mercoledì 28 maggio 2014

" I DODICI "

Questa foto da noi e dai nostri amici " storici " viene chiamata " la foto dei dodici", perchè tanti furono i figli che sopravvissero alle gravidanze ( sedici in tutto ) della mia nonna paterna.
Era un numero altissimo per l' epoca, vista la mortalità infantile e fu grazie anche alle condizione economiche agiate che ciò fu possibile.


Nonno Tito Gambardella e nonna Eva Barendson appartenevano a due famiglie note a Napoli; si conobbero ragazzi perchè la sorella di lui era fidanzata ( e poi sposata ) con il fratello di lei, Guido Barendson.
Le famiglie, stando ai racconti che ricordo da piccola, inizialmente ostacolarono il loro amore in quanto ancora ragazzi.
Si racconta che nonno Tito, pur di vedere la sua amata Eva la incontrasse, travestendosi da donna, ( con cappello e veletta) mentre lei, sorvegliatissima, si recava in un bar con sorelle e mamma.
Lui era cadetto all' Accademia di Cava dei Tirreni, poi si laureò in legge e divenne un famoso avvocato fino agli anni '40.
Ho a casa un libro pubblicato da un giornale napoletano " La Voce di Napoli " che elenca, partendo dalla nobiltà e arrivando ai notabili della città la " Napoli d' Oro " del 1931.
C' è mio nonno e c'è anche la sua immagine: viene citato come uno degli avvocati più prestigiosi di Napoli, a capo di Commissioni varie e con diversi incarichi.
Era anche giornalista e per anni scrisse gli articoli di cronaca giudiziaria su " Il Mattino " e sul "Roma" i due giornali napoletani.
I Barendson famosi e noti lo erano anche di più: uno di loro era a capo delle Autostrade Meridionali e si distinsero nelle loro professioni.
Le due famiglie, doppiamente imparentate, vivevano al Corso Vittorio Emanuele, all' angolo con Piazza Mazzini, sullo stesso pianerottolo.
In una delle due case nacqui io e mi fa impressione vedere su quell' antica nota del 1931 il numero di telefono che con un " 3 " in più, è stato quello di casa mia fino al 1987 quando sono venuta a Milano.
Tito ed Eva erano entrambi terziari francescani quindi nel " riprodursi ", non ponevano limiti o precauzioni.
Tra il loro primo figlio e l' ultimo passavano più di 25 anni.
In questa foto si vede il primo, Paolo, con moglie e figlio e l' ultimo dei fratelli, Ugo di poco più grande del nipote.
Con un padre famoso e una madre molto dolce crebbero come usava allora: zie zitelle, domestiche, i primi che crescevano gli altri quasi come fossero figli.
Le donne si sposarono tranne due: una che rimase per sempre " signorina" per scelta e l' altra, quella che nella foto è la terza da destra, vicino a mio padre ( che è quello con il colletto alla marinara), zia Anna che abbandonò agi, lusso e una vita abbastanza libera per le ragazze di allora per diventare suora con il nome della mamma: Eva, in un ordine poverissimo a Tricarico in Puglia.
Morì giovane a poco più di 30 anni per un' otite che uccise anche mia nonna anni dopo.
Il nonno corse là scortato dalle motociclette che il cugino Barendson gli aveva messo a disposizione e la trovò già morta.
Si dice che abbia detto al figlio che lo accompagnava di non toccarla o baciarla; per anni il convento la venerò come una santa.
E finchè era stata a casa era una ragazza moderna, dinamica, fumava, aiutava il nonno nello studio.
Fu una vocazione sentita.
E' chiaro che, essendo in dodici, i ricordi sono tantissimi.
Si racconta che zio Leone, il bello e " sciupaffemmine" di casa, quello che è a fianco a mio padre nella foto, amasse divertirsi.
Si narra che ebbe un figlio con una signora sposata e fu mandato in " viaggio di piacere" da mio nonno finchè il clamore non si fosse calmato.
Pare che fosse anche appassionato del gioco del lotto: uno dei fratelli minori lo sapeva e, di notte, fingendo di sognare, declamava ad alta voce terni e quaterne che lui si affrettava a giocare.
Zia Elia, quella che rimase signorina, da ragazza pare che la sera fosse abituata a " macinare" i chicchi di caffè nell' apposito " macinino".
I fratelli maschi lo sapevano e fingevano di essere sonnambuli, vagando per casa e spaventandola a morte anche perchè la mamma le raccomandava di non svegliarli perchè era pericoloso.
Durante la guerra di certo si sa che il nonno Tito non andò mai nel rifugio quando c' erano i bombardamenti.
Diceva che se era destino che morisse, allora moriva a casa sua.
Aveva i figli maschi sparsi dovunque anche per le loro diverse idee politiche: papà mio era a Bengasi allo scoppio della guerra, fu fatto prigioniero dagli inglesi e ne uscì solo a fine conflitto e dopo essersi finto muto per alcuni mesi ( ma questa è un' altra storia).
Un altro, negli ultimi mesi di guerra finì in galera perchè comunista; un altro fascista finì in campo di concentramento; un altro ancora fu colpito alla testa da una granata in Russia e frammenti di schegge gli rimasero per sempre sotto la cute.
Dopo la guerra,e veniva ricordato sempre, uno di loro che, fuori della famiglia nessuno conosceva, passò insieme a fratelli e amici un fine-settimana a Ischia, fingendosi un ufficiale tedesco.
Quanto risero fra di loro facendo finta che lui non capisse quello che gli altri gli dicevano pensandolo tedesco!
.Le donne fecero degli splendidi matrimoni: feste, servizi di argenteria, amatissime dai genitori e dai fratelli.
I maschi, tranne il primo e l' ultimo, direttori di banca e mio padre che ebbe la fortuna di incontrare mia madre, implacabile e grande lavoratrice, furono tutti dei " Peter Pan"
Grandi amatori, conversatori,con un padre e un tipo di società che li aveva abituati a credere che tutto fosse loro possibile, amavano la musica, la poesia, le arti in genere, abbandonarono buoni lavori, si persero in sogni, realizzando ben poco, pur avendo una grande intelligenza.
Mio padre, come ho detto incontrò mia madre e lavorò per tutta la vita nel campo assicurativo.
Zio Ugo, l' ultimo, direttore del Banco di Napoli a Ferrara, suonava il piano divinamente: insieme abbiamo trascorso estati di sogno a Vico Equense riunendoci di sera e facendo grandi cori di antiche canzoni napoletane con amici.
Ogni riunione di famiglia, in occasione di matrimoni ed eventi vari era " popolatissima", fino a più di 50 persone e divertentissima; in prevalenza si riunivano a casa nostra.
Cosa ci hanno lasciato?
La classe ( che non è acqua) e la capacità di divertirsi che abbiamo ereditato,quel modo di vivere con leggerezza, forse non proprio come alcuni di loro, ma quel tanto che basta per godersi la vita e " succhiarla " fino in fondo.
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