martedì 31 gennaio 2012

POTREBBE SUCCEDERE...


Era nervosa, lo sapeva che non avrebbe dovuto acconsentire, era una cosa stupida, non ci si guarda mai indietro. Guarda tu in che giornata irreale era capitata.
Lei, così stanziale, restia a muoversi dalla solita vita, dalle sue abitudini, ritornare in questo posto dove aveva insegnato sì per tanto tempo ma dove ormai non tornava da venticinque anni.
Beh ormai c' era, controllò la sua immagine per la centesima volta nello specchio dell camera d' albergo.
" Sei invecchiata tanto, puoi essere elegante quanto vuoi, ma sei vecchia!". Poi pensò che, in realtà anche per gli altri erano passati tutti quegli anni e questo, se possibile, la consolò, ma poco.

Si trovava in un paese della periferia nord di Napoli. Ci era arrivata tanti anni prima, più di trenta con una nomina annuale di supplente. Appena entrata in paese da una cabina telefonica ( le cabine, mio Dio non esistevano i cellulari), aveva telefonato a casa dicendo che ci voleva poco ad arrivarci.
Era stato amore a prima vista. Aveva già insegnato in altri posti e avrebbe ( non sapeva allora, insegnato anche molto lonatano ) ma quel paese, non particolarmente bello, la strada principale che si identificava con la via Appia, palazzi cresciuti disordinatamente qua e là, negozi sui due lati, l' aveva presa, conquistata, lo aveva subito sentito suo.
La scuola era in una strada laterale, ovviamente casa di civile abitazione adibita a edificio scolastico; la classe era una prima media maschile dove dire che regnava il caos era dire poco. 
Ma si affezionò, le piacque il tutto; ci sono degli strani legami che si stabiliscono tra cose e persone e quel luogo le appartenne e fu per sempre, anche dopo, nei ricordi.
Tra gli alunni c' era il figlio della bidella ( erano dieci tra fratelli e sorelle e molti, dopo, furono suoi alunni), il figlio del fruttivendolo che i compagni chiamavano" parulano". Lei non sapeva il significato della parola che, in dialetto indicava appunto il mestiere e, credendo che significasse chiacchierone, lo chiamò così un giorno e il ragazzo si offese molto.
Imparò tanto quell' anno: a trattare le utenze turbolente e miste, a farsi rispettare, ad essere dura e tenera al tempo stesso perchè i ragazzi non riescono ad amare chi non sa farsi rispettare.
L' anno dopo fu richiamata per una supplenza là, ma ebbe l' incarico dal Provveditorato nelle scuole serali e scelse quello.
Dopo due anni ottenne l' incarico a tempo indeterminato e, tra le varie sedi scelse quel luogo che aveva subito amato.
Vi rimase per oltre dieci anni, andò via solo per seguire marito e figli a Milano.
Furono anni belli, prima classi " meschinelle " ma, proprio per questo, più amate. Nel '79 fu consegnata la scuola nuova, bellissima, un po' fuori paese. Era stata progettata e costruita da un grande architetto; al pianterrenno c' era uno spazio naturale a cavea da adibire a teatro. 
Ci fu subito chiasso per quali classi e insegnanti dovessero andare nella scuola nuova e quali imanere in paese. Il primo anno si decise che si sarebbe fatto a turno, metà sezioni una parte dell' anno e poi scambio.
Ma subito dopo si capì che si doveva formare un nuovo organico e decidere per una sistemazione stabile e definitiva.
Alcuni colleghi più anziani preferirono rimanere in paese, non dovevano prendere la macchina.
Lei fu avvertita da un collega di matematica, che fu poi il suo collega di corso per tanti anni, che c' era in atto un "golpe" per non assegnarle la sezione che le spettava.
Non era un fatto personale, si trattava della sezione dei figli dei " notabili " del paese, lei era brava ma passava per un' insegnante dalla metodologia un po' trasgressiva e poi i genitori preferivano che i figli terminassero la terza con l' insegnante di lettere che avevano avuto in prima e seconda.
Quella fu poi la " sua " sezione per tanti anni ed era mista, c' erano come dovunque, figli di signori e di poveretti; fu il fatto che non glielo chiedessero ma lo volessero fare di nascosto che la irritò: fece valere i suoi diritti di graduatoria. Del resto l' imbroglio non avrebbe avuto buon esito perchè l' altra collega risultò soprannumeraria e venne trasferita.
Fu l' anno più difficile della sua carriera, forse insieme ad un altro, ma quello venne dopo.
La classe era maschile, alle spalle dei ragazzi genitori diffidenti e scontenti perchè non avevano ottenuto quello che volevano ed erano impauriti dalla sua possibile reazione.
Fu un inverno di grande tensione; mai prima e dopo le capitò di non provare gioia a scuola. 
Dispiegò tutto il suo sapere, preparò lezioni di letteratura e storia " risplendenti"; insegnò al meglio delle sue capacità analisi logica e del periodo, si impegnò perfino in geografia.
Alcuni, anzi parecchi ragazzi riuscì a catturarli, lo vedeva dalla simpatia che le dimostravano; ma non si creò mai l' atmosfera intima e gioiosa che per sempre caratterizzò le sue classi.
C' era un gruppo di " frondisti" che non erano maleducati in modo aperto, ma si guardavano, commentavano a voce bassa, le ponevano domande con tono supponente. E a capo della fronda c' era lui, Alfonso.
La madre era la vicepreside della scuola, il padre il sindaco del paese, lui un ragazzo intelligente, biondo con gli occhi azzurri, sembrava tedesco, figlio unico e viziatissimo, mai un sorriso, sempre un' aria di :" Ti sto a sentire proprio perchè devo".
Un pomeriggio, non ricordava perchè, si erano trovati a scuola, c' era una partita di calcio. Erano a poca distanza, lei insegnante giovane e ostinata e lui col volto corrucciato e ribelle. Non la salutò, continuò ostinatamente a fissarla quasi a farle capire che in orario non scolastico era libero di ignorarla.
Come Dio volle si arrivò agli esami; agli scritti, niente da dire, bei temi i bravi, discreti o sufficienti gli altri.
All' orale allora non si usava, come ora, portare " la tesina". Si veniva interrogati sul programma.
La mamma di Alfonso lo accompagnò all' orale e restò presente ; continuava a ripetere che il figlio aveva preparato argomenti particolari che aveva piacere di esporre.
E lei, la prof e gli altri, imperterriti a porre le " loro " domande; poichè il ragazzo quell' anno aveva studiato poco e niente, aveva sprecato più energie a capeggiare la fronda anti-prof, sapeva poco e male.
Dopo la fine dell' esame scoppiò il terremoto: il collega di matematica sosteneva che il ragazzo DOVEVA avere ottimo ugualmente, gli altri protestavano, lei, questa volta, capeggiò la fronda. Mai, prima di allora e mai in seguito, si schierò per abbassare un voto a un alunno e non per alzarlo. Non era nemmeno desiderio di vendetta puro e semplice; ogni fallimento verso un alunno è comunque un fallimento dell' insegnante, si pensa per sempre: " Averi potuto fare di più, comportarmi diversamente".
In quel caso era un atto di giustizia, la speranza, forse vana, che un voto in meno gli servisse da lezione. 
Il collega di matematica si impuntò: se Alfonso non avesse avuto ottimo ma distinto, la stessa sorte doveva toccare agli altri, eccetto uno bravissimo a cui sarebbe toccato l' ottimo.
Dopo ci furono altre classi e altri anni; la professoressa e il ragazzo non si incontrarono mai. In compenso uno dei compagni che si era visto abbassare il voto senza sapere perchè, venne spesso a scuola e, ostentatamente, non la salutò. La colpa fu data a lei; spesso fu tentata di fermare questo ragazzo, si chiamava Giovanni, e di spiegarsi con lui. Anni dopo, lei era già a Milano, seppe che Giovanni era morto in una corsa folle del sabato sera; aveva 21 anni.
Le restò per sempre il rimorso, scrisse una lettera ai genitori che, avendo dimenticato il lontano episodio, le risposero grati e commossi.
Gli anni passavano: la sezione divenne la " sua " sezione, i genitori facevano a gara perchè i figli vi fossero iscritti: lei e i colleghi lavoravano bene insieme. Organizzò recite, visse momenti di vera gioia sia con gli alunni che con gli altri professori.
Nell' 86 al marito fu offerto un lavoro importante a Milano; si decise che lui sarebbe partito a settembre e lei a fine anno scolastico, a giugno dell' 87 con i bambini e sua madre che si trasferiva con loro. 
Anche quello fu un anno tremendo fatto di un lungo unico addio silenzioso.
Nessun " per sempre " umano lo è veramente, ma sentire fare programmi per l' anno dopo e pensare che l' anno dopo per lei sarebbe stato un punto di domanda in un luogo sconosciuto fu veramente dura da sopportare.
Ogni giorno, dentro di sè salutava qualcosa: l' ultimo Natale, l' ultimo Capodanno, l' ultima primavera con i ragazzi che giocavano in cortile approfittando delle prime settimane di sole.
La partenza fu quasi una liberazione: tornò l' anno dopo per un giorno ma già era immersa nella nuova realtà, la sfida con Milano fu bella e vittoriosa, il suo orizzonte si allargò, fece belle esperienze, insegnò ai rom, nelle periferie degradate e poi gli ultimi tredici anni di nuovo in una scuola che diventò la " sua " scuola e dove anche adesso si recava qualche volta a trovare colleghi, bidelli a partecipare a pranzi in occasione di pensionamenti.
Si scosse, era rimasta immersa in pensieri lontani, era ora di muoversi.
Dopo la pensione c' era stata la passione del computer, facebook e tutti questi antichi alunni di quaranta, quasi cinquant' anni ritrovati sul network.
Le scrivevano che non l' avevano dimenticata, anzi la lontananza l' aveva resa quasi un mito ai loro occhi.
Erano riusciti a convincerla a partecipare a una festa in suo onore, a tornare ancora una volta nella vecchia scuola dove ormai anche il personale di segrateria e molte professoresse erano sue ex alunne; si era lasciata convincere, che stupida!
Chiamò un taxi e si avviò, al ritorno qualcuno l' avrebbe accompagnata in albergo.
Arrivò frastornata, il paese era cambiato, si era ingrandito in modo disordinato non riconosceva più i posti; pensò come nella vita tutto sia legato a un momento, a una decisione: non rimpiangeva niente eppure, se non fosse andata via, ora sarebbe una professoressa in pensione ( come era) che ritornava in un luogo noto e abituale.
Ecco la scuola, una folla di persone; mamma mia che facce ! Quelle donne e uomini di mezza età il capello fresco di parrucchiere e la pancetta erano i suoi ragazzini di una volta: e lei sarebbe sembrata una cariatide.
" Datti una calmata, alza la testa e affronta l' inevitabile! " disse a se stessa.
I minuti seguenti furono una confusione indescrivibile di abbracci, commozione:" Si ricorda di me?...Questo è mio figlio...Come sta bene!!!...Sembra una ragazza (?!?!)".
In una sala c' era un buffet con un rinfresco, il preside attuale, fortunatamente sconosciuto, imbastì un discorsetto, vicino a lei c' era Biagio chiamato " Baffo " da lei e "Jonny " dagli alunni che lei ricordava ragazzo, fresco di servizio militare, appena nominato professore di educazione fisica; dov' erano finiti i suoi capelli e la baldanza giovanile? Era un professore di mezza età prossimo alla pensione.
Era strattonata e chiamata a destra e sinistra quando sentì una voce esclamare :" Il sindaco, ecco il sindaco!".
Alzò gli occhi distrattamente...:" No, questo è troppo" e vide l' antico avversario, Alfonso che veniva verso di lei con aria affettuosa e spigliata, pronto, forse, ad abbracciarla e a rivolgerle un discorsetto di benvenuto.
Quale fu il diavoletto maligno che si impossessò di lei? Si finse una vecchia rimbambita, asserì di non avere memoria, che si sa gli anni passano e lei non riusciva proprio a ricordarlo. Lui, poverino, ormai placato e adulto, con pazienza le ricordava fatti, nomi, date e lei si fingeva sempre più impacciata:" Mi dispiace...scusa, anzi mi scusi, ma sa tanti anni, tante classi, migliaia di alunni, non mi viene in mente"; si sentì veramente meschina! Questa e non il senso di giustizia di tanti anni prima, era la sua vera vendetta!
Due ore dopo era tutto finito e, mentre aspettava che l' accompagnassero a casa, nella scuola che si andava ormai svuotando, le venne il desiderio di andare a guardare un' ultima volta la sua vecchia aula. Era cambiato tutto: secondo piano, ecco, aprì la porta e i ricordi, naturalmente, l' assalirono. Assaporò il passato finalmente sola, poi chiuse la porta e stava ritornando indietro per il corridoio quando qualcuno, camminando a testa bassa, le venne contro.
Tirò fuori la sua voce da professoressa ed esclamò:" Alfonso, non lo perderai mai il vizio di camminare sbattendo contro la gente!". 
Lui alzò gli occhi, la guardò, capì, ricordò e sul volto gli apparve una buffa espressione tra il riso trattenuto e la commozione; lei fece un gesto istinivo che aveva fatto centinaia di volte nella vita: alzò la mano, gli ravviò il ciuffo che gli cadeva sulla fronte come quando era ragazzo e poi la mano scese lieve sulla guancia per una carezza che era, allo stesso tempo, perdono e richiesta di scusa.
Intorno a loro scomparvero i corridoi e l' odore di scuola e furono di nuovo come quel pomeriggio sul campo di calcio: la giovane professoressa ostinata e desiderosa di conquistare il suo animo e il ribelle e cocciuto ragazzo che si fronteggiavano.
Lui chinò appena la testa e la tenne premuta sulla mano di lei; durò qualche secondo, poi non c' era più, il corridoio tornò deserto. 
Era tempo di andare, di tornare alla sua vita di sempre; la festa era finita e nel complesso era andata meglio del previsto. 
Come in un magico" Sliding doors", una finestra si era aperta sul passato e un pezzetto di un mosaico incompleto era andato al suo posto.

domenica 29 gennaio 2012

LESSICO FAMIGLIARE ( O FAMILIARE )


Ci sono frasi o espressioni che in famiglia vengono usate in talune circostanze; molte volte noi stessi dimentichiamo da quale fatto abbia origine tale abitudine ma lo facciamo e, spesso tali frasi passano da una generazione all' altra e se ne perde l' origine.
Natalia Ginzburg nel suo bellissimo libro tratta l' argomento e stasera a me venivano in mente alcune espressioni che a casa nostra si usano da sempre; mi sono divertita a rficordarle e a cercare, soprattutto, di richiamare alla mente come nacquero.
Per tanti anni quando suonava il citofono e giù c' era una persona di famiglia quest' ultima diceva :" Pronto, Rotondo, posso salire?". L' origine di questa frase risaliva a un tale barbiere che si chiamava appunto Rotondo; veniva settimanalmente a casa del nonno a fare barba e capelli. Allora c'erano i "portavoce" antesignani dei citofoni: degli aggeggi costituoti da un buco otturato da un bastoncino legato con una cordicella; soffiando nel buco il suono arrivava su in casa, da là rispondevano e ci si parlava.
Il barbiere diceva :" Pronto, Rotondo, ( il "sono" era sottinteso) e chiedeva se poteva salire.
Quest' uso si è protratto fino a pochi anni fa quando è morto mio cugino, poi la tristezza per la sua scomparsa ci ha tolto l' abitudine.
Mio nonno paterno era un avvocato napoletano, aveva dodici tra figli e figlie e, da vecchio, spesso la casa era piena di gente. Di sera quando era stanco o annoiato e voleva rimanere solo usava in un dialetto italianizzato una frase improbabile che suonava così: " Si ritirano i tram", volendo dare a intendere che, quella sera i tram sarebbero rientrati prima in deposito. Era un implicito invito a sgomberare il campo; io la uso qualche volta quando sono stanca e avrei voglia di fare la doccia e di spogliarmi e c' è ancora gente in casa.
Anche nella famiglia di papà credo sia nata una frase criptica che usiamo tutti: l' origine dell' uso si è perso anche se la frase è nota.
E' un verso de" La cavalleria rusticana " e dice :" S' io non tornassi fa' da madre a Santa". Viene usata quando uno di noi sta per uscire o per partire e ripone un oggetto o un documento in un cassetto che conosce solo lui ( o lei) e llo comunica a un altro che è in casa perchè ricordi, caso mai ce ne fosse bisogno, dov'è la cosa in questione.
Poi c' è tutta la serie di modi di dire e termini bislacchi nati dal cattivo italiano di Maria Gambino la nostra " storica " colf.
" Affacciare" significa provare se la pasta è cotta," si è buttato" si dice di cosa caduta a terra e rotta, lei diceva così quando rompeva una tazza o un piatto; "sagna" sono le lasagne; lei ha sempre creduto che il "la" fosse l' articolo e nesuno di noi l' ha delusa.
Quando siamo colti in fallo e vogliamo scusarci scherzando diciamo come lei :" Lo so, lo so che sono una povera cafona di campagna!".
Mio suocero, quando si arrabbiava diceva:" Faccio il volto dell' arme"; spesso noi usiamo questa espressione che ce lo fa sentire presente.
I ragazzi erano adolescenti e di pomeriggio, a volte, dicevano: " Mamma, facciamo il giro?"
Uscivamo in macchina, andavamo fino alla vecchia casa, quella dove abitammo appena arrivati a Milano, poi ritornavamo, eravamo vicini.
Da allora, fra noi " facciamo il giro " indica quel rito ormai in disuso, ma ci fa tenerezza rievocarlo: la frase implica una serie di ricordi e un intero periodo che fa parte del passato.

giovedì 26 gennaio 2012

PER NON DIMENTICARE


Domani è la giornata della memoria; quando insegnavo, dedicavo questo giorno alla visione, nell' ambito del progetto Cineforum, di un documentario. Si intitola " Memoria di Auschwitz ", è stato girato nel 1992 con persone sopravvissute a quel campo di sterminio; è una produzione Rai; da allora forse è stato proiettato in tv una o due volte.
Lo facevamo vedere a tutte le terze e ha sempre avuto sui ragazzi un impatto emozionale fortissimo, maggiore anche di "Schinler's List" che peraltro uscì anni dopo.
Era bellissimo, i protagonoisti erano testimoni veri di quelle atrocità, provenienti d ogni parte d' Italia; le storie erano raccontate in parallelo. Si cominciava dal racconto delle loro vite di bambini a Venezia, Milano, Firenze, Roma, poi c' era il ricordo delle leggi razziali, l' abbandono forzato della scuola, il giorno dell' arresto ( particolarmente drammatico è il resoconto dell' attacco al ghetto di Roma), le partenze e il viaggio drammatico nei treni stipati, l' arrivo, reale, nel documentario, ad Auschwitz nella neve, la separazione di uomini donne e bambini in tre gruppi diversi.
Alcuni di loro ricordavano l' ultimo sguardo lanciato al padre o alla mamma, ripensavano al fatto che quello sguardo era stato il loro addio.
Poi le storie della prigionia e il dramma di molti di loro che, in occasione del documentario, vi ritornavano per la prima volta.
Alcuni ne hanno fatto un impegno di vita come Edo Fiano e Liliana Segre che accompagnano ancora oggi scolaresche in quel luogo.
La seconda partecipa sempre, e lo farà domani, alla cerimonia presso la stazione di Milano che ricorda la partenza del treno che li portò via.
Nel documentario la Segre ricorda il padre, gli ultimi giorni passati con lui, il senso di impotenza che avvertiva in lui nel non poterla difendere in nessun modo. Prima di arrivare alla stazione il camion che li portava passò per Corso Magenta e lei vide la sua casa; le altre finestre erano tutte chiuse; nessuno si affacciò quel giorno, la gente era chiusa in casa nel silenzio e nella vergogna.
Una signora, rivedendo la baracca dove rimase in quei mesi dice che in 50 anni non c'è notte in cui non l' abbia sognata. A lei è toccato un destino amaro perchè dopo la guerra ha sposato un ex fascista che le ha impedito, durante tutti gli anni del matrimonio, di dire che era ebrea. Solo alla morte del marito lo ha potuto confessare al figlio e a tutti.
Sono passati venti anni da quando questo documentario è stato girato; sono pochissimi i protagonisti ancora vivi.
Da qualche anno è morta Settimia Spizzichino a cui a Roma è stata intitolata una scuola. Nel documentario racconta di una mamma e una figlia che erano sempre insieme e della mattina terribile in cui una di loro non si svegliò più.
Racconta anche di essersi salvata perchè, dopo alcuni mesi, fu mandata nel reparto dove facevano esperimenti medici. Appena arrivata nella baracca, a fatica si alzò e si avvicinò ad un lavabo su cui c' era uno specchio: non riconobbe se stessa nella creatura spettrale che vide.
Un vecchio si salvò perchè fu adibito a spalare con delle carriole quello che rimaneva dopo che un gruppo era stato mandato nelle camere a gas: un giorno arrivò con altri un suo cugino che lo supplicò di fare qualcosa per lui; non poteva, gli diede solo da mangiare qualcosa che aveva messo da parte e, dopo la sua morte pregò per lui in una sorta di cerimonia funebre.
Un altro raccontava che, quando venivano portati a marciare, una volta al mese, erano costretti a passare davanti alle camere a gas. Ogni volta avevano il terrore che non sarebbero tornati più indietro.
Il documentario si chiude con due testimonianze parallele; la prima, di una donna che ha deciso di vivere a Israele che sostiene che alla fine, si sente una vincitrice, e l' altra di una signora morta pochi mesi fa e che all' epoca del documentario era ancora abbastanza giovane, che conclude dicendo che non c'è stato giorno della sua vita in cui non ha maledetto il fatto di essere rimasta viva.
Quest' ultima, poi ha aperto, negli ultimi anni della sua vita, una piccola fabbrica di cioccolatini quasi che la dolcezza di questi potesse, in qualche modo, lenire l' atrocità dei ricordi.
Altri, come Primo Levi, non ci sono riusciti.
Credo che dei tanti protagonisti di quel documentario pochissimi siano ancora vivi; auguriamoci che la memoria si conservi sempre in modo da non dimenticare mai.
Voglio concludere con dei versi che oggi ho messo sul mio stato; sono tratti da una poesia di Paul Celan che si intitola: " Fuga dalla morte " dove la parola " fuga" è intesa in senso musicale
" ...lui grida vangate più a fondo e voi cantate e suonate...brillano le stelle e fischia ai suoi mastini...salirete come fumo nell' aria e avrete una tomba nelle nubi, non si giace stretti lassù " .

domenica 15 gennaio 2012

IL DISASTRO DELLA CONCORDIA


Tutti, specie noi " gente di mare " siamo rimasti sconvolti nell' apprendere del disastro della nave da crociera " Concordia".
" Nessun uomo è un' isola " recita il poeta John Donne; e per noi, nati sul mare è vero quanto mai. Una tragedia di mare ci tocca. Oggi Erri De Luca ha scritto sulla sua pagina di fb: " Il naufragio spetta ai barconi dei migratori. Come si permette un bastimento da crociera di affondare? "
A Napoli c' è un proverbio che dice " Pe' mmare nun ce stanno taverne", che vuole significare la pericolosità del mare.
Io, il mare l' ho sempre amato e non ne ho mai avuto paura. Da bambina più le onde erano alte e più mi lanciavo dentro con voluttà e piacere e anche un brivido di emozione; da più grande ero sempre pronta ad andare in motoscafo, se qualcuno mi invitava, e più il mare era grosso e più l' adrenalina cresceva.
La crociera, quella no, non l' amo; mi scusino gli amici che le hanno fatte e ne parlano con entusiasmo; ognuno ha diritto ai suoi gusti e queste crociere di una settimana con 4000 e passa passeggeri a bordo sembrano dei villaggi vacanze ambulanti; mi sanno tanto di middle class che vuole travestirsi da upper class; si è " intruppati", si fanno i " trenini", insomma le trovo insopportabili!
Altro era la traversata dell' Atlantico in film come " Sabrina" quando una splendida Audrey, seduta sul ponte, viene avvicinata da un cameriere che le porta il messaggio di Bogart ( e i due si odiarono durante le riprese ma noi ne godemmo solo lo splendore ).
A Vico Equense, da anni, il lunedì sera, in quell' ora in cui il sole tramonta e il crepuscolo arriva all' improvviso, in modo così diverso dalle " sere bianche " estive del nord, una nave passa al largo, si avvicina alla costa ma non troppo; qualcuno a bordo, forse il comandante, è del posto e, per salutare suona la sirena di bordo. E' un suono caro che per anni, mentre cenavamo sulla terrazza era per noi diventato un appuntamento abituale.
Dicono che il vecchio comandante della " Concordia" fosse dell' Elba e usasse compiere questo rito; dicono tante cose.
Quanta gente di tutto il mondo ha speso soldi, fatto sacrifici per comprare la propria settimana di sogni!
Le voci si accavallano, si contraddicono: l' equipaggio ha avvertito in tempo, non ha avvertito in tempo, molti dicono di essere stati abbandonati a se stessi, altri sostengono di aver ricevuto tutto l' aiuto possibile; siamo nell' era dei cellulari, tutto si sa in tempo reale.
Fa rabbia che una nave grande come una città venga distrutta quasi a riva, non in mezzo all' Oceano per colpa di uno scoglio che, secondo il comandante, non era segnalato nelle carte.
Il comandante: come tanti è della penisola sorrentina; è stato arrestato. Si saprà poi, sta di fatto che, cosa gravissima nel codice del mare, ha abbandonato la nave quando c' erano ancora persone a bordo.
25 luglio 1956: eravamo a Vico, io ero bambina e in una giornata di sole seguivamo per radio la cronaca della collisione e del disastro che portarono all' affondamento dell' Andrea Doria, la più bella nave da crociera di quei tempi difficili come lo sono questi nostri.
Ricordo mamma che piangeva ( e ancora oggi mi commuovo ) sentendo che il comandante Piero Calamai, dopo che tutti i passeggeri erano stati messi in salvo, restò sulla nave che affondava rifiutandosi di scendere e fu messo in salvo dagli ufficiali che ritornarono e lo costrinsero a seguirli.
Altri tempi, altre storie!

martedì 10 gennaio 2012

QUESTE SIAMO NOI


Tra le vecchie foto ce n' è una che merita una riflessione; queste due creature siamo mia sorella e io nell' estate del 1956 e, secondo i canoni dell' epoca eravamo anche due bambine eleganti.
Io sono la maggiore e avevo nove anni, mia sorella cinque di meno.
Viste oggi sembriamo" le due orfanelle"; mia madre, non considerando la differenza di età e di aspetto, si ostinava a vestirci uguali: d' inverno le gonne con il bordo di merletto sangallo che usciva fuori, d' estate, in genere, con vestitini allegri e colorati, ma quelle giacche di spugna, che orrore!!!
Non si usava comprare vestiti confezionati, allora c' era la SARTA DI FAMIGLIA che si occupava di cucire con stoffe che mamma comprava, vestiti, gonne, camicette, cappotti.
Credo che quell' orribile spugna a quadri delle due giacche sia costata anche parecchio all' epoca; se poi sembrassimo delle aliene rispetto alle persone che ci circondavano, non so.
Negli anni '60 e poi '70 a casa mia dovettero imparare a tollerare qualunque cosa: dai capelli cotonati alle minigonne vertiginose con sopra i maxi- cappotti e gli stivali a tutta gamba, ma negli anni delle foto comandavano loro ed ecco queste due povere creature con giacca di spugna a orribili riquadri rossi e neri, cappellino in testa e sandali simili ai piedi.
Povere bambine, ognuno è figlio di un' epoca! Vorrei venirvi a liberare da quell' assurdo abbigliamento ma appartenete al passato e a quel momento, grazie a quella foto o purtroppo per quella, siete pirandellianamente inchiodate per sempre!

sabato 7 gennaio 2012

ADDOBBI NATALIZI

Nel soppalco del corridoio:
1) scatola Terasaki con avanzi di presepe ( il resto lo ha Paolo).

2) BUSTA GIALLA
A decorazioni casa
B)ghirlanda ingresso

3) BUSTA BIANCA E BLU decorazioni albero
A) fili d' oro
B) palle d' oro ( ce ne sono altre due serie nuove in altra busta)
C) 2 serie luci una grande e una piccola
D) base albero già montata
E) filo con interruttore per accendere e spegnere luci

4) scatola albero lunga ( la base, già momtata è nelle busta bianca e blu )

5) busta rossa contiene
A) presepe Pam ( avvolto in carta giornale )
B) Madonna ( avvolta in carta giornale)
C) S. Giuseppe ( avvolto in carta giornale)
D) Gesù Bambino in scatolina

venerdì 6 gennaio 2012

UNA VECCHIA FOTO


Vico, estate 1957, c'è scritto dietro. Le villeggiature le chiamavamo, che cominciavano appena finiva la scuola e andavano avanti fino alla riapertura che era a ottobre.
Non le vacanze " mordi e fuggi " di ora ma lunghi pigri periodi senza fretta, scanditi dal mare, dalle risate, dalle prime comitive di noi ancora bambini e da mamma e papà e i loro amici.
Sono stati sempre allegri e pieni di vitalità i miei genitori: erano l' anima del loro gruppo, avevano tanti amici che gravitavano come satelliti intorno a loro.
Mi ha colpito vederli giovani; io li ho sempre giovanili nel ricordo ma la grande libertà e confidenza che ci regalarono e che ci unì venne verso i miei quattordici anni. All' epoca della foto noi eravamo piccole e li vedevamo grandissimi, senza età, capaci anche di sculacciarci se ne combinavamo una grossa o di essere severi e sgridarci...erano i GENITORI.
Mi ha fatto tenerezza vederli così più giovani della me di adesso, appena quarantenni, la generazione uscita dagli anni tremendi della guerra che voleva dimenticare e costruire per noi figli un futuro di benessere.
Ci facevano sempre mangiare; memori degli anni di stenti se avessero potuto ci avrebbero ingozzati di cibo.
Che bello vederli ora così com' erano: belli, abbronzati che escono dal mare!
Vorrei averli vicino e abbracciarli, io sessantenne di oggi nella loro giovane maturità di allora!