mercoledì 28 maggio 2014

" RAZZA DI DONNE "

Erano tre e furono solo loro tre per anni; il nonno, marito di Giuseppina ( lei milanese, lui lucano), morì, come spesso ho raccontato, tenente medico degli alpini nel luglio del 1916 sul Carso.
Rimasero loro; lei giovane vedova con due bambine: Vittoria di quattro anni e Virginia, mia madre di due.
La nonna andò in Basilicata, conobbe i parenti del marito, grossi latifondisti, vendette a loro quanto lui le aveva lasciato in eredità in terre, armenti e altro, rimase per sempre a Napoli e si mise a insegnare.
Aveva il diploma, era milanese, conseguenza naturale: lavorare.
Vissero prima con la tata, poi con una domestica che ricordo ancora e che è stata con loro per anni e anni.
La nonna fiera, bella, solitaria.
Non si risposò mai, non credo perchè il marito ( e lo aveva fatto) avesse scritto nel testamento che è qua che avrebbe avuto la tutela delle figlie " a patto che non contraesse nuovo matrimonio".
Penso semplicemente che quello fu l' amore della sua vita: unico e grande.
Erano indipendenti e nello stesso tempo molto legate tra loro.
Le figlie si diplomarono e vinsero subito il concorso come insegnanti: mamma più vivace e indipendente, ancora prima dei diciotto anni prese servizio a Salento, un paese sopra Vallo della Lucania.
Ci si arrivava a dorso di asino ( o mulo), ci rimase per quattro anni, poi tornò a Napoli, insegnò sempre nella scuola a Piazzetta Mondragone, aveva tante amiche e amici tra i quali mia zia Elia.
Tramite lei conobbe papà quando lui tornò dalla prigionia: pare che mia zia le dicesse che con tanti fratelli ( erano dodici tra maschi e femmine ), qualche " prigioniero del passato", ci sarebbe stato per mamma.
Così fu anche se lei non lo cercava: lui tornò dalla prigionia ( quasi cinque anni con gli inglesi) e si sposarono nel giro di pochi mesi.
E mamma, dopo entrò in questa famiglia numerosa, signorile, sempre circondata da parenti, ospiti e amici.
Come le piaceva.
E poi, dopo anni di vita felice, affrontò il lungo periodo della malattia di papà e il dolore e i sacrifici, sempre da gran signora e poi di nuovo una vecchiaia splendida.
Zia Vittoria era più timida e riservata: sottomessa alla madre e al suo " piglio" a cui mia mamma si era sempre sottratta.
Magrissima in un' epoca in cui erano di moda le donne formose, si sentiva poco avvenente ed era bellissima.
Ebbe un fidanzato ad Avellino, dove andò a insegnare, un avvocato che morì di polmonite.
Lei regalò il suo corredo a mamma.
Nel '54 sposò un suo collega di undici anni minore di lei: fu il colpo di testa della sua vita, sfida al mondo e alla madre, grande amore che durò quarant' anni.
Lui era tanto più giovane, lei gli sopravvisse di quindici anni ed è morta a 97 anni.
Se da papà ci è venuta l' allegria e il " poco di pazzaria", da loro tre abbiamo preso il senso del dovere, l' idea che la donna è assolutamente uguale all' uomo, che anche da sola ce la fa, e se si sposa non deve mai smettere di lavorare e conservare sempre la sua indipendenza.
Una razza di donne libere e di signore raffinate insieme: gran connubio.
Ancora oggi in questa foto sono belle, garbate, dolci da vedere e insieme di ferro per chi le ha conosciute.
Grazie per quanto ci avete dato,senza tanti discorsi; solo con la vostra vita.

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