CELESTINO V
Celestino V, al secolo Pietro Angelerio da Morrone, nasce nel 1215 da contadini poveri.
All'epoca il suo paese di provenienza (della oggi Piana del Fucino ed in passato teatro di vere e proprie battaglie navali) si chiamava Marruvium: oggi invece si è trasformato in San Benedetto dei Marsi.
A 16 anni viene accolto dai Benedettini di Santa Maria dei Fafoli, a Benevento.
Nel 1231 veste l'abito benedettino: tende a isolarsi nell'ascetismo della vita eremitica.
Per tre anni vive con un confratello in una grotta da lui stesso scavata nella roccia, sperduta tra i boschi, in totale isolamento, presso il monte Palleno (oggi Porrara), dove poi sorgerà il santuario di S. Maria dell’Altare.
Inizia a predicare sul monte Palleno alla Maiella.
Sospinto dalla gente dei luoghi vicini a farsi consacrare sacerdote, ma anche per sottrarsi all’indesiderata frequentazione dei pellegrini, si reca a Roma.
Dopo gli studi presso il Laterano, viene ordinato sacerdote da papa Gregorio IX, che gli permette di proseguire la vita eremitica.
Nel 1241 lascia Roma, ma invece di tornare sul Palleno, si ferma presso Sulmona, in località Segezzano, probabilmente dopo aver appreso che in quei luoghi aveva dimorato il famoso eremita Flaviano da Fossanova.
Anche qui, alle pendici del Morrone, trova riparo in una grotta presso la chiesetta di S. Maria di Segezzano, sulla quale sarà poi edificato il monastero di S. Spirito.
In questa spelonca, Pietro comincia ad essere avvicinato da quelli che saranno i futuri discepoli. Si tratta di centinaia di giovani provenienti dalle vicine casupole di Bucchianico, Caramanico, Salle, Roccamorice, Pratola, attratti dalla sua vita eremitica.
Lui, che è uomo taciturno, silenzioso e riservato, li accoglie suo malgrado, perché non intende condividere con alcuno la sua solitudine.
Infatti nel 1246, insofferente alla frequentazione dei fedeli, che diventano sempre più numerosi, abbandona l’eremo di Segezzano per rifugiarsi nella vicina Maiella dove, sulla parete dell’Orso, alla Ripa Rossa, trova un primo, inaccessibile rifugio.
Successivamente si sposterà in uno fra i più impervi dirupi di quelle montagne, chiamato S. Spirito di Maiella, dove poi sarà edificato il famoso monastero che fino al giugno del 1293 sarà Caput Congregationis.
Resterà per lunghi anni sulla Maiella, sempre in fuga dalle turbe di fedeli che insidiavano la sua solitudine e sempre alla ricerca di nuove e più irraggiungibili caverne, perché masse di pellegrini poveri, infermi e disperati, per trovare conforto alle loro sofferenze, lo raggiungevano ovunque, persino nei proibitivi antri di S. Bartolomeo di Legio e di S. Giovanni sull’Orfento.
Qui, sui monti della Maiella, negli anni che vanno dal 1246 al 1293, si consolida definitivamente la sua fama di taumaturgo.
Nel 1264, ispirandosi al movimento di Gioachino da Fiore, decide di fondare la Congregazione dei Fratelli penitenti dello Spirito Santo o Celestini.
La regola fu approvata da papa Urbano IV. L'ordine sfugge, dopo il Concilio Lateranense del 1215, alla soppressione voluta da papa Gregorio X: Celestino infatti andò a piedi sino a Lione, dove stava per svolgersi il Concilio Lionese II, per chiedere al pontefice la tutela del proprio ordine e la ottenne, poiché il suo movimento non veniva considerato politicamente ostile alla chiesa. D'altra parte Celestino aveva sempre condotto una vita di penitenza, preghiera, silenzio, rigorosa astinenza, durissimi e prolungati digiuni, autofustigazione e mortificazione della carne, in contrapposizione a quella cenobitica.
Nel 1287 i celestini avviano le pratiche per la costruzione sul Colle di Maio (oggi Collemaggio) di un'abbazia: l'anno successivo viene consacrata la basilica.
Nel giugno del 1293, sempre sospinto dalla sua insopprimibile brama di solitudine, Celestino convoca il quarto (e ultimo) Capitolo Generale e, tra la costernazione dei discepoli, comunica la sua irrevocabile decisione di volersi ritirare per sempre sul Morrone e qui morirvi.
A tale scopo farà scavare il famoso eremo di S. Onofrio, dove vivrà per tredici mesi in assoluta segregazione, recidendo tutti i contatti col mondo esterno, salvo quelli strettamente connessi alla sopravvivenza.
Intanto a Perugia, undici cardinali, dopo la scomparsa di papa Niccolò IV, si contendevano nel conclave, da 27 mesi, il soglio pontificio, incapaci di comporre un conflitto fondato esclusivamente sulle bramosie di potere delle potenti famiglie degli Orsini e dei Colonna.
Nella mischia (e quindi negli affari del conclave) si era gettato anche Carlo II d’Angiò, il quale aveva urgente bisogno di un papa che ratificasse l’accordo raggiunto con gli aragonesi per la restituzione della Sicilia.
E fu proprio in quella occasione che il francese misurò la grinta del Cardinale Benedetto Caetani, il futuro Bonifacio VIII, il quale lo invitò a starsene fuori.
Il re, indignato per l’onta subita, ma anche disperato perché rischiava di veder vanificati gli effetti dell’intesa raggiunta, lasciò Perugia, ma invece di procedere per Napoli si reca a Sulmona, dove, agendo sull'ingenuità di Celestino, lo induce a scrivere una strana lettera ai cardinali riuniti in conclave.
In quella missiva Celestino sollecitava l’elezione del nuovo Papa, minacciando la collera di Dio se avessero ulteriormente protratto la vedovanza della "Sposa di Cristo".
E quelli, per uscire dallo stallo, individuano proprio nell'eremita morronese, l’agnello sacrificale al quale affidare, in uno dei momenti più drammatici dello scontro con il potere temporale, le sorti di una chiesa decadente.
Era l'anno 1294. Celestino viene incoronato papa all'Aquila. Emana subito dopo la Bolla del Perdono, con cui anticipa il Giubileo cristiano.
Fin da subito, però, la vittima sfugge dalle mani dei cardinali elettori, perché il nuovo pontefice viene, di fatto, sequestrato dal re angioino, che ne fa un inconsapevole strumento dei suoi maneggi politici.
Intorno a Celestino V, dal 29 agosto al 13 dicembre del 1294, pascolano faccendieri, maneggioni, affaristi, questuanti, trafficanti e "barattieri" d’ogni risma, che utilizzano il suo nome e le pergamene papali bollate in bianco, per concludere i loro affari.
Costretto a lasciare l’Aquila per seguire il re a Napoli, Celestino comincia a meditare, nell’angusta cella che si era fatta costruire in Castel Nuovo, di deporre le insegne papali.
E’ ormai vecchio e stanco, consumato dagli acciacchi e da una vita fatta di stenti e di privazioni indicibili; trova il coraggio d'imporre agli allibiti cardinali la sua rinuncia, incurante delle minacce del popolino napoletano che, sobillato dal re e forse anche da alcuni suoi discepoli, lo aggredisce devastando e saccheggiando la sua dimora.
Dopo 107 giorni rinuncia al papato: il fatto non ha precedenti.
Tra le motivazioni afferma di non voler offendere la propria coscienza, di desiderare una vita migliore e di non aver sufficiente sapere.
Il 24 dicembre del 1294, a soli dodici giorni dalla sua rinunzia, con il prezioso apporto dei voti francesi pilotati da Carlo d’Angiò, viene eletto papa Benedetto Caetani che assume il nome di Bonifacio VIII. Nasce fra il nuovo pontefice e il re di Napoli l'intesa che cancellerà d’un colpo la ruggine perugina e getterà lo scompiglio fra le file dei seguaci di Celestino, degli "spirituali", dei "fraticelli".
Le polizie congiunte di Carlo d’Angiò e di Bonifacio VIII ora vogliono catturare Celestino, il quale fugge da S. Germano per raggiungere la sua cella sul Morrone e successivamente Vieste, sul Gargano, da dove tenterà l’imbarco per la Grecia.
Qui viene raggiunto dai soldati, che lo rinchiudono nel castello di Fumone, presso Anagni.
La detenzione, nonostante le numerose falsificazioni addotte dai partigiani di Bonifacio, fu durissima; il rigore estremo di quella cattività è stato ampiamente documentato da tutti i cronisti dell’epoca. Nel 1296 viene assassinato.
Quattrocento anni dopo, Lelio Marini, Abate Generale della Congregazione dei Celestini, il più informato biografo del Santo (Pietro fu canonizzato il 5 maggio del 1313 da Clemente V) proverà a dimostrare, con un’accurata e puntigliosa disamina di numerosi reperti storici, che Pietro fu barbaramente ucciso per ordine di Bonifacio VIII. Le spoglie di Celestino si trovano nella basilica di Collemaggio a L'Aquila.
All'epoca il suo paese di provenienza (della oggi Piana del Fucino ed in passato teatro di vere e proprie battaglie navali) si chiamava Marruvium: oggi invece si è trasformato in San Benedetto dei Marsi.
A 16 anni viene accolto dai Benedettini di Santa Maria dei Fafoli, a Benevento.
Nel 1231 veste l'abito benedettino: tende a isolarsi nell'ascetismo della vita eremitica.
Per tre anni vive con un confratello in una grotta da lui stesso scavata nella roccia, sperduta tra i boschi, in totale isolamento, presso il monte Palleno (oggi Porrara), dove poi sorgerà il santuario di S. Maria dell’Altare.
Inizia a predicare sul monte Palleno alla Maiella.
Sospinto dalla gente dei luoghi vicini a farsi consacrare sacerdote, ma anche per sottrarsi all’indesiderata frequentazione dei pellegrini, si reca a Roma.
Dopo gli studi presso il Laterano, viene ordinato sacerdote da papa Gregorio IX, che gli permette di proseguire la vita eremitica.
Nel 1241 lascia Roma, ma invece di tornare sul Palleno, si ferma presso Sulmona, in località Segezzano, probabilmente dopo aver appreso che in quei luoghi aveva dimorato il famoso eremita Flaviano da Fossanova.
Anche qui, alle pendici del Morrone, trova riparo in una grotta presso la chiesetta di S. Maria di Segezzano, sulla quale sarà poi edificato il monastero di S. Spirito.
In questa spelonca, Pietro comincia ad essere avvicinato da quelli che saranno i futuri discepoli. Si tratta di centinaia di giovani provenienti dalle vicine casupole di Bucchianico, Caramanico, Salle, Roccamorice, Pratola, attratti dalla sua vita eremitica.
Lui, che è uomo taciturno, silenzioso e riservato, li accoglie suo malgrado, perché non intende condividere con alcuno la sua solitudine.
Infatti nel 1246, insofferente alla frequentazione dei fedeli, che diventano sempre più numerosi, abbandona l’eremo di Segezzano per rifugiarsi nella vicina Maiella dove, sulla parete dell’Orso, alla Ripa Rossa, trova un primo, inaccessibile rifugio.
Successivamente si sposterà in uno fra i più impervi dirupi di quelle montagne, chiamato S. Spirito di Maiella, dove poi sarà edificato il famoso monastero che fino al giugno del 1293 sarà Caput Congregationis.
Resterà per lunghi anni sulla Maiella, sempre in fuga dalle turbe di fedeli che insidiavano la sua solitudine e sempre alla ricerca di nuove e più irraggiungibili caverne, perché masse di pellegrini poveri, infermi e disperati, per trovare conforto alle loro sofferenze, lo raggiungevano ovunque, persino nei proibitivi antri di S. Bartolomeo di Legio e di S. Giovanni sull’Orfento.
Qui, sui monti della Maiella, negli anni che vanno dal 1246 al 1293, si consolida definitivamente la sua fama di taumaturgo.
Nel 1264, ispirandosi al movimento di Gioachino da Fiore, decide di fondare la Congregazione dei Fratelli penitenti dello Spirito Santo o Celestini.
La regola fu approvata da papa Urbano IV. L'ordine sfugge, dopo il Concilio Lateranense del 1215, alla soppressione voluta da papa Gregorio X: Celestino infatti andò a piedi sino a Lione, dove stava per svolgersi il Concilio Lionese II, per chiedere al pontefice la tutela del proprio ordine e la ottenne, poiché il suo movimento non veniva considerato politicamente ostile alla chiesa. D'altra parte Celestino aveva sempre condotto una vita di penitenza, preghiera, silenzio, rigorosa astinenza, durissimi e prolungati digiuni, autofustigazione e mortificazione della carne, in contrapposizione a quella cenobitica.
Nel 1287 i celestini avviano le pratiche per la costruzione sul Colle di Maio (oggi Collemaggio) di un'abbazia: l'anno successivo viene consacrata la basilica.
Nel giugno del 1293, sempre sospinto dalla sua insopprimibile brama di solitudine, Celestino convoca il quarto (e ultimo) Capitolo Generale e, tra la costernazione dei discepoli, comunica la sua irrevocabile decisione di volersi ritirare per sempre sul Morrone e qui morirvi.
A tale scopo farà scavare il famoso eremo di S. Onofrio, dove vivrà per tredici mesi in assoluta segregazione, recidendo tutti i contatti col mondo esterno, salvo quelli strettamente connessi alla sopravvivenza.
Intanto a Perugia, undici cardinali, dopo la scomparsa di papa Niccolò IV, si contendevano nel conclave, da 27 mesi, il soglio pontificio, incapaci di comporre un conflitto fondato esclusivamente sulle bramosie di potere delle potenti famiglie degli Orsini e dei Colonna.
Nella mischia (e quindi negli affari del conclave) si era gettato anche Carlo II d’Angiò, il quale aveva urgente bisogno di un papa che ratificasse l’accordo raggiunto con gli aragonesi per la restituzione della Sicilia.
E fu proprio in quella occasione che il francese misurò la grinta del Cardinale Benedetto Caetani, il futuro Bonifacio VIII, il quale lo invitò a starsene fuori.
Il re, indignato per l’onta subita, ma anche disperato perché rischiava di veder vanificati gli effetti dell’intesa raggiunta, lasciò Perugia, ma invece di procedere per Napoli si reca a Sulmona, dove, agendo sull'ingenuità di Celestino, lo induce a scrivere una strana lettera ai cardinali riuniti in conclave.
In quella missiva Celestino sollecitava l’elezione del nuovo Papa, minacciando la collera di Dio se avessero ulteriormente protratto la vedovanza della "Sposa di Cristo".
E quelli, per uscire dallo stallo, individuano proprio nell'eremita morronese, l’agnello sacrificale al quale affidare, in uno dei momenti più drammatici dello scontro con il potere temporale, le sorti di una chiesa decadente.
Era l'anno 1294. Celestino viene incoronato papa all'Aquila. Emana subito dopo la Bolla del Perdono, con cui anticipa il Giubileo cristiano.
Fin da subito, però, la vittima sfugge dalle mani dei cardinali elettori, perché il nuovo pontefice viene, di fatto, sequestrato dal re angioino, che ne fa un inconsapevole strumento dei suoi maneggi politici.
Intorno a Celestino V, dal 29 agosto al 13 dicembre del 1294, pascolano faccendieri, maneggioni, affaristi, questuanti, trafficanti e "barattieri" d’ogni risma, che utilizzano il suo nome e le pergamene papali bollate in bianco, per concludere i loro affari.
Costretto a lasciare l’Aquila per seguire il re a Napoli, Celestino comincia a meditare, nell’angusta cella che si era fatta costruire in Castel Nuovo, di deporre le insegne papali.
E’ ormai vecchio e stanco, consumato dagli acciacchi e da una vita fatta di stenti e di privazioni indicibili; trova il coraggio d'imporre agli allibiti cardinali la sua rinuncia, incurante delle minacce del popolino napoletano che, sobillato dal re e forse anche da alcuni suoi discepoli, lo aggredisce devastando e saccheggiando la sua dimora.
Dopo 107 giorni rinuncia al papato: il fatto non ha precedenti.
Tra le motivazioni afferma di non voler offendere la propria coscienza, di desiderare una vita migliore e di non aver sufficiente sapere.
Il 24 dicembre del 1294, a soli dodici giorni dalla sua rinunzia, con il prezioso apporto dei voti francesi pilotati da Carlo d’Angiò, viene eletto papa Benedetto Caetani che assume il nome di Bonifacio VIII. Nasce fra il nuovo pontefice e il re di Napoli l'intesa che cancellerà d’un colpo la ruggine perugina e getterà lo scompiglio fra le file dei seguaci di Celestino, degli "spirituali", dei "fraticelli".
Le polizie congiunte di Carlo d’Angiò e di Bonifacio VIII ora vogliono catturare Celestino, il quale fugge da S. Germano per raggiungere la sua cella sul Morrone e successivamente Vieste, sul Gargano, da dove tenterà l’imbarco per la Grecia.
Qui viene raggiunto dai soldati, che lo rinchiudono nel castello di Fumone, presso Anagni.
La detenzione, nonostante le numerose falsificazioni addotte dai partigiani di Bonifacio, fu durissima; il rigore estremo di quella cattività è stato ampiamente documentato da tutti i cronisti dell’epoca. Nel 1296 viene assassinato.
Quattrocento anni dopo, Lelio Marini, Abate Generale della Congregazione dei Celestini, il più informato biografo del Santo (Pietro fu canonizzato il 5 maggio del 1313 da Clemente V) proverà a dimostrare, con un’accurata e puntigliosa disamina di numerosi reperti storici, che Pietro fu barbaramente ucciso per ordine di Bonifacio VIII. Le spoglie di Celestino si trovano nella basilica di Collemaggio a L'Aquila.
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