martedì 30 agosto 2011

RITORNO


Sono tornata dal luogo delle memorie, quello dei ricordi felici di tutte le estati della mia vita; ogni anno parto " tanto per..." o almeno così mi sembra e ritorno riposata, sazia di mare e di sole e ricca di affetti rivisitati.
Forse se fossi rimasta a vivere a Napoli non sarebbe così bello; gli amici di sempre, quelli del sabato che si conoscono da una vita;  il fatto che, da Milano io ci vada  solo per un mese ( aspetto che l' ing vada in ferie perchè ora non ci sono più  i figli a tenergli compagnia ), rende tutto più bello.
L' albergo, prima di tutto;  per tanti anni ho avuto la casa: ora mi sento deliziosamente in vacanza e ce la godiamo proprio;  mare tutto il giorno anche otto ore di fila e gli amici che vengono a fare un saluto sotto l' ombrellone e a ora di pranzo, se capita, si va alla tavola calda tutti insieme; e le serate con piano bar durante la cena mentre di fronte hai Napoli e il Vesuvio, e i film e gli incontri letterari e le visite su in paese a fare " il giro delle sette chiese" come lo chiamo io, cioè entrare nei negozi e salutare tutti e scambiarsi notizie.
Alcune sere poi, si va a cena fuori; siamo andati soli, Vittorio e io da Gennaro Chef, alla Torre del Saraceno, nostro amico da una vita che ha il ristorante sul lungomare del nostro albergo e oggi è un cuoco famoso in Italia e nel mondo e da ragazzo cucinava con i genitori per noi al Circolo del Tennis: che cena e che goduria!
Un' altra sera siamo andati con gli amici a Massalubrense in un ristorante dalla cui terrazza sembrava di poter toccare Capri con la mano.
Ieri  anche siamo andati a cena fuori con gli amici: erano tutti un pò tristi perchè partivamo: abbiamo ricordato tanto, riso e mangiato.
Oggi poi, sull' Autostrada brutto incidente ad Arezzo e 10 Km di coda: siamo sfiniti, ma è bello anche tornare a casa e risistemarsi nelle proprie abitudini, rivedere i ragazzi, la nipotina.
Si torna un pò più ricchi dentro dal luogo delle memorie...

lunedì 22 agosto 2011

LA FESTA DEL PAESE


La terza domenica di agosto a Vico Equense c' è la festa del paese; il patrono è S.Ciro e viene regolarmente festeggiato a gennaio; oggi invece si celebra l' anniversario dell' arrivo delle reliquie dei SS. Ciro e Giovanni qua, secoli fa.
Le messe si celebrano solo in Parrocchia; poi, alle 19 circa, dopo quella pomeridiana si forma la processione; davanti a tutti una donna con il vessillo, poi il parroco, il sindaco con la fascia e gli altri preti. Seguono i rappresentanti delle congreghe con cappe variamente colorate a seconda della congrega di appartenenza, poi i bambini dell' oratorio che cantano, le colombe di " Fra Cosimo " un francescano che è morto a 98 anni pochi giorni fa e che allevava uccelli,  poi seguono tutte le pie donne che recitano  il Rosario e dietro tutta la gente del paese.
Si dirigono a S. Maria del Toro, una chiesa di carmelitani che è su una collinetta, poi ridiscendono, passano per la stazione ferroviaria e ritornano in chiesa. Al centro del corteo ci sono i pescatori che, vestiti di bianco e blu, portano sulle spalle le due statue d' argento dei Santi.
Di sera, verso le ventitrè e trenta, dalla spiaggia si alzano i fuochi a mare, uno spettacolo bellissimo a cui tutti assistono.
Noi, qua, non abbiamo mai comprato casa, siamo stati sempre in afftto perchè nè mio padre nè mio suocero ritennero opportuno farlo pensando, erroneamente, che da grandi noi saremmo andati in vacanza altrove.
Ora, che viviamo da tanti anni a Milano, i prezzi sono proibitivi e del resto troviamo più comodo venire in albergo che è in una frazione vicina sul mare. Da qua, possiamo vedere i fuochi, la processione quella no, è da tre anni che non la vedo più.
L' ultima casa che abbiamo avuto, quella tra le tante che ricordo con più gioia, era al centro del paese; la processione passava proprio davanti al nostro cancello ed era bello stare là e vederla passare; quando mamma era viva, ma anche dopo, tante donne del paese si staccavano dalla processione per venirci a salutare e poi continuare a camminare; ci facevano sentire importanti, ci sentivamo di appartenere al luogo.
Quella casa ce l' aveva trovata mia sorella a cui da Milano avevamo dato incarico dopo aver lasciato l' altra in colina dove eravamo stati per più di 25 anni; quella era in affitto tutto l' anno e avevamo i nostri mobili;  poi da Milano venimmo sempre meno tranne che d' estate e mia sorella scelse per noi questa casa in paese.
Quando la vide le piacque e, come stabilito la fissò e diede la caparra, poi ci disse che le era sembrato di non aver visto finestre.
 Scoprimmo infatti  che, a parte una bella terrazza-giardino che faceva anche da ingresso, tutta la casa era costruita nella roccia, effetto cantina, tanto per dire: freschissima d' estate e divertente, ma anche umida.
In compenso aveva una quantità di stanze e posti letto: ci abitavamo noi, i ragazzi, mamma, mio suocero con il gatto, mia zia e ospiti a non finire che andavano e venivano.
La sera della processione, arrivava un sacco di gente di tutte le età, amici di mamma, nostri e dei ragazzi, si preparava un buffet, sedie e poltrone in quantità e vedevamo i fuochi; era poi un gran discutere sulla bellezza dello spettacolo rispetto all' anno precedente.
I miei figli e nipoti facevano un gioco ( sventurati ) chiamato il toto-morto: ipotizzavano quale anziano sarebbe potuto mancare l' anno dopo; puntavano sempre su un vecchissimo dottore che è sopravvissuto a molti altri.
Dopo la morte di mamma e di mio suocero passammo al terzo piano: era una casa più piccola e più normale, ma aveva lo stesso panorama per cui io continuai a fare la " festa dei fuochi " e anche senza i nonni eravamo sempre tre generazioni che si riunivano per festeggiare e vedere lo spettacolo,
Gli amici stasera ci avevano invitato a vedere insieme i fuochi in un ristorante sulla spiaggia di Vico ma noi abbiamo rifiutato;  per me, sono legati a " quella casa", a " quel periodo", alla processione e a tutto il resto.
Ora, mentre scrivevo, Vittorio mi ha chiamato e li abbiamo ammirati dalla terrazza della nostra camera.
Questa è una delle cose che amo di questo posto: nell' arco di 55 anni abbiamo accumulato tanti ricordi; è sempre il luogo delle memorie; quando un periodo finisce se ne ricorda il bello, si volta pagina e si guarda avanti; stasera i fuochi sono stati meno belli del solito, ma noi siamo qua e guardandoli, ricordiamo e al tempo stesso ci godiamo il presente.

domenica 14 agosto 2011

15 AGOSTO


Siamo in albergo, in camera, Vittorio e io; si sente lo sciabordare delle onde e la voce della cantante del piano bar che canta " My way ".
Oggi è stata una giornata piena e soddisfacente, trascorsa a casa di mia nipote che abita in una frazione di Vico Equense. Eravamo i tanti, il marito appartiene a una di quelle belle famiglie patriarcali dove ci si riunisce tutti:: nonni, figli, nipoti e si pranza tanto e senza fretta. Mia nipote aveva preparato una festa a tema, si fa per dire : " Aspettando Ferragosto". Quanti ne ho passati qua? Sono 55 e domani è il mio compleanno; oggi c'è stato questa specie di pre-festeggiamento, domani, giornata di folla la trascorreremo a mare e dopodomani sera, in  ritardo, ma con calma, sulla terrazza dell' albergo, ci riuniremo, dopo cena, con gli amici di sempre per mangiare la torta e brindare.
Quando avevo quattordici o quindici anni, d' estate abitavamo in una casa con un grande terrazzo, su in paese, le lunghe e pigre estati di allora che cominciavano a giugno e finivano a ottobre. Mio padre  a Ferragosto sistemava tutta una serie di lampioncini sul terrazzo e venivano tanti ragazzi,, forse tutti quelli che c' erano d' estate allora a Vico. Si mangiavano panini e pizza, si bevevano succhi di frutta e coca, si ballavano i lenti e qualcuno cambiava i dischi nel " mangiadischi ".
L' ho sempre trascorso qua il mio compleanno e non lo vorrei diversio: con gli amici, Vittorio, i figli che quest' anno sono a Milano, ma con loro abbiamo festeggiato domenica scorsa, prima di partire.
Sono dove voglio essere, il luogo delle memorie, che mi ricorda tanti compleanni, me ragazza e poi mamma e il crescere dei figli..
L' altro ieri siamo andati su in paese: da quando veniamo in albergo ci andiamo meno ma sono percorsi rituali e gioiosi. si va nei negozi, si saluta il farmacista che è amico d' infanzia mio e di Vittorio, si nota la gioia nei volti delle persone: è passato un altro anno e ci si ritrova di nuovo e non sembra di invecchiare perchè ognuno agli occhi dell' altro rimane il ragazzo che fu e dividiamo gli stessi ricordi.
Tra poco è mezzanotte: è un altro compleanno e tutto è come voglio che sia e come deve essere; si sente il rumore del mare, la cantante ora ha intonato:" Besame mucho"...è proprio dolce e rassicurante essere qua.

domenica 7 agosto 2011

TANTI ALUNNI




Quando sono entrata su facebook l' ho fatto principalmente per contattare ex alunni e avere loro notizie; alcuni continuavo a sentirli, a vederli quando venivano a scuola a trovarci, poi, una volta in pensione, mi prese questo desiderio.
Su più di 400 amici, circa 200 sono ex alunni: le loro età vanno dai 18 anni di quelli dell' ultima classe in cui ho insegnato a quelli di 40- 45 anni di quando, da Napoli andavo tutti i giorni a Melito, paese della periferia Nord dove ho lavorato per più di dieci anni.
A volte sul mio blog scrivo storie tristi e ieri la nota postata sulla storia di Bendo, un ragazzo albanese, ha suscitato una serie di interventi.
Penso sia giusto parlare della moltitudine di ragazzi riusciti bene e sono tanti. Giovanni, che ha 40 anni e a cui ho dedicato un capitolo del mio blog, che venne in terza media nella mia classe, dopo una serie di ripetenze e ora è uno splendido quarantenne, realizzato nel lavoro e negli affetti.
Sasà che aveva una famiglia belle e unita, una sorella maggiore che era stata mia alunna e un fratello minore: a 13 anni, in terza media, era tanto alto che gli demmo la parte di protagonista nella commedia di Eduardo " Non ti pago". Bisognò lavorare sulla voce, perchè la stava cambiando e alternava tono alti a toni bassi ma fu bravissimo; poi, alle superiori perse il padre e dovette affrontare problemi a non finire; ora ha anche lui 40 anni, una bella famiglia, un  lavoro, una madre che non si è mai arresa e che lo ha sempre supportato,si prodiga molto anche per il suo quartiere, ha carisma, è realizzato.
Cosimo il " fedele"; il padre voleva che studiasse ragioneria, lui, appoggiato da me, scelse l' Istituto alberghiero: ora è chef, professore all' alberghiero, ha due ristoranti, moglie e tre figli.
Mi scrivono di tanto in tanto e qualche volta Cosimo mi telefona; ricordano tutti i momenti passati insieme; anche loro, quando io posto le note che riguardano il nostro cammino comune si commuovono e anche a loro sembra che sia successo ieri.
E tutti gli alunni di Milano, quelli che, prima ancora che io venissi su fb avevano creato un sito sul Cineforum che per 20 anni io ho organizzato a scuola.
Gaia, convinta animalista che quando mi vedeva col visone mi apostrofava dicendomi " Prof non si vergogna di avere addosso tutti quei cadaveri di povere bestioline?" era brava e lo è ancora adesso, fa tanto sport oltre l' Università.
Rita e la sua passione per la medicina che l' ha portata verso quella strada, la Moretti che in medicina si è laureata, Stefano che è ingegnere e ricorda ancora le lotte infinite con me che in terza media gli imponevo di leggere " I vicerè " e lui si rifiutava e io insistevo e fu una lotta continua per tutto l' anno; al suo penultimo compleanno, nel mandargli gli auguri gli ho proposto il libro come regalo: abbiamo riso insieme, ricordava ancora tutto.
E Matteo che anche è ingegnere e a scuola era bravissimo e silenzioso e ora chatta allegramente con me  a volte la domenica mattina, ricordando episodi di tanti anni fa.
Emanuela, che ora è mamma e qunado le ho chiestol' amicizia su fb mi ha scritto: " Prof, ma non mi fa " cazziate " come a scuola?"
E Gianluca dolce e sensibile, figlio di un collega, ora padre anche lui che ricorda episodi degli anni passati insieme e si confida spesso con me.
E Andrea, napoletano come me e come me tifoso del Napoli; è mio amico su fb ma non mi ha mai scritto, solo qualche " mi piace " quando si parla della nostra squadra, ma so che c' è e che sta bene.
E, oltre Emanuela le tante ragazze ora mamme: Dalida, fiera e piena di dignità da quando era bambina: è uscita indenne e vittoriosa da ogni avversità e tempesta;  Marta che arrivò un anno dalla Polonia, era il '96, non conosceva una parola di italiano, ora mi ha scritto per chiedermi l' amicizia, ricordare il passato, e parlarmi di suo marito e dei suoi bambini.
Erica che aveva il padre sardo e la mamma filippina e Filip che era di Belgrado e da ricco straniero residente a Milano si è trovato a lottare per la cittadinanza italiana, sempre lavorando e senza mai abbattersi, grazie anche alla ragazza che ha avuto al suo fianco.
E Christian che ora è geometra e lavora nell' impresa di suo padre e ha la fidanzata napoletana e a settembre scorso ha diretto i lavori per ridipingermi casa; litighiamo sempre perchè abbiamo differenti fedi politiche, ma ci vogliamo bene.
E ne potrei citare ancora tanti: ragazzi, uomini e donne che hanno vissuto la loro giovinezza più o meno spensierata, affrontando taluni difficoltà non indifferenti, senza mollare e costruendosi una vita dignitosa e affetti stabili: l' Italia è fatta anche di loro, soprattutto di loro.

mercoledì 3 agosto 2011

MARIA GAMBINO E ALTRE COLF.


Ora si chiamano colf, una volta cameriere o domestiche; per molti di noi erano ( e sono ancora ) le vestali del focolare domestico, le colonne su cui poggiava l' andamento di tutta la casa, le consolatrici dei nostri capricci infantili, dispensatrici di merende, di insegnamenti, consigli.
Quando io ero piccola, la domestica, generalmente, viveva in casa delle famiglie presso cui lavorava; alcune venivano dalla campagna, altre erano di Napoli; poi ci sono state, a Milano donne a ore, di varia nazionalità, ma tutte a me care.
La prima domestica della mia vita si chiamava Rosa: napoletana purosangue, era a servizio dal mio nonno paterno e mamma, quando si sposò e andò a vivere a casa del suocero, la trovò.
Era una grande cuoca e questo fu una fortuna, per mia madre prima e per me poi.
Mamma, figlia di una milanese, venne da una casa di sole tre donne in una famiglia numerosa composta da dodici tra fratelli e sorelle; c' erano sempre ospiti. Tutta la nostra abilità culinaria è frutto degli insegnamenti di Rosa:  le parmigiane di melanzane, " crocchè " e arancini di riso fritti a temperatura giusta, timballi di pasta al sugo o alla bechamel, pizza di scarola, dobbiamo il nostro sapere a lei.
Quando io ebbi un anno e mezzo, il nonno morì, la casa fu venduta e noi ci trasferimmo prima a pochi palazzi di distanza e qualche anno dopo a Fuorigrotta.
Qua abitava anche Rosa; dopo la pensione abitava dai nipoti, ma non si trovava bene e chiese a mamma se poteva tornare da noi.
Fu accolta con gioia perchè nell' intervallo avevamo cambiato diverse domestiche senza rimanere contenti, mamma insegnava e così Rosa ritornò dopo otto anni a casa nostra e vi rimase fino alla sua morte.
Di lei ricordo la saggezza: era un po' come un personaggio di Eduardo, poco propensa alle effusioni, brusca ma efficiente, con una sua filosofia.
Morì in pochi giorni e fu strano vedere i nipoti venire a casa nostra per vederla e poi il funerale e fu tanta la tristezza...
Era il 1965, l' anno della mia licenza liceale; a ottobre venne, per restare per 20 anni, Maria Gambino.
Maria è come Pietro Taricone rispetto ai partecipanti al " Grande Fratello": l' unica ad essre sempre ricordata, anche quando ne parliamo tra di noi, con nome e cognome.
Su di lei fiorì e si alimentò un' aneddotica che, dopo più di 25 anni, dura ancora.
Era la più sventurata delle poverissime figlie di un contadino di Fontanarosa, in provincia di Avellino.
Aveva servito, accudito e tirato su fratelli, sorelle minori e nipoti.
La famiglia viveva coltivando aglio, quando la sua fu solo una bocca da sfamare in più la mandarono a servizio in città.
Aveva poco più di quarant' anni quando venne da noi; parlava e parlò sempre un italiano improbabile e molti vocaboli  sono rimasti nel nostro lessico; era magra, scura e con i capelli neri raccolti a crocchia.
Non sapeva nulla di servizio domestico; ci volle tutta l' abilità, signorilità e delicatezza di mia madre perchè imparasse.
Il primo giorno apparecchiò per pranzo senza piatti, solo con la zuppiera al centro: così facevano in campagna; dava e diede sempre a tutti il " tu " non sapendo usare il " voi", mentre noi le davamo del " voi" tranne mamma quando, raramente, visto inutile qualunque tentativo di farsi capire le si rivolgeva con il "tu", " Tanto " diceva " lei mi dà sempre del tu, potrò anche io, qualche volta?"
Era di una bruttezza tale che mio padre e mio zio, presenti al suo arrivo, si versarono e bevvero due cognac; per anni mio padre, da lei venerato, portò avanti la favola che mamma l' avesse assunta apposta per evitargli qualunque tentazione.
Aveva i denti sporgenti; andò da un odontoiatra e se li fece tirare via in un' unica volta e mettere la dentiera.
Fu un atto precipitoso ma migliorò molto il suo aspetto.
A telefono, i primi tempi, non sapeva rispondere " Pronto", urlava " Chi sei?"; mio zio, credette un giorno di aver sbagliato e riattaccò.
Non c' era verso che riferisse in modo giusto anche solo per approssimazione, il nome di qualcuno che aveva telefonato; io avevo un' amica che si chiamava Ornella Santoro; lei mi disse che aveva telefonato un certo " Colonnello Flambon" e commentò " Signò però teneva 'na voce ' e femmena"
Quando rompeva qualcosa, una tazza, un piatto, andava da mamma con i cocci e annunciava: " S' è buttato"...come avessimo stoviglie kamikaze.
Un giorno, dopo tentativi inutili di sapere chi avesse telefonato, mio padre, spirito allegro, per dimostrarci l' inutilità dei nostri tentativi le chiese " Maria, per caso si chiamava Alessandro Magno?" e lei  trionfante " Sì cummendatò ha ditto proprio accussì! ".
Un giorno mamma,a Vico uscì e le raccomandò , se avesse citofonato una sua amica, di rispondere che lei stava per arrivare. Quando terminò le sue commissioni chiamò lei stessa per controllare; non ci fu verso: Maria non la riconosceva e, fedele alla consegna diceva " La signora non c' è, " ha " uscita".
Solo quando mamma, abbandonata ogni speranza, risalì lei esultante le disse che qualcuno aveva chiamato per cercarla.
Aveva dei suoi termini che usiamo ancora; per dire di provare la pasta per vedere se era cotta al punto giusto ci chiamava tutti e diceva : " Affacciate la pasta "; ancora oggi diciamo così.
A Napoli lasagna è singolare non come al Nord che è plurale: "le lasagne"; Maria credeva che "la " fosse l' articolo e " sagna  "il nome del piatto.
Lavorava tantissimo e ci proibiva di aiutarla; abituata a quello di campagna diceva che questo non si poteva nemmeno chiamare lavoro.
Portava il camice azzurro e il grembiule bianco. Quando eravamo a tavola se per caso ci accorgevamo che aveva dimenticato di mettere una posata o un bicchiere dovevamo fare un esercizio complicato: qualcuno la distraeva e un altro di noi andava in cucina e prendeva l' oggetto che mancava; guai se se ne fosse accorta, avrebbe urlato: " Cacciate fuori la posata ( o il bicchiere ) ", rifiutando di ammettere che poteva avere dimenticato qualcosa.
Dopo cena sparecchiava, rifiutando ogni aiuto e andava e veniva fermandosi a guardare la tv; poi, terminato il lavoro in cucina, eseguivamo tutti uno strano rito da lei ideato ( quando c' erano amici era uno spasso).
Veniva in salotto, prendeva una sedia, si sedeva davanti alla tv, vicino a noi, poi si alzava a metà e rivolgendosi a tutti diceva: " Buona sera " e noi rispondevamo: "Buona sera, Maria".
Era il suo modo di significare che, da quel momento era finita la parte lavorativa della giornata e cominciava quella conviviale.
E' stata da noi per 20 anni, ha visto sposare me e mia sorella, morire mio padre, nascere i figli miei ( masculi per fortuna ) e quelli di mia sorella, è stata la loro compagna di giochi e la loro schiava fedele.
Poi è tornata al paese, ricca ormai, con liquidazione e pensione per godere gli ultimi anni facendo quello che le piaceva di più: guardare la tv.
Andammo anni dopo a trovarla; aveva un principio di demenza e, pur riconoscendo i ragazzi, faticava a distinguere uno dall' altro, e pensare che li aveva cresciuti tutti e quattro.
Ci telefonava la domenica qualche volta  anche quando venimmo a Milano; poi la sorella chiamò per dire che aveva avuto un ictus: non ho mai avuto il coraggio di tcontattarli per sapere se e quando fosse morta.
A Milano è stato un susseguirsi di colf: italiane, colombiane, una scozzese, una dello Zambia, cingalesi, un filippino gay, mai accettato da mia madre, ormai anziana, non perchè gay ma perchè uomo.
 Gli ultimi anni sono stati difficili perchè era in atto un conflitto di competenza fra le colf che vedevano come referente me e lei che non accettava questo.
Poi, dopo la morte di mamma,  dal 2001 c' è Delia, filippina moglie del nostro portinaio, filippino anche lui.
Viene da noi ogni giorno e va via a ora di pranzo; ora che siamo soli Vittorio e io potrei dirle di venire tre volte a settimana, ma c'è quel bel rapporto che vivendo per tanti anni con la mia mamma ho imparato anche io ad avere: rispetto e stima, amicizia e complicità,  intimità ma con una punta di distacco; ci vogliamo bene, lei conosce i miei gusti, anticipa i miei desideri, ci capiamo.
A volte le dico:" Delia, lei è la mia badante" e alla sua risposta :" A me non pace fare badante" io ribadisco: " No, non SARA' la mia badante E' GIA' la mia badante e non lo sa !"
E ci facciamo, insieme, una bella risata.