sabato 23 aprile 2011

PASQUA A TAVOLA


La Pasqua, per noi napoletani, dal punto di vista strettamente culinario è caratterizzata da pastiera e casatiello; quest' ultimo è una brioche salata imbottita di qualunque cosa : salame, formaggio cicoli; sopra, a mo' di corona, troneggiano uova sode...è una bomba, ma è importante che ci sia.
Appena arrivata a Milano andavo in Piazza Cordusio dove c' è Mandara, un negozio di specialità napoletane, si trova  tutto o quasi,  paghi come se comprassi gioielli, ma tant' è...
Dopo qualche anno scoprii che, vicino casa mia, in una certa via, un certo giorno della settimana, ad una certa ora, sempre quella, si formava una fila di persone eleganti che aspettavano: arrivava una macchina, ne scendeva un simpatico donnone robusto che restava là per un' oretta e vendeva qualunque prodotto fresco che veniva direttamente da Napoli; ogni tanto scompariva in seguito a denunce dei negozianti della zona, poi tornava.
Sono passati tanti anni e  la signora non fa più la " tentata vendita", come la chiamava lei; ha una schiera affezionata di clienti " napolidi" e per noi, prepara, su commissione a casa sua, pastiera e casatiello; miracolosamente fa arrivare da Napoli mozzarella di bufala, provola e ricotta salata, anche loro indispensabili per il pranzo pasquale di ogni napoletano.
Domani ci sarà tutta la famiglia, anche la nuova nipotina appena nata: per primo ho preparato pasta al forno che noi napoletani chiamiamo " alla siciliana " con melanzane e mozzarella; per secondo, con affettati mangeremo con sacralità il casatiello che fa anche da pane, prelibatezze sott' olio, mozzarella, provola, e ricotta salata...finiremo religiosamente con la pastiera.
E' bello essere insieme, è bello che i figli sentano il desiderio della casa e dei cibi che profumano di tradizione, mi sento felice.

mercoledì 20 aprile 2011

Oggi ho conosciuto Virginia




Ieri sono diventata per la prima volta nonna; generalmente tendo a esprimere con parsimonia le mie emozioni più profonde, anche se sono una persona aperta ed espansiva.
Del resto finchè non le vivi non sai nemmeno cosa proverai.
Quando diventai madre, specialmente la prima volta, ero abbastanza giovane; già la seconda ero più consapevole, avevo già  un bambino che  vedendo crescere, avevoi imparato ad amare visceralmente; io, personalmente mi sono innamorata compiutamente dei miei figli giorno dopo giorno, sguardo dopo sguardo, assistendo alle loro conquiste aiutandoli a impostare, con delicatezza, la loro vita.
Ogni giorno un traguardo, ogni momento un piccolo ricordo da accantonare e mettere da parte, e ora che sono grandi, tanto amore dato e ricevuto ma che è cresciuto con noi.
Appena nascono c' è orgoglio, soddisfazione, ma non sai niente di quanto di bello ti aspetta, di quanto gioirai per ogni loro successo di quanto ti strazierai per ogni loro piccola pena, anche se non lo darai a vedere, di quanto godrai per la loro vicinanza e di quanto, ma non lo ammetterai mai, nemmeno con te stessa, vorresti che il tempo si fermasse quando, come è giusto, spiccano il volo e lasciano casa.
Oggi,  ho visto quella bimba figlia di mio figlio e di una ragazza a me tanto cara che, grazie al loro desiderio, si chiama Virginia come la mia mamma; sarà che sono passati tanti anni e sono  più vecchia rispetto ad allora, sarà che mio figlio continuava alto e grosso a tenerla tra le braccia con un' aria di beatitudine come se non volesse cederla a nessuno...ho capito quello che  amiche già nonne mi avevano descritto; non è un amore più grande, è diverso; sei tu che hai più consapevolezza, che avendo patito dei loro dolori, gioito della loro felicità, goduto dei loro successi, vedi quest' esserino e ti si riempie il cuore di una tenerezza saggia , perchè già sai...rivivi il passato, pensi al suo futuro e ti auguri che sia splendido e vorresti proteggerla da ogni  più piccolo dolore che possa un domani sfiorarla, ma sai già che gioirà e soffrirà e amerà anche perchè è donna come te ed è diverso, la senti ancora più vicina, rispetto ai figli che sono maschi.
Mi sono seduta accanto a lei, mi ha stretto con la manina un dito e sono rimasta a guardarla per un tempo che mi è sembrato lunghissimo, nel quale il mio cuore le ha detto tante cose.
Ad un certo punto l' altro mio figlio mi è venuto vicino e mi ha baciato; forse ha capito le emozioni che si agitavano in me in quel momento...poi ci siamo messi a chiacchierare e io ho pensato che oggi è cominciata una nuova epoca, una nuova fase della vita.

domenica 17 aprile 2011

Momenti


Oggi è la Domenica delle Palme, c'è guerra in varie parti del mondo, nel nostro paese va come tutti sappiamo e poi nella Grande Storia del Mondo c' è posto per le nostre piccole storie, la vita di ognuno di noi fatta di quotidianità, di lavoro, di amore, di gioie, di dolori...di momenti, insomma.
Ne " Il Gattopardo ", il principe Fabrizio parla di " pagliuzze d' oro dei momenti felici"; io penso che si tratti sia di ricordi di gioia e felicità che di dolore: attimi da tesaurizzare comunque che, o richiami alla memoria o, a tradimento, ti colpiscono quando meno te lo aspetti; basta un niente, una musica, un profumo e sono là, pronti a esseri rivissuti, riassaporati; anche se lontani nel tempo ti sembra che siano accaduti ora, basta allungare una mano e li tocchi, ma non era solo ieri?
Quali sono i " miei momenti"? A volte, se li vuoi richiamare alla mente non vengono come quando ti chiedono quali sono i dieci film o libri più importanti della tua vita, ti si fa il vuoto in testa, poi dopo arrivano a frotte.
E' importante per me farne tesoro mentre li sto vivendo; così, forse, quando capita di doverli richiamare alla mente viene più facile.
Il primo, non in ordine di tempo, ma il più importante e doloroso è quello che io chiamo " la perdita dell' innocenza"; sono passati 36 anni e lo rivivo nella carne: torno da scuola, mancano pochi mesi al mio matrimonio e mamma apre la porta con un viso sconvolto.
Mi dice che ha portato papà dal radiologo per quella che tutti i medici da più di un anno considerano una fastidiosa e dolorosa lombo-sciatalgia e, dal volto del medico ha capito che c' è qualcosa di brutto, alle ossa.
Ricordo tutto di quel giorno, che c' era per pranzo purea di patate con crostini ( è un piatto che per anni non ho potuto assaggiare), ricordo che da quel momento tutto cambiò nella mia vita, andando a ritroso c' è sempre un prima e un dopo e quello è il momento che fa da spartiacque.
Poi ci sono i momenti felici, la notte insonne che passai subito dopo la nascita di Stefano, il primo figlio: l' adrenalina era tanta, avevo desiderato il maschio ed era nato e quella notte sembrava contenere tutte le promesse della vita.
Il giorno dopo la nascita di Paolo: ero in clinica, sola, nelle prime ore del pomeriggio mi portarono in camera il bambino e me lo poggiarono sulla pancia; ero tra veglia e sonno e pensavo che fino a poche ore prima era dentro di me e ora eravamo due esseri distinti, ma ancora così vicini:  fu un momento di amore assoluto.
Quando Paolo era piccolo gli raccontavo spesso di quel giorno e a volte me lo chiedeva lui stesso, quasi come una favola.
Poi ci sono i momenti banali, di gioiosa quotidianità; se hai intùito lo capisci che devi farne memoria perchè saranno ricordi preziosi: le sere d' estate a Vico negli anni tra il '94 e il' 98, quando i ragazzi erano grandi ma passavano gran parte dell' estate ancora con noi e c' erano mio suocero e mia mamma e mia zia, tre anziani splendidi e la sera venivano amici dei ragazzi e amici di mamma, quelli di antica data e si restava sul terrazzo fino a tardi a ridere e scherzare; a conclusione dell' estate c' era la sera della festa del paese con i fuochi a mare e tutti venivano a vederli da noi ed era un gran discutere se i fuochi di quell' anno erano stati o no più belli di quelli dell' anno prima.
I venerdì sera, quando papà era ancora vivo e dopo, per anni, quando gli amici mantennero l' abitudine di riunirsi dopo cena a casa nostra; si parlava di politica, si discuteva perchè c' era sempre qualcuno di destra e molti di sinistra, ma si rideva soprattutto e molto.
Il sabato sera, d' inverno a Milano, quando i ragazzi erano abbastanza grandi da uscire la sera, ma poi ritornavano; io preparavo la pizza margherita e cenavamo tutti insieme e poi dopo loro uscivano e noi rimanevamo a casa e a me di non uscire non importava niente sia perchè lo avevo fatto per tanti anni sia perchè sapevo che quelle cene del sabato sera prima o poi sarebbero state un bel ricordo.
Quando i ragazzi vivevano ancora in casa e la sera non sempre uscivano o a volte tornavano e noi eravamo ancora svegli; io sono una che si addormenta sul divano, ma poi vado a letto tardi; era bello chiudere a chiave la porta di casa e pensare che c' eravamo tutti.
I sabati e le domeniche, ora che i ragazzi non ci sono più e io e Vittorio siamo soli ma felici e le ore passano pigramente; lui fa lavoretti, mette a posto documenti, suona, legge io sto al computer, o cucino e poi pranziamo e chiacchieriamo dei fatti del giorno e ci vogliamo bene e siamo felici di questo pigro far niente e delle ore che si inanellano aspettando di vedere in tv la partita o " Che tempo che fa".
Quando, durante la settimana Vittorio torna dal lavoro e, mentre ceniamo, gli racconto quello che è successo durante il giorno e decidiamo cosa vedere in tv, tanto poi ci si addormenta.
Quando uno dei ragazzi telefona e dice che verranno a cena o a pranzo da noi e cosa preferiscono che io prepari; specie se è il loro compleanno.
Le sere d' estate a Vico, quando ci riuniamo a cena o dopo cena con gli amici che sono sia i miei che quelli di Vittorio avendo passato là le ultime 50 e passa estati della nostra vita e  hai la consapevolezza calma di stare con le persone che ti sono care da sempre; sono momenti felici e senza sforzo, tanto ci conosciamo bene tra noi, si ricordano episodi andati, e per quanto si vada indietro nel tempo eravamo sempre insieme.
Un pomeriggio passato con un' intera classe il giorno prima degli esami di licenza media, nel 1986: furono ore di perfezione assoluta.
Momenti che solo chi ha vissuto per anni a scuola può capire: un quarto d' ora di chiacchiere smemorate, anche nel chiasso, prima che suoni il campanello di fine lezione, l' odore di gesso, lavagna, carta, corpi sudati, scarpe da ginnastica e senso di avventura che ogni giorno di scuola portava con sè, il senso di trasgressione nell' andare con la classe a fare un giro al mercatino sotto scuola e poi in panetteria, comprare focaccia per tutti, tornare in classe, dividerla e mangiarla.
Le mattinate di Cineforum quando si portava il televisore in classe e ognuno si sedeva dove e come gli piaceva e sbucavano fuori sacchetti di pop corn e patatine e facevamo qualcosa di utile ma ci sembrava vacanza.
Alcuni di questi momenti li vivo ancora, quelli passati li ho goduti, mi piacerebbe a volte riviverli anche solo per un attimo, ma sono così intensi che basta chiudere gli occhi e allungare una mano, ma non era solo ieri?

sabato 16 aprile 2011

Mondo reale e virtuale


Nella vita esiste una serie di rapporti:  familiari, di lavoro, amicizie e semplici conoscenze; le loro vite si intrecciano alle nostre con una serie di fili che formano la rete delle relazioni umane.
Poi c' è la rete vera e propria:  internet, facebook; nascono o si riallacciano una serie di rapporti che, spesso, di reale, hanno ben poco e che altre volte, invece, sono più reali dei rapporti veri.
Io, per esempio, sono entrata su facebook per ritrovare ex alunni; ho scoperto col tempo che la procedura è la seguente: richiesta di amicizia, una bella rimpatriata nella quale ci raccontiamo cosa è successo a me e a loro in questi anni...poi, generalmente, silenzio. Di tanto, in tanto, con alcuni, ed è anche bello e piacevole, c' è la frase o la parolina che ci mantiene in contatto, gli auguri per il compleanno.
Se io posto il trailer di un film che abbiamo visto insieme o qualche frase da un libro letto con loro, qualcuno risponde " mi piace", altri commentano con qualche parola che è come dire: " Ci sono, mi ricordo...".
Da quando sono iscritta a facebook noto anche un cambiamento dell' età media: ci sono sempre meno giovani e sempre più " diversamente giovani ", ma proprio tanto; dai 40- 50 in su è tutto un affollarsi...è indice della solitudine nella quale viviamo?  Del fatto che si parla più volentieri con uno sconosciuto che con un vicino di casa? E' quella che io chiamo la " sindrome da viaggio "? Tutti noi ricordiamo quante volte ci sia capitato di entrare in confidenza con chi ci sta vicino in treno, durante un lungo viaggio; si raccontano cose anche intime perchè, forse inconsciamente, si pensa che una volta finito il viaggio non ci si incontrerà più..
I primi tempi che ero su fb pensavo che, quando si facevano nuove amicizie, bisognasse dire qualcosa di sè, come una presentazione, quasi per conoscersi meglio; con il passare del tempo, visto che la maggior parte delle persone non lo fa, ho smesso anche io sebbene, per il mio carattere, io tenda a raccontarmi anche attraverso il blog e le note.
Ci sono persone con cui ho raggiunto un accettabile livello di intimità, conosciamo le nostre idee politiche, ci scambiamo opinioni, poesie e pensieri letterari e io non so nemmeno se hanno famiglia, se sono sposate, se hanno figli, a volte che lavoro fanno; eppure c' è questa sorta di strana intimità, si condivide il tifo calcistico, ci si parla come tra amici che si conoscono da sempre.
Poi ci sono gli amici d' infanzia, gli ex compagni di scuola, quelli che hai continuato a sentire e quelli che avevi perso di vista: in questo caso l' amicizia assume un aspetto quasi goliardico, come un ritrovarsi.; bastano poche parole, una frase ogni tanto... li conosci bene non c' è bisogno di scoprirsi o di nascondersi, nè di abbellirsi o di spiegare troppo.
Ora ho quasi 400 amici  e di quelli conosciuti su fb, per quanto riguarda me, e non è detto che sia reciproco, ma credo di sì, uno è diventato amico vero; non lo conosco di persona ma so che ci conosciamo nell' animo e c' è un sincero e fraterno affetto, lo senti, te ne accorgi: ne bastano uno o due così e ne è valsa la pena, il bilancio è in attivo.
Un ultimo aspetto di  fb mi ha colpito e vorrei spiegarlo: è come vivere in un mondo ideale, forse per questo a noi  frequentatori piace; quando hai voglia di gente fai clic e sei tra gli altri e interagisci; sei in un momento in cui desideri essere sola, leggere, vedere un film in tv: un clic, gli altri scompaiono e tu ti sottrai;  hai problemi con qualcuno, litighi o hai dei fastidi, altro clic e non solo lo cancelli dagli amici, ma lo blocchi e allora, di colpo, scompare non ne sai più niente, è come non fosse mai esistito.Nella vita reale  ci sono persone che vorremmo veder scomparire con un "clic " e altre che ci vivono vicino da sempre e che forse non conosciamo abbastanza; non ce lo hanno permesso o  noi non ci siamo dati abbastanza da fare per scoprirle veramente nel nostro vivere frenetico fatto di impegni, lavoro, scadenze.

Le Palme di confetti nella tradizione sorrentina


C’è una leggenda che narra che una mattina del lontano aprile 1551 i Sorrentini erano
indaffarati nelle loro attività quotidiane, quando le campane delle chiese della Penisola
cominciarono a suonare a martello, segnale di pericolo. Erano state avvistate molte
imbarcazioni di Turchi che veleggiavano verso la costa. La paura fu tanta anche se i
sorrentini erano abituati alle incursioni dei saraceni e avevano predisposto delle torri di
avvistamento e costruito mura fortificate per difendersi. In quell’occasione la fortuna fu
dalla parte di Sorrento: si alzò un vento fortissimo, il mare divenne agitatissimo… le navi
s’inabissarono. Solo una giovane schiava si salvò da quel naufragio. Fu trovata sulla
spiaggia da un pescatore che la condusse in chiesa dove si stava celebrando la messa in
occasione della domenica delle Palme. Ella si gettò ai piedi dell’altare e per ringraziare
offrì in dono un sacchetto che conteneva dei confetti. A quel tempo i confetti non erano
conosciuti in Penisola per cui suscitarono la curiosità di tutti. Essi furono distribuiti ai
presenti e da allora la giovane saracena divenne la maestra che insegnava come preparare
le palme di confetti.
Si racconta che da quel giorno nel periodo precedente la domenica delle Palme le
famiglie si riunivano per intrecciare e lavorare i confetti e realizzare dei piccoli
capolavori. Questa tradizione è viva ancora oggi e negli ultimi anni va diffondendosi
oltre che in tutti i paesi della Penisola Sorrentina anche in zone limitrofe ed è attrazione
per i visitatori.
Al tempo dei nostri nonni, le donne si riunivano davanti a delle candele ed erano
impegnate nella lavorazione delle palme di confetto.
Innanzitutto venivano infilati i confetti nei ferri leggermente arroventati per facilitare
l’entrata nel confetto.
I confetti devono rimanere per almeno una notte con i ferri infilati senza essere toccati
per evitare danni.
Poi si aggiungerà la carta velina e alcune decorazioni formando piccoli boccioli di fiori
che verranno poi composti insieme.
Al termine verranno aggiunti fiori secchi, merletti, fiorellini e si uniranno in bouquet,
alberelli o cestini.

mercoledì 13 aprile 2011

PRIVATISTI


Chi di voi insegna o lo ha fatto per molti anni, sa che agli esami si presenta anche una fauna umana particolare: i privatisti.
Io ho sempre insegnato alle medie e negli ultimi anni di scuola erano quasi scomparsi; vuoi per le 150 ore, dove io fui prof negli anni '75-76, quando gli alunni erano veramente operai adulti che vedevano come una conquista il poter prendere la licenza media, vuoi che ormai le medie le finiscono tutti o quasi, è insolito vederne...capita più spesso alle superiori che si presentino ragazzi che, privatamente hanno studiato per recuperare un anno, e vanno alla statale per sostenere esami di idoneità.
Quando insegnavo a Melito, ragazzi che anni quelli!
C' era di tutto: dall' autista di autobus che aveva bisogno della licenza media per continuare il suo lavoro, al commerciante che non poteva avere la licenza per aprire un' attività senza avere prima quella media, sembra quel capitolo del libro " Cuore" quando si vedono adulti e anziani che ritornano sui banchi delle elementari.
Quando, dopo, sono venuta a Milano, ho visto professori giudicare con severità, a volte eccessiva, adulti o giovani che si presentavano con una preparazione scadente; ho visto ragazzi di scuole privatissime ed esclusive ( anche il figlio di Mike Bongiorno ) che venivano nella più vicina scuola pubblica ( allora insegnavo vicino allo stadio Meazza, conosciuto come San Siro ).perchè dovevano per forza appoggiarsi a una statale per gli esami.
Ma fu a Melito che capitavano gli episodi più  divertenti.
Cominciamo dal fatto che là era un paese, tutti si conoscevano e allora se aiutavi uno, lo facevi  anche con gli altri, poi veramente, in molti  casi toccavi con mano la necessità che avevano di conseguire la licenza media per il loro lavoro.
Era  anche paradossale chiedere a gente adulta poesie o fatti storici; si cercava di farli parlare del loro lavoro, delle loro esperienze: ho imparato tanto in quegli anni su botti e vivai  che erano le attività principali del posto.
 Il mio collega di matematica che NON era del posto, ma ci viveva, mi faceva capire che era meglio chiudere un occhio.
Io, che ero esperta in pubbliche relazioni, venivo usata per tenere lontani dai casi " a rischio bocciatura" i presidenti di commissione di turno, in quello ero insuperabile, lo ( o la ) riempivo di chiacchiere finchè  fosse passato il pericolo che andasse ad assistere a un esame orale.
Un anno si presentò come privatista un uomo, raccomandato dall' autista del pullman della scuola:  poverino, aveva problemi di linguaggio, riusciva a stento a esprimersi.
Il mio collega di matematica, però voleva che le materie fossero, almeno in apparenza, quelle curricolari; ricordo come fosse ora l' interrogazione di scienze. - Professore " Senta, conosce il cane lupo?"- Privatista :" Eh! " che significava sì. - Professore:" Mi dica, quante zampe ha il cane lupo?"- Privatista: " Uatt", accompagnato dal gesto della mano con quattro dita alzate.
Professore, guardando intorno a sè i colleghi ed esprimendo grande soddisfazione: " Bravo, bravo, conosce le scienze, ha studiato!".Una volta Baffone, il mio collega di educazione fisica, che solitamente era una pasta d' uomo, perse la pazienza; chiese a un tizio: " Che lingua parlano negli Stati Uniti ?", alla risposta: " Tetesco",  andò via sacramentando.
Un anno venne il padre di un alunno; gli serviva la licenza media per il lavoro: fu dolce vedere quanto il figlio si prodigò per aiutarlo e anche il pudore, la vergogna quasi dell' uomo adulto che ci teneva a fare bella figura davanti al figlio e ai suoi compagni.
Ora so che non c' è più, ma quello fu un esame orale che non dimenticherò mai; non ricordo cosa disse, ma si era preparato con scrupolo e la sua bella figura la fece.
Un anno avemmo un presidente di commissione di Napoli che minacciò querele, lettere di biasimo e qualunque cosa a chi avesse aiutato i privatisti, perchè si sapeva, disse che in paese era tutto un imbroglio, salvo poi raccomandarne uno lui che gli era stato segnalato da qualcuno molto in alto.
Il privatista andò veramente male e fu respinto; in sede di ratifica finale, fu sempre Baffone che, con grande dignità fece capire al presidente,  il quale  insisteva ancora perchè fosse messa ai voti la promozione dell' alunno da lui raccomandato, a ricordargli che noi non eravamo affatto come lui ci aveva dipinti all' inizio e che, purtroppo, per il malcapitato non c' era niente da fare.
Anni ormai lontani,  mondi forse più semplici, nostalgie.

domenica 10 aprile 2011

Fratelli-cugini.


Francesco,Stefano, Michela, Paolo. sono i nomi dei miei figli e di quelli di mia sorella: due per ognuna.
Non ha molta importanza quali siano i miei e quali i suoi, anche se lo diremo ma è significativo elencarli, come ho fatto io: in ordine di età.
Questi quattro fratelli - cugini hanno trascorso insieme l' infanzia e tutte le estati, ma questo non basta a spiegare il legame strettissimo che c' è tra loro; in fondo da 25 anni noi viviamo a Milano eppure loro si sentono spessissimo, sanno tutto l' uno dell' altro più che se fossero quattro fratelli: miracoli dell' amore.
Il primo a venire al mondo fu Francesco, figlio di mia sorella: lei lo ebbe un anno dopo il matrimonio.
Era il 13 giugno del '76, mattina presto, Vittorio e io dormivamo quando suonò il citofono; era Maria, la domestica di mia madre, nostra e che poi crebbe tutti loro, una contadina che parlava una lingua sua particolare molti dei vocaboli della quale sono ancora in uso nel nostro lessico.
Urlò: " La signora Pina è andata a comprare il bambino: è masculo!" ( Per Maria, come per i cinesi le femmine erano ininfluenti).
Infatti quella notte era nato Francesco che per mia madre fu, nonostante l' affetto che ha sempre avuto per tutti e quattro,  IL PRIMO NIPOTE.
Papà era morto da pochi mesi e lei aveva promesso che avrebbe smesso il lutto, e lo fece, appena fosse nato questo bambino.
I primi anni, Francesco li visse praticamente con noi; mamma aveva un lettino da campo vicino al suo letto matrimoniale ed era più il tempo che lui  passava da noi che a casa sua.
Da piccolo qualche volta capitò che avesse la febbre forte per via delle tonsille; una volta mamma chissà perchè pensava che delirasse e gli cantava a squarciagola " Furia , cavallo del West" e si tranquillizzò solo quando vide che canticchiava anche lui.
Quando Francesco aveva meno di due anni nacque mio figlio Stefano: quante foto abbiamo di oro due, diversi e sempre insieme; Francesco, biondo capelli a caschetto, occhioni tondi e sgranati, Stefano, bruno, tranquillo, con quell' aria saggia e consapevole che ha avuto sempre, da quando è nato e che nasconde uno spiritello burlone...
Michela, figlia di Pina, nacque quando Stefano aveva meno di un anno: ora è sposata, mamma di un bimbo, ha 32 anni, ma si ostina, per gioco,  a dichiararne 25; in realtà sembra sempre una ragazzina.
Da piccola era bellissima con i capelli biondi e ricci ; la gente si fermava per strada ad ammirarla.
Il crescere con tutti maschi, fece sì che, pur mantenendo intatto questo aspetto da bambolina, fosse disposta ad ogni impresa e scorribanda.
Paolo, il mio secondo figlio nacque tre anni dopo Michela; infatti ebbe quasi tutto nuovo perchè gli altri avevano consumato vestiti e giocattoli a furia di passarli da uno all' altro essendo così vicini di età.
Andavamo d' estate a Vico e abitavamo tutti nella stessa casa; a luglio si adoravano, professavano amore eterno, dormivano tutti nella stessa camera con la povera Maria che cercava di gestirli.
Il gioco principe era il calcio; erano amici di due fratellini che abitavano nella casa col terrazzo a fianco al nostro, ma si frequentavano attraverso le sbarre o arrampicandosi perchè quelli, pur confinando con noi abitavano in un' altra scala dell' edificio.
Di cognome si chiamavano Vadacca e allora c' era lo scherzo di far finta che uno di loro si chiamasse Carlo e dicevano prima il cognome  e poi il nome: ne usciva una cosa volgare...
Coabitando tutta l' estate, nonostante si passasse parte della giornata al Circolo, nuotando o giocando a tennis, in genere si arrivava a fine agosto che l' amore di inizio estate scompariva, cominciavano litigi, qualche volta lotte furibonde...e capivamo che era il momento di tornare in città dove, vedendosi spesso, ma non stando sempre insieme,  ritornava l' amore reciproco.
Paolo, essendo distanziato per età, gli altri erano quasi gemelli, fu cresciuto da tutti, gli davano da mangiare a turno e ben presto cominciò a trotterellare dietro, seguendoli in ogni impresa.
Allora a Vico c' era il cinema e quando i grandi ebbero una decina di anni, il pomeriggio li accompagnavamo e poi ritornavano a casa da soli, erano tempi sicuri e a Vico, poi, c' è sempre stata più libertà che in città, ci si conosce tutti.
Cercavamo di fare in modo che i tre grandi potessero andare da soli senza Paolo, ma, quando questo se ne accorgeva, erano urla e pianti e gli altri si lasciavano commuovere.
Capitava però spesso che Paolo, ad un certo punto si annoiasse di star seduto a cinema, si alzava e usciva; gli altro lo seguivano cercando con gelati e " ciupa- ciupa" di convincerlo a tornare dentro, ma non sempre ci riuscivano; erano però molto pazienti con lui.
A quel tempo io avevo come auto il " maggiolino", era la vecchia macchina di papà: li mettevo tutti dietro e si scendeva a mare; facevo una quantità di viaggi durante il giorno.
In macchina un gioco ricorrente era cantare: con me si canta sempre; a loro piaceva molto un gioco: io guidavo e contemporaneamente cantavo " Azzurro", sceneggiandola, cioè quando cantavo " Cerco l' estate tutto l' anno",  tutti facevamo finta di cercare: come facessi a guidare fare tutto insieme non so.
Quando passavamo sotto il ponte della ferrovia cantavamo " Il treno se ne va...".
La sera si risaliva dal Circolo poco prima di cena e a me venivano affidati, oltre i nostri, figli di amici: il sedile di dietro veniva abbassato e si ammonticchiavano tutti: una sera, nel salire i tornanti che dal mare portavano in paese, contavo mentalmente per accertarmi che ci fossero tutti: di scatto mi bloccai, avevo dimenticato Paolo.
Ridiscesi di corsa e lo trovai, fermo come un soldatino, davanti al cancello del Circolo, un po' stupito, ma nemmeno tanto...infattii erano passati pochi minuti.
Litigavano, sempre alleati tra loro, con un ragazzino che abitava nel palazzo di fronte e che conoscevano solo di vista; per dispetto si urlavano a vicenda : " Rete.-quattro".
Noi eravamo tanto tolleranti al chiasso che non ce ne accorgevamo più.
Quando Stefano fece la Prima Comunione ci eravamo appena trasferiti a Milano e da pochi mesi era morta mia suocera; quindi la fece d' estate a Vico e il pomeriggio la festeggiammo a casa, sul terrazzo con un' orda di ragazzini, in prevalenza maschi che si deliziarono giocando a pallone e correndo come pazzi qua e là.
Quando crebbero cominciarono i primi tornei di tennis: si ricordano vittorie memorabili di Stefano e Francesco contro avversari antipatici; non erano grandi giocatori ma se c' era da battere qualcuno che non sopportavano, ci mettevano tutta la tenacia del mondo.
Una volta Francesco, dopo una vittoria, si tuffò in piscina, scarpe, racchetta e tutto, attirandosi le ire del direttore.
Al Circolo, la sera, c' erano spesso feste; noi grandi salivamo a casa a cambiarci per la sera, loro rimanevano con gli anichetti di sempre al Circolo, mangiavano un panino o una pizza, poi noi gli portavamo il cambio per la sera, una doccia e tiravano, ciondolando, fino a mezzanotte.Noi li avevamo abituati ad andare a letto presto, ma, d' estate, queste follie erano tollerate.
Nell' '85 mia sorella, con la famiglia si trasferì a Vico in pianta stabile e l' anno dopo Vittorio mio marito seppe che saremmo dovuti andare a Milano.
Questo, se possibile,  li unì ancora di più; quando d' estate arrivavamo a Vico, Francesco decideva di " venire in campeggio" e da casa sua si trasferiva a casa nostra che era quella dove, fino a pochi anni prima eravamo stati insieme.
Il Capodanno lo passavamo sempre a Vico, fino a quando lasciammo quella casa: era troppo grande e costosa; prima, da Napoli, vi passavamo tutti i fine settimana, ma, vivendo a Milano, ci limitammo ad andare solo d' estate.
Non per questo il legame tra i cugini si allentò: la sera, d' estate, erano sempre da noi con altri amici e crescendo, se possibile, è diventato ancora più forte.
Mia sorella ed io ci vogliamo molto bene, ma,  a volte il nostro è un rapporto un po' conflittuale e inoltre ci sentiamo tutti i giorni, ma ci vediamo poco.
Ci siamo spesso chieste con gioia per quale motivo il rapporto tra i nostri figli abbia mantenuto una saldezza tale; forse perchè l' amore seminato dai nostri genitori e l' allegria in cui ci hanno fatto sempre vivere ha fatto sì che fosse come un terreno dove sono fioriti affetto, complicità, affinità: comunque sia, il risultato c'è ed è bello.

venerdì 1 aprile 2011

BENDO


Bendo era un ragazzo albanese: piccolo di statura, bruno, sveglio, intelligente, senza voglia di studiare.
Fu nella mia classe, una prima media nella quale insegnavo solo storia e geografia, e che quindi l' anno dopo avrei lasciato, credo nell' anno scolastico 2002-2003; di queste prime, alle quali ho insegnato solo per un anno, non ricordo tutti i volti e tutti i nomi, solo qualcuno. Lui, lo ricordo perchè viveva in Italia da piccolo, aveva frequentato le elementari a Milano nella scuola vicino alla nostra, aveva l' accento milanese, si esprimeva bene e con proprietà di linguaggio; aveva solo la mamma, il padre era morto.
Si scherzava spesso sulla sua poca volontà e io lo minacciavo dicendogli che, se fosse stato bocciato, avrebbe ripetuto l' anno in classe con me e sarebbe rimasto con me per tre anni; lui diceva che la cosa non gli piaceva per niente, infatti la loro insegnante di italiano era molto mite, mentre io, pur ridendo e scherzando con i ragazzi, durante l' anno li pungolavo ininterrottamente, salvo poi a battermi come un leone per la loro promozione a differenza di qualche collega che, durante l' anno lasciava correre, ma se c' era da bocciare non aveva scrupoli.
Fu comunque promosso in seconda; l' anno dopo era nell' aula a fianco alla mia e chiacchieravamo durante l' intervallo; ogni tanto gli raccomandavo di studiare perchè, altrimenti, sarebbe venuto in classe con me e lui, ridendo, rispondeva che questo, mai.
A fine d' anno seppi dai colleghi che avevano deciso di bocciarlo: lo consideravano troppo intelligente e pensavano che ripetere un anno gli avrebbe fatto bene...cercai di fare cambiare loro idea: sapevo che lo avremmo perso; in classe ce n' erano di peggiori e lui avrebbe trovato la punizione ingiusta ed esagerata.
Inoltre il suo orgoglio gli avrebbe reso intollerabile vivere nell' aula a fianco a quella dei suoi compagni , specie i più scapestrati, per i quali era quasi un mito, ma nella classe inferiore, un" ripetente".
Infine era vero quello che, scherzando, diceva spesso; essere mio alunno era divertente ma impegnativo; per quelli che erano con me dalla prima e per molti che prima o dopo, si inserirono da ripetenti in seconda o in terza, fu facile e perfino piacevole; per lui, nel suo " orgoglio albanese" come dicevamo per scherzo, forse il pensiero era intollerabile...poi, forse, gli sarebbe piaciuto, ma l' idea, proprio non la sopportava.
Il giorno della consegna delle pagelle venne,  accompagnato dalla mamma che lo viziava abbastanza e continuò a piangere; non riusciva a rassegnarsi, gli sembrava impossibile essere stato respinto. Questo è un errore che  imputo a molti professori e che io ho cercato di non commettere mai:  la bocciatura è già un grosso trauma, bisogna tentare di tutto per evitarla, specialmente facendo in modo che, durante l' anno, l' alunno prenda coscienza del fatto che, se continuerà a non impegnarsi, vi andrà incontro, nessun ragazzo deve arrivarci impreparato.
L' anno dopo, in seconda media era segnato sul mio registro, ma non si presentò mai a scuola.
Io, in questi casi ero molto precisa, anzi pignola;  avvertivo il preside e la segreteria perchè si mettessero in contatto con la famiglia: era scuola media, il ragazzo no aveva chiesto nulla-osta per trasferirsi altrove, era evasione all' obbligo scolastico.
Il preside fu piuttosto lento e, solo dopo molte insistenze, riuscì a mettersi in contatto con la famiglia.
Un giorno, sbrigativamente, mi comunicò che era venuta la mamma, che lui aveva chiesto e lei gli aveva detto che il ragazzo intendeva tornare in Albania;  lei ritirò i suoi documenti e il ragazzo fu cancellato dal registro.
I suoi ex compagni della classe precedente, almeno quelli molto legati a lui, erano abbastanza evasivi quando chiedevo loro notizie.
A Natale corse voce che fosse ritornato a Milano,c' era chi diceva di averlo visto, andava in moto, poi più niente. Forse a febbraio, mio figlio una sera, mi disse di avere assistito a un grave incidente nel quale era morto un ragazzo; dopo pochi giorni a scuola corse voce che Bendo fosse morto, per l' appunto in un incidente mentre andava in moto a tarda sera, ma sempre con questa strana ritrosia a parlarne da parte degli amici. Non riuscimmo a sapere niente dei funerali, si disse solo che la salma sarebbe stata riportata in Albania.
A fine anno scolastico, giugno del 2005, ricevetti una telefonata dal preside che si era recato come presidente di Commissione per gli esami di licenza media in una scuola in periferia.
Era sconvolto: mi disse che, entrando in una terza, aveva visto su una parete una foto a grandezza naturale di Bendo e aveva esclamato che quello era un alunno della sua scuola. I professori erano caduti dalle nuvole; per loro Bendo era un ragazzo appena arrivato dall' Albania, loro lo avevano iscritto in terza media perchè aveva dichiarato che i suoi documenti gli sarebbero stati prima o dopo spediti.
In pratica, con l' aiuto di parte della comunità albanese, che nella zona era numerosa, lui aveva nascosto di essere stato bocciato in seconda media e di avere frequentato tutte le scuole in Italia, tanto che i professori erano stupiti da come avesse imparato presto l' italiano; loro erano stati abbastanza superficiali ad accettarlo senza documenti...che non sarebbero mai arrivati e lo avevano iscritto, sulla fiducia, in terza.
Erano tanto affezionati a lui e la sua morte li aveva tanto sconvolti che avevano piantato un albero in sua memoria nel giardino della scuola e avevano fatto una colletta per rimandare la salma in Albania.
Quante volte ci ho ripensato...sempre come in" Sliding doors": un evento, un fatto, ne fa inanellare a catena tanti altri, in un senso o nell' altro. Lui da Milano non era mai andato via, aveva tentato di cambiare il suo destino in modo non corretto per riprendersi quello che pensava gli era stato tolto...chissà, se l' incidente non fosse successo, il preside avrebbe dovuto, vedendolo, denunciare l' inganno e lui  non avrebbe potuto sostenere l' esame; ma se fosse rimasto con noi, se io avessi parlato con lui, con la madre, se l' incidente si fosse potuto evitare, se non lo avessero bocciato,se,se se, quanti  "se"  per la vita sbagliata e finita stupidamente di un ragazzo di quattordici anni che correva, di notte, in moto.