giovedì 21 marzo 2013

RICORDO

Mio padre si chiamava Corrado; sua madre, Eva Barendson era di origine francese, suo padre, Tito, fu un grande avvocato negli anni 30 e 40. 
Papà era del 1910; quando scoppiò la seconda guerra Mondiale era a Bengasi, allora colonia italiana.
Fu fatto prigioniero dagli inglesi e la prigionia durò quanto la guerra, alla fine si finse muto e, dopo sette mesi, fu rimandato a casa.
Era il settimo di dodici figli, famiglia bene della Napoli bene di una volta; al ritorno dalla guerra, in casa di suo padre incontrò mamma, amica di una delle sue sorelle si sposarono dopo pochi mesi e fecero il viaggio di nozze a Ischia.
A papà piacevano le donne, era galante, di quella signorilità naturale, non ostentata, da baciamano appena accennato.
Non so se tradì mai mamma lei diceva che bastava non saperlo, era allegro, elegante, anche un po' vanitoso.
Da piccole, ci sculacciava se commettevamo birichinate, ma era incapace di tenere il broncio, un attimo e ti abbracciava e rideva.
Ci diede molto: una vita di benessere, lavorando tanto, la capacità di divertirci, la gioia di vedere il meglio della vita e goderselo.
Regalò a noi figlie la libertà, dono prezioso, quando nessuna ragazza, negli anni 60 e nei primi anni 70 era libera; ci insegnò che non è del giudizio degli altri quello di cui dobbiamo aver timore, ci insegnò a non essere gelose, di nessuno, perchè su nessuno possiamo vantare diritti di proprietà coniugi e figli inclusi; anzi diceva che l' affetto dei figli verso i genitori non è scontato, sono questi ultimi che devono guadagnarselo, altrimenti, diceva, il quarto comandamento non avrebbe ragione di esserci.
Aveva tanti amici quando morì, poche settimane dopo il mio matrimonio, dopo una lunga malattia e molte sofferenze, ai funerali comparve un sacco di gente sconosciuta, bottegai, un ciabattino, persone che lui, senza dirlo a casa aveva aiutato, era andato a visitare all' ospedale.
Amava giocare a carte, avevano amici e tavolini fissi lui e mamma ma non giocava per soldi nè con poste alte, era soprattutto per stare insieme.
Un amico di fb e lo ringrazio, mi ha detto che io so aprire i rubinetti del cuore e dire le cose che ho dentro, questo è una dei doni che mi ha lasciato mio padre.
Avevamo lo stesso carattere e litigavamo spesso, temporali di un momento che si concludevano ridendo.
Ci ha insegnato a mostrare agli altri, se possibile, un volto sorridente, a nascondere, se possibile, le pene e i dolori, mettendoli da parte e godendo il resto, ne ho fatto una filosofia di vita e ha giovato a me e a chi mi era intorno marito e figli inclusi.
Amava circondarsi di persone, a cena, chiunque fosse a casa, veniva invitato a trattenersi; non era una persona senza difetti, anzi, ma era molto amato dagli amici per la sua allegria, il suo affrontare sempre la vita con leggerezza.
Mamma era quella che dettava le regole in materia di studio perchè sulla libertà anche lei era d' accordo, papà era quello che di notte veniva a darti lo sciroppo se avevi la tosse, era quello a cui potevi raccontare le sofferenze d' amore; siamo sempre state sicure, mia sorella e io che avremmo potuto confidargli qualunque cosa e ci avrebbe aiutate, mai giudicate, conosceva le debolezze umane e ci insegnò, al massimo grado, la virtù della tolleranza.
Gli amici, dopo anni dalla morte, ne ricordavano gli scherzi, le battute, gli episodi comici che sapeva raccontare così bene, abbiamo avuto molto amore di riflesso, grazie a lui.
Voglio ricordare un' ultima cosa che credo riassuma come fosse e come, grazie a lui, siamo noi oggi.
Nel 73, io e mia sorella, con i nostri ragazzi ( impensabile per quell' epoca), andammo d' estate in Spagna; lui ci accompagnò all' aereo, lieto, allegro e spensierato come sempre.
Mi fu raccontato non so se da mamma o da lui stesso che, dopo averci lasciate, accostò l' auto al marciapiede e si mise a piangere per la tristezza che provava vedendoci andare via.

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