ANCORA VICO EQUENSE
Nel mio cuore c'è sempre, passo l' inverno aspettando che ritorni l' estate.
In ogni caso c'è Gennaro Esposito che con le sue foto mi fa illudere di essere là, di vedere brillare le lucine natalizie sugli alberi insieme alle arance ( miracolo per noi al Nord), di respirare l' aria pulita, di osservare i luoghi amati quando e come mi piace: quasi come esserci.
Nel '56 ricominciammo, dopo i periodi bui del dopoguerra, ad andare " in villeggiatura".
Come cadde la scelta su Vico?
Papà lavorava in quegli anni alla Circumvesuviana, poi dopo passò alle assicurazioni, avevamo i viaggi in treno gratis, era il paese della costiera più vicino a Napoli, i miei ci erano stati prima della guerra e alcuni nostri amici andavano a passare le vacanze là.
L' ho detto spesso: eravamo tutti più poveri eppure tante famiglie medie potevano permettersi quelle lunghe vacanze di tre mesi!
Vico Equense come comune è vastissimo perchè è formato da 13 borgate o " casali" distanti tra loro uno dei quali è addirittura il Monte Faito che fa parte del Comune come ne fa parte anche un piccolo tratto di strada sulla costiera amalfitana, dal lato in cui una frazione di Vico, Santa Maria al Castello, dall' alto di uno strapiombo si affaccia su Positano; il paese come centro però è abbastanza piccolo.
Ho scritto tante volte delle lunghe pigre estati che iniziavano a fine giugno, al termine della scuola e si concludevano con l' ultimo bagno il 4 ottobre, il giorno di San Francesco.
A settembre le giornate diventavano fresche e faceva notte più presto.
I proprietari degli stabilimenti " smontavano " le cabine e lasciavano solo quelle, poche, di noi ultimi ad andarcene.
A Napoli ci aspettava un lungo inverno di molto studio e pochi divertimenti, almeno finchè andammo a scuola.
C'erano, a volte, il sabato le feste a casa di amici con il mangianastri e i buffet e gli occhi vigili delle mamme ma era d' estate lo spasso e per l' estate si viveva.
Potevamo, noi ragazze, mettere i pantaloni e in città non era consentito.
Peppino di Capri dal juke-box cantava " Voce ' e notte ", " Nun è peccato", noi indossavamo i pullover quelli blu di lana grezza che prima mettevano solo i pescatori e che improvvisamente diventarono " il massimo dello chic ".
A luglio e agosto si ballava al Circolo dell' Unione che ora non c'è più in quella sede o all' Ente del Turismo.
E quanti " lenti " favorivano amori che duravano un' estate!
Poi si cresceva e arrivava l' età in cui si aveva il permesso di andare a ballare all ' Africana, sulla costiera amalfitana.
Si tornava all' alba, in tempo per andare dal panettiere e mangiare le brioches appena appena sfornate.
E ci si sentiva adulti e sofisticati.
Io ero scatenata; mi piaceva andare in moto e amavo il brivido della corsa sui tornanti stretti delle strade.
Mamma si preoccupava ma per non venire meno ai suoi criteri di libertà mi chiedeva di dirglielo dopo che ci fossi andata così non si agitava!
Erano divertimenti innocenti!
Sedevamo in dieci, quindici al Bar del Sole in piazza e ordinavamo un solo caffè freddo facendoci cacciare dal cameriere Antonio, altra figura indimenticabile!
Andavamo a cinema e facevamo di quel chiasso che Ernesto, la maschera, ci prendeva a " male parole".
La terza domenica di agosto ancora adesso c'è la festa del paese: dopo la Messa del pomeriggio esce la processione, con le pie donna, i rappresentanti delle Congreghe con le loro cappe colorate indosso, i bambini dell' oratorio, la banda, il sindaco e le statue dei S.S. Ciro e Giovanni portati a spalla dai pescatori scalzi.
La sera ci sono fuochi a mare e per una settimana luminarie e bancarelle.
Vico Equense non è un luogo speciale se non per intere generazioni che lo ricordano come il " luogo delle memorie".
Ognuno forse ha la " sua " Vico Equense: il luogo delle vacanze che lo ha visto diventare da piccolo, adolescente e poi giovane e adulto.
Per alcuni di noi è una malattia, la " vicanite".
Siamo quelli che non hanno mai smesso di andarci, ogni estate,che ci siamo sposati fra di noi perchè guai sposare uno che non è affetto dal male: vede un paese qualunque, con poche distrazioni, nemmeno molti svaghi e non capisce il perchè dell' "insano amore".
D' estate, quando scendo giù uno dei miei divertimenti è fare il giro dei negozi e salutare tutti quelli che sono cresciuti con me, chiedere delle famiglie, fare un po' di " inciuci", conoscere le novità.
Fantasmi gentili, persone amate si intravedono ad ogni angolo di strada: tutto il nostro passato di gioie e divertimenti e ricordi è racchiuso in queste quattro vie che portano alla Piazza.
La Piazza con i suoi bar e Gigino " Pizza a Metro " che prima era in un giardino con le pergole e i tavoli di legno e poi, negli anni, grazie al lavoro instancabile di una famiglia laboriosa è diventato un enorme e affollatissimo ristorante.
E' come un passato che rimane presente: c'è più traffico, l' edilizia ha stravolto il paese ma i nostri occhi lo vedono sempre con l' amore degli anni della fanciullezza.
Ogni tanto d' estate capita che ci siano volti noti che mancano, qualcuno che durante l' inverno è mancato all' appello e, nel fluire della storia, accadrà anche a noi.
Finchè ci siamo, aspettiamo che arrivi l' estate per ritrovarci tra noi amici; e ci si rivede sempre giovani perchè è una delle illusioni belle di chi si conosce da sempre quella di guardarsi e vedersi con gli occhi del cuore e della memoria.
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