mercoledì 3 agosto 2011

MARIA GAMBINO E ALTRE COLF.


Ora si chiamano colf, una volta cameriere o domestiche; per molti di noi erano ( e sono ancora ) le vestali del focolare domestico, le colonne su cui poggiava l' andamento di tutta la casa, le consolatrici dei nostri capricci infantili, dispensatrici di merende, di insegnamenti, consigli.
Quando io ero piccola, la domestica, generalmente, viveva in casa delle famiglie presso cui lavorava; alcune venivano dalla campagna, altre erano di Napoli; poi ci sono state, a Milano donne a ore, di varia nazionalità, ma tutte a me care.
La prima domestica della mia vita si chiamava Rosa: napoletana purosangue, era a servizio dal mio nonno paterno e mamma, quando si sposò e andò a vivere a casa del suocero, la trovò.
Era una grande cuoca e questo fu una fortuna, per mia madre prima e per me poi.
Mamma, figlia di una milanese, venne da una casa di sole tre donne in una famiglia numerosa composta da dodici tra fratelli e sorelle; c' erano sempre ospiti. Tutta la nostra abilità culinaria è frutto degli insegnamenti di Rosa:  le parmigiane di melanzane, " crocchè " e arancini di riso fritti a temperatura giusta, timballi di pasta al sugo o alla bechamel, pizza di scarola, dobbiamo il nostro sapere a lei.
Quando io ebbi un anno e mezzo, il nonno morì, la casa fu venduta e noi ci trasferimmo prima a pochi palazzi di distanza e qualche anno dopo a Fuorigrotta.
Qua abitava anche Rosa; dopo la pensione abitava dai nipoti, ma non si trovava bene e chiese a mamma se poteva tornare da noi.
Fu accolta con gioia perchè nell' intervallo avevamo cambiato diverse domestiche senza rimanere contenti, mamma insegnava e così Rosa ritornò dopo otto anni a casa nostra e vi rimase fino alla sua morte.
Di lei ricordo la saggezza: era un po' come un personaggio di Eduardo, poco propensa alle effusioni, brusca ma efficiente, con una sua filosofia.
Morì in pochi giorni e fu strano vedere i nipoti venire a casa nostra per vederla e poi il funerale e fu tanta la tristezza...
Era il 1965, l' anno della mia licenza liceale; a ottobre venne, per restare per 20 anni, Maria Gambino.
Maria è come Pietro Taricone rispetto ai partecipanti al " Grande Fratello": l' unica ad essre sempre ricordata, anche quando ne parliamo tra di noi, con nome e cognome.
Su di lei fiorì e si alimentò un' aneddotica che, dopo più di 25 anni, dura ancora.
Era la più sventurata delle poverissime figlie di un contadino di Fontanarosa, in provincia di Avellino.
Aveva servito, accudito e tirato su fratelli, sorelle minori e nipoti.
La famiglia viveva coltivando aglio, quando la sua fu solo una bocca da sfamare in più la mandarono a servizio in città.
Aveva poco più di quarant' anni quando venne da noi; parlava e parlò sempre un italiano improbabile e molti vocaboli  sono rimasti nel nostro lessico; era magra, scura e con i capelli neri raccolti a crocchia.
Non sapeva nulla di servizio domestico; ci volle tutta l' abilità, signorilità e delicatezza di mia madre perchè imparasse.
Il primo giorno apparecchiò per pranzo senza piatti, solo con la zuppiera al centro: così facevano in campagna; dava e diede sempre a tutti il " tu " non sapendo usare il " voi", mentre noi le davamo del " voi" tranne mamma quando, raramente, visto inutile qualunque tentativo di farsi capire le si rivolgeva con il "tu", " Tanto " diceva " lei mi dà sempre del tu, potrò anche io, qualche volta?"
Era di una bruttezza tale che mio padre e mio zio, presenti al suo arrivo, si versarono e bevvero due cognac; per anni mio padre, da lei venerato, portò avanti la favola che mamma l' avesse assunta apposta per evitargli qualunque tentazione.
Aveva i denti sporgenti; andò da un odontoiatra e se li fece tirare via in un' unica volta e mettere la dentiera.
Fu un atto precipitoso ma migliorò molto il suo aspetto.
A telefono, i primi tempi, non sapeva rispondere " Pronto", urlava " Chi sei?"; mio zio, credette un giorno di aver sbagliato e riattaccò.
Non c' era verso che riferisse in modo giusto anche solo per approssimazione, il nome di qualcuno che aveva telefonato; io avevo un' amica che si chiamava Ornella Santoro; lei mi disse che aveva telefonato un certo " Colonnello Flambon" e commentò " Signò però teneva 'na voce ' e femmena"
Quando rompeva qualcosa, una tazza, un piatto, andava da mamma con i cocci e annunciava: " S' è buttato"...come avessimo stoviglie kamikaze.
Un giorno, dopo tentativi inutili di sapere chi avesse telefonato, mio padre, spirito allegro, per dimostrarci l' inutilità dei nostri tentativi le chiese " Maria, per caso si chiamava Alessandro Magno?" e lei  trionfante " Sì cummendatò ha ditto proprio accussì! ".
Un giorno mamma,a Vico uscì e le raccomandò , se avesse citofonato una sua amica, di rispondere che lei stava per arrivare. Quando terminò le sue commissioni chiamò lei stessa per controllare; non ci fu verso: Maria non la riconosceva e, fedele alla consegna diceva " La signora non c' è, " ha " uscita".
Solo quando mamma, abbandonata ogni speranza, risalì lei esultante le disse che qualcuno aveva chiamato per cercarla.
Aveva dei suoi termini che usiamo ancora; per dire di provare la pasta per vedere se era cotta al punto giusto ci chiamava tutti e diceva : " Affacciate la pasta "; ancora oggi diciamo così.
A Napoli lasagna è singolare non come al Nord che è plurale: "le lasagne"; Maria credeva che "la " fosse l' articolo e " sagna  "il nome del piatto.
Lavorava tantissimo e ci proibiva di aiutarla; abituata a quello di campagna diceva che questo non si poteva nemmeno chiamare lavoro.
Portava il camice azzurro e il grembiule bianco. Quando eravamo a tavola se per caso ci accorgevamo che aveva dimenticato di mettere una posata o un bicchiere dovevamo fare un esercizio complicato: qualcuno la distraeva e un altro di noi andava in cucina e prendeva l' oggetto che mancava; guai se se ne fosse accorta, avrebbe urlato: " Cacciate fuori la posata ( o il bicchiere ) ", rifiutando di ammettere che poteva avere dimenticato qualcosa.
Dopo cena sparecchiava, rifiutando ogni aiuto e andava e veniva fermandosi a guardare la tv; poi, terminato il lavoro in cucina, eseguivamo tutti uno strano rito da lei ideato ( quando c' erano amici era uno spasso).
Veniva in salotto, prendeva una sedia, si sedeva davanti alla tv, vicino a noi, poi si alzava a metà e rivolgendosi a tutti diceva: " Buona sera " e noi rispondevamo: "Buona sera, Maria".
Era il suo modo di significare che, da quel momento era finita la parte lavorativa della giornata e cominciava quella conviviale.
E' stata da noi per 20 anni, ha visto sposare me e mia sorella, morire mio padre, nascere i figli miei ( masculi per fortuna ) e quelli di mia sorella, è stata la loro compagna di giochi e la loro schiava fedele.
Poi è tornata al paese, ricca ormai, con liquidazione e pensione per godere gli ultimi anni facendo quello che le piaceva di più: guardare la tv.
Andammo anni dopo a trovarla; aveva un principio di demenza e, pur riconoscendo i ragazzi, faticava a distinguere uno dall' altro, e pensare che li aveva cresciuti tutti e quattro.
Ci telefonava la domenica qualche volta  anche quando venimmo a Milano; poi la sorella chiamò per dire che aveva avuto un ictus: non ho mai avuto il coraggio di tcontattarli per sapere se e quando fosse morta.
A Milano è stato un susseguirsi di colf: italiane, colombiane, una scozzese, una dello Zambia, cingalesi, un filippino gay, mai accettato da mia madre, ormai anziana, non perchè gay ma perchè uomo.
 Gli ultimi anni sono stati difficili perchè era in atto un conflitto di competenza fra le colf che vedevano come referente me e lei che non accettava questo.
Poi, dopo la morte di mamma,  dal 2001 c' è Delia, filippina moglie del nostro portinaio, filippino anche lui.
Viene da noi ogni giorno e va via a ora di pranzo; ora che siamo soli Vittorio e io potrei dirle di venire tre volte a settimana, ma c'è quel bel rapporto che vivendo per tanti anni con la mia mamma ho imparato anche io ad avere: rispetto e stima, amicizia e complicità,  intimità ma con una punta di distacco; ci vogliamo bene, lei conosce i miei gusti, anticipa i miei desideri, ci capiamo.
A volte le dico:" Delia, lei è la mia badante" e alla sua risposta :" A me non pace fare badante" io ribadisco: " No, non SARA' la mia badante E' GIA' la mia badante e non lo sa !"
E ci facciamo, insieme, una bella risata.

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