui, gli uomini della scorta.
Su facebook, oltre al sito ufficiale gestito dallo staff, ne sorgono ogni giorno di nuovi:” Un gelato per Saviano ”,” Saviano Governatore della Campania “ e così via.
Sempre, in articoli o in televisione lui ribadisce di sentirsi e voler essere, soprattutto, uno scrittore.
Appare spesso, in luoghi pubblici come teatri, televisione; ha spiegato che più è alta l’ attenzione e minore è il pericolo; in un’ intervista ad una giornalista italiana del dicembre 2009, lei gli dice che la camorra ha la memoria lunga, lui risponde di sì, lei gli chiede quando sarà maggiore il pericolo, lui risponde: ” Quando cadrà il silenzio”.
Nell’ immediato dopoguerra Andreotti criticò il cinema neorealista perché, diceva “ i panni sporchi si lavano in casa”. Oggi, qualcuno molto in alto, ha detto che libri come “ Gomorra “ fanno del male all’ immagine dell’ Italia nel mondo perché la fanno apparire come un paese di mafia e camorra.
Saviano ha detto spesso che, per molti nella sua condizione, peggio della morte è la paura del discredito, della delegittimazione, della diffamazione: “ E’ furbo...S’ è fatt ‘e sorde...parla male della sua terra...”
Io lo paragono spesso a Dante; molti punti li accomunano: prima di tutto l’ ossessione (quella, già quel giorno, gliela leggevi negli occhi ) di spiegare, illustrare, far comprendere a tutti il Male; poi l’ urgenza di descrivere un intero cosmo, tutto un universo in un’ opera; poi ancora l’ uso di una forma artistica: il poema per uno, il romanzo per l’ altro. Infine il prezzo alto, troppo alto da pagare in vita: esilio e fuga.
Oggi sembra che lui cominci a esistere quando, dal buio di un proscenio o di uno studio televisivo, entra nella luce e tra la gente, tanta gente, per poi ritornare nel buio della non-vita; mai, come per lui, sembra oggi che, vivere e apparire si identifichino.
Quando, giorni fa, c’è stato l’incontro a Perugia con Al Gore e il dibattito che ne è seguito, era teso, commosso dagli applausi scroscianti del pubblico.
Il giorno dopo sul quotidiano “ La Repubblica “ Leonardo Malà scriveva “ Roberto Saviano è rimasto ancora un po’ per qualche autografo, quindi i sette agenti si sono scambiati il segnale...Se ne va Roberto Saviano verso una meta ignota e un destino incerto. Il destino di un uomo con sette ombre.”
Più di dieci anni fa ho seguito un corso di aggiornamento; era sui rapporti interpersonali tra professori e alunni, come relazionarsi con l’ altro. C erano degli psicologi che usavano sempre i termini “ qui e ora”. Ognuno di noi, cambia, nel tempo, nello spazio e nella relazione con gli altri, il cambiare è condizionato da infinite variabili.
Roberto Saviano ha vissuto, giovane e in un breve arco di tempo, esperienze che ad altri non basterebbe una vita intera: ha avuto fama, successo, odio, avversione, ammirazione, idolatria e minacce. Persone che non lo conoscono ne hanno fatto un idolo, un’ icona; amici di una vita si sono allontanati da lui. E’ stato invitato a parlare a Stoccolma nella sala dove vengono assegnati i premi Nobel e gli sono state rifiutate case in affitto perché la gente, quando sapeva che si trattava di lui, aveva paura. Ha vissuto in caserme buie e inospitali, ha cambiato casa anche ogni dieci giorni, la sua famiglia è la sua scorta; l’altra, quella vera, lui ha raccontato che vive al Nord , sotto protezione, con modalità differenti dalle sue. Ha detto che è stato penoso per persone a lui care sentirlo delegittimare senza potere farsi avanti per difenderlo.
La gente lo ama: la gente è una massa indistinta che ti conosce ma che tu non conosci; quella vera ha un volto e un nome, è il giornalaio da cui compri il giornale, il portinaio che ti saluta quando esci e ritorni, il macellaio, l’amico, il vicino, il collega, il cameriere, il pizzaiolo.
Io, in questi anni, ho pensato a lui con affetto e tenerezza di mamma; tengo cara la mia copia di “Gomorra “ con la sua dedica, non la presto mai a nessuno; quando l’ ho visto a teatro, non ho provato il desiderio di superare barriere cercare di salutarlo; conservo nel cuore, come un privilegio, l’ averlo conosciuto quel giorno quando tutto, il meglio e il peggio, doveva ancora accadere; quel giorno sereno di luglio quando chiacchieravamo tranquilli mentre il pomeriggio estivo diventava crepuscolo e poi sera.




Milano, 8 maggio 2010

venerdì 3 dicembre 2010

Giovanni


Giovanni ha 40 anni, è mio amico su facebook
Quando lo conobbi, ne aveva forse 12 o 13; non era mio alunno, era bello come il sole, con un viso d' angelo e credo si annoiasse tremendamente a scuola...io lo incontravo nei corridoi; era sempre cacciato fuori e vagava; .non si dovrebbero mai cacciare i ragazzi, ma tenerli in classe e, possibilmente, interessarli alla lezione, ma ne ho viste tante di queste storie. Giovanni era un ripetente cronico; non so quale classe delle medie abbia ripetuto più volte tra prima e seconda.
Un anno, quello precedente alla mia partenza per Milano, io avevo una terza, la più bella della mia vita e, il primo giorno, mi ritrovai Giovanni in classe e in elenco sul registro.  Il segretario, che poi diventò anche sindaco del paese, chiese a me e al collega di matematica di provarci; il ragazzo era di buona famiglia, noi avevamo presa sugli alunni, nel nostro corso si lavorava bene, che vuol dire che prestavamo attenzione alle esigenze dei singoli, eravamo l' ultima speranza.
Quello che per me contava, come è sempre stato, era che il ragazzo si riconciliasse con la scuola; le medie sono belle, sono una scoperta continua, ogni giorno,  vissuto come un' avventura, è eccitante e pieno di sorprese.
Lo chiamai e gli feci un bel discorso: gli ricordai che era più grande dei suoi compagni e, soprattutto delle ragazze, che non volevo problemi sentimentali, che mi sarei contentata del minimo, era importante che imparasse a stare in classe a socializzare, se studiava o meno era veramente l' ultimo dei problemi.
Fu delizioso, esemplare; si comportò benissimo durante tutto l' anno; fece amicizia con i compagni, fu gentilissimo e compito con le ragazze. Quando proprio non ce la faceva a restare in classe, chiedeva di uscire, ma, dopo un rapido giretto, rientrava subito.
Partecipò alla gita scolastica, e, quello che più conta, alla recita di fine anno. Quell' anno mettemmo in scena " Miseria e nobiltà " di Scarpetta ed ebbe una parte importante, dovette impararla, partecipare alle prove, adattarsi a un lavoro di gruppo; il giorno della rappresentazione ricordo che la mamma stentava a credere che il figlio fosse stato capace di recitare con tanta disinvoltura e padronanza. Uno degli ultimi giorni di scuola Giovanni mi disse che di tutti gli anni delle medie avrebbe ricordato con gioia solo quello; qualche mese fa mi ha chiesto l' amicizia su fb, è sposato, ha due negozi, due figli, è bello come allora, ogni tanto mi manda un saluto, condivide un mio link; è come se il tempo non fosse passato, allunghi una mano e tutto è ancora là, questa è una delle magìe della scuola. Grazie Giovanni sei stato una delle mie gioie più grandi.