POTREBBE SUCCEDERE...
Era nervosa, lo sapeva che non avrebbe dovuto acconsentire, era una cosa stupida, non ci si guarda mai indietro. Guarda tu in che giornata irreale era capitata.
Lei, così stanziale, restia a muoversi dalla solita vita, dalle sue abitudini, ritornare in questo posto dove aveva insegnato sì per tanto tempo ma dove ormai non tornava da venticinque anni.
Beh ormai c' era, controllò la sua immagine per la centesima volta nello specchio dell camera d' albergo.
" Sei invecchiata tanto, puoi essere elegante quanto vuoi, ma sei vecchia!". Poi pensò che, in realtà anche per gli altri erano passati tutti quegli anni e questo, se possibile, la consolò, ma poco.
Si trovava in un paese della periferia nord di Napoli. Ci era arrivata tanti anni prima, più di trenta con una nomina annuale di supplente. Appena entrata in paese da una cabina telefonica ( le cabine, mio Dio non esistevano i cellulari), aveva telefonato a casa dicendo che ci voleva poco ad arrivarci.
Era stato amore a prima vista. Aveva già insegnato in altri posti e avrebbe ( non sapeva allora, insegnato anche molto lonatano ) ma quel paese, non particolarmente bello, la strada principale che si identificava con la via Appia, palazzi cresciuti disordinatamente qua e là, negozi sui due lati, l' aveva presa, conquistata, lo aveva subito sentito suo.
La scuola era in una strada laterale, ovviamente casa di civile abitazione adibita a edificio scolastico; la classe era una prima media maschile dove dire che regnava il caos era dire poco.
Ma si affezionò, le piacque il tutto; ci sono degli strani legami che si stabiliscono tra cose e persone e quel luogo le appartenne e fu per sempre, anche dopo, nei ricordi.
Tra gli alunni c' era il figlio della bidella ( erano dieci tra fratelli e sorelle e molti, dopo, furono suoi alunni), il figlio del fruttivendolo che i compagni chiamavano" parulano". Lei non sapeva il significato della parola che, in dialetto indicava appunto il mestiere e, credendo che significasse chiacchierone, lo chiamò così un giorno e il ragazzo si offese molto.
Imparò tanto quell' anno: a trattare le utenze turbolente e miste, a farsi rispettare, ad essere dura e tenera al tempo stesso perchè i ragazzi non riescono ad amare chi non sa farsi rispettare.
L' anno dopo fu richiamata per una supplenza là, ma ebbe l' incarico dal Provveditorato nelle scuole serali e scelse quello.
Dopo due anni ottenne l' incarico a tempo indeterminato e, tra le varie sedi scelse quel luogo che aveva subito amato.
Vi rimase per oltre dieci anni, andò via solo per seguire marito e figli a Milano.
Furono anni belli, prima classi " meschinelle " ma, proprio per questo, più amate. Nel '79 fu consegnata la scuola nuova, bellissima, un po' fuori paese. Era stata progettata e costruita da un grande architetto; al pianterrenno c' era uno spazio naturale a cavea da adibire a teatro.
Ci fu subito chiasso per quali classi e insegnanti dovessero andare nella scuola nuova e quali imanere in paese. Il primo anno si decise che si sarebbe fatto a turno, metà sezioni una parte dell' anno e poi scambio.
Ma subito dopo si capì che si doveva formare un nuovo organico e decidere per una sistemazione stabile e definitiva.
Alcuni colleghi più anziani preferirono rimanere in paese, non dovevano prendere la macchina.
Lei fu avvertita da un collega di matematica, che fu poi il suo collega di corso per tanti anni, che c' era in atto un "golpe" per non assegnarle la sezione che le spettava.
Non era un fatto personale, si trattava della sezione dei figli dei " notabili " del paese, lei era brava ma passava per un' insegnante dalla metodologia un po' trasgressiva e poi i genitori preferivano che i figli terminassero la terza con l' insegnante di lettere che avevano avuto in prima e seconda.
Quella fu poi la " sua " sezione per tanti anni ed era mista, c' erano come dovunque, figli di signori e di poveretti; fu il fatto che non glielo chiedessero ma lo volessero fare di nascosto che la irritò: fece valere i suoi diritti di graduatoria. Del resto l' imbroglio non avrebbe avuto buon esito perchè l' altra collega risultò soprannumeraria e venne trasferita.
Fu l' anno più difficile della sua carriera, forse insieme ad un altro, ma quello venne dopo.
La classe era maschile, alle spalle dei ragazzi genitori diffidenti e scontenti perchè non avevano ottenuto quello che volevano ed erano impauriti dalla sua possibile reazione.
Fu un inverno di grande tensione; mai prima e dopo le capitò di non provare gioia a scuola.
Dispiegò tutto il suo sapere, preparò lezioni di letteratura e storia " risplendenti"; insegnò al meglio delle sue capacità analisi logica e del periodo, si impegnò perfino in geografia.
Alcuni, anzi parecchi ragazzi riuscì a catturarli, lo vedeva dalla simpatia che le dimostravano; ma non si creò mai l' atmosfera intima e gioiosa che per sempre caratterizzò le sue classi.
C' era un gruppo di " frondisti" che non erano maleducati in modo aperto, ma si guardavano, commentavano a voce bassa, le ponevano domande con tono supponente. E a capo della fronda c' era lui, Alfonso.
La madre era la vicepreside della scuola, il padre il sindaco del paese, lui un ragazzo intelligente, biondo con gli occhi azzurri, sembrava tedesco, figlio unico e viziatissimo, mai un sorriso, sempre un' aria di :" Ti sto a sentire proprio perchè devo".
Un pomeriggio, non ricordava perchè, si erano trovati a scuola, c' era una partita di calcio. Erano a poca distanza, lei insegnante giovane e ostinata e lui col volto corrucciato e ribelle. Non la salutò, continuò ostinatamente a fissarla quasi a farle capire che in orario non scolastico era libero di ignorarla.
Come Dio volle si arrivò agli esami; agli scritti, niente da dire, bei temi i bravi, discreti o sufficienti gli altri.
All' orale allora non si usava, come ora, portare " la tesina". Si veniva interrogati sul programma.
La mamma di Alfonso lo accompagnò all' orale e restò presente ; continuava a ripetere che il figlio aveva preparato argomenti particolari che aveva piacere di esporre.
E lei, la prof e gli altri, imperterriti a porre le " loro " domande; poichè il ragazzo quell' anno aveva studiato poco e niente, aveva sprecato più energie a capeggiare la fronda anti-prof, sapeva poco e male.
Dopo la fine dell' esame scoppiò il terremoto: il collega di matematica sosteneva che il ragazzo DOVEVA avere ottimo ugualmente, gli altri protestavano, lei, questa volta, capeggiò la fronda. Mai, prima di allora e mai in seguito, si schierò per abbassare un voto a un alunno e non per alzarlo. Non era nemmeno desiderio di vendetta puro e semplice; ogni fallimento verso un alunno è comunque un fallimento dell' insegnante, si pensa per sempre: " Averi potuto fare di più, comportarmi diversamente".
In quel caso era un atto di giustizia, la speranza, forse vana, che un voto in meno gli servisse da lezione.
Il collega di matematica si impuntò: se Alfonso non avesse avuto ottimo ma distinto, la stessa sorte doveva toccare agli altri, eccetto uno bravissimo a cui sarebbe toccato l' ottimo.
Dopo ci furono altre classi e altri anni; la professoressa e il ragazzo non si incontrarono mai. In compenso uno dei compagni che si era visto abbassare il voto senza sapere perchè, venne spesso a scuola e, ostentatamente, non la salutò. La colpa fu data a lei; spesso fu tentata di fermare questo ragazzo, si chiamava Giovanni, e di spiegarsi con lui. Anni dopo, lei era già a Milano, seppe che Giovanni era morto in una corsa folle del sabato sera; aveva 21 anni.
Le restò per sempre il rimorso, scrisse una lettera ai genitori che, avendo dimenticato il lontano episodio, le risposero grati e commossi.
Gli anni passavano: la sezione divenne la " sua " sezione, i genitori facevano a gara perchè i figli vi fossero iscritti: lei e i colleghi lavoravano bene insieme. Organizzò recite, visse momenti di vera gioia sia con gli alunni che con gli altri professori.
Nell' 86 al marito fu offerto un lavoro importante a Milano; si decise che lui sarebbe partito a settembre e lei a fine anno scolastico, a giugno dell' 87 con i bambini e sua madre che si trasferiva con loro.
Anche quello fu un anno tremendo fatto di un lungo unico addio silenzioso.
Nessun " per sempre " umano lo è veramente, ma sentire fare programmi per l' anno dopo e pensare che l' anno dopo per lei sarebbe stato un punto di domanda in un luogo sconosciuto fu veramente dura da sopportare.
Ogni giorno, dentro di sè salutava qualcosa: l' ultimo Natale, l' ultimo Capodanno, l' ultima primavera con i ragazzi che giocavano in cortile approfittando delle prime settimane di sole.
La partenza fu quasi una liberazione: tornò l' anno dopo per un giorno ma già era immersa nella nuova realtà, la sfida con Milano fu bella e vittoriosa, il suo orizzonte si allargò, fece belle esperienze, insegnò ai rom, nelle periferie degradate e poi gli ultimi tredici anni di nuovo in una scuola che diventò la " sua " scuola e dove anche adesso si recava qualche volta a trovare colleghi, bidelli a partecipare a pranzi in occasione di pensionamenti.
Si scosse, era rimasta immersa in pensieri lontani, era ora di muoversi.
Dopo la pensione c' era stata la passione del computer, facebook e tutti questi antichi alunni di quaranta, quasi cinquant' anni ritrovati sul network.
Le scrivevano che non l' avevano dimenticata, anzi la lontananza l' aveva resa quasi un mito ai loro occhi.
Erano riusciti a convincerla a partecipare a una festa in suo onore, a tornare ancora una volta nella vecchia scuola dove ormai anche il personale di segrateria e molte professoresse erano sue ex alunne; si era lasciata convincere, che stupida!
Chiamò un taxi e si avviò, al ritorno qualcuno l' avrebbe accompagnata in albergo.
Arrivò frastornata, il paese era cambiato, si era ingrandito in modo disordinato non riconosceva più i posti; pensò come nella vita tutto sia legato a un momento, a una decisione: non rimpiangeva niente eppure, se non fosse andata via, ora sarebbe una professoressa in pensione ( come era) che ritornava in un luogo noto e abituale.
Ecco la scuola, una folla di persone; mamma mia che facce ! Quelle donne e uomini di mezza età il capello fresco di parrucchiere e la pancetta erano i suoi ragazzini di una volta: e lei sarebbe sembrata una cariatide.
" Datti una calmata, alza la testa e affronta l' inevitabile! " disse a se stessa.
I minuti seguenti furono una confusione indescrivibile di abbracci, commozione:" Si ricorda di me?...Questo è mio figlio...Come sta bene!!!...Sembra una ragazza (?!?!)".
In una sala c' era un buffet con un rinfresco, il preside attuale, fortunatamente sconosciuto, imbastì un discorsetto, vicino a lei c' era Biagio chiamato " Baffo " da lei e "Jonny " dagli alunni che lei ricordava ragazzo, fresco di servizio militare, appena nominato professore di educazione fisica; dov' erano finiti i suoi capelli e la baldanza giovanile? Era un professore di mezza età prossimo alla pensione.
Era strattonata e chiamata a destra e sinistra quando sentì una voce esclamare :" Il sindaco, ecco il sindaco!".
Alzò gli occhi distrattamente...:" No, questo è troppo" e vide l' antico avversario, Alfonso che veniva verso di lei con aria affettuosa e spigliata, pronto, forse, ad abbracciarla e a rivolgerle un discorsetto di benvenuto.
Quale fu il diavoletto maligno che si impossessò di lei? Si finse una vecchia rimbambita, asserì di non avere memoria, che si sa gli anni passano e lei non riusciva proprio a ricordarlo. Lui, poverino, ormai placato e adulto, con pazienza le ricordava fatti, nomi, date e lei si fingeva sempre più impacciata:" Mi dispiace...scusa, anzi mi scusi, ma sa tanti anni, tante classi, migliaia di alunni, non mi viene in mente"; si sentì veramente meschina! Questa e non il senso di giustizia di tanti anni prima, era la sua vera vendetta!
Due ore dopo era tutto finito e, mentre aspettava che l' accompagnassero a casa, nella scuola che si andava ormai svuotando, le venne il desiderio di andare a guardare un' ultima volta la sua vecchia aula. Era cambiato tutto: secondo piano, ecco, aprì la porta e i ricordi, naturalmente, l' assalirono. Assaporò il passato finalmente sola, poi chiuse la porta e stava ritornando indietro per il corridoio quando qualcuno, camminando a testa bassa, le venne contro.
Tirò fuori la sua voce da professoressa ed esclamò:" Alfonso, non lo perderai mai il vizio di camminare sbattendo contro la gente!".
Lui alzò gli occhi, la guardò, capì, ricordò e sul volto gli apparve una buffa espressione tra il riso trattenuto e la commozione; lei fece un gesto istinivo che aveva fatto centinaia di volte nella vita: alzò la mano, gli ravviò il ciuffo che gli cadeva sulla fronte come quando era ragazzo e poi la mano scese lieve sulla guancia per una carezza che era, allo stesso tempo, perdono e richiesta di scusa.
Intorno a loro scomparvero i corridoi e l' odore di scuola e furono di nuovo come quel pomeriggio sul campo di calcio: la giovane professoressa ostinata e desiderosa di conquistare il suo animo e il ribelle e cocciuto ragazzo che si fronteggiavano.
Lui chinò appena la testa e la tenne premuta sulla mano di lei; durò qualche secondo, poi non c' era più, il corridoio tornò deserto.
Era tempo di andare, di tornare alla sua vita di sempre; la festa era finita e nel complesso era andata meglio del previsto.
Come in un magico" Sliding doors", una finestra si era aperta sul passato e un pezzetto di un mosaico incompleto era andato al suo posto.