mercoledì 28 maggio 2014

" I DODICI "

Questa foto da noi e dai nostri amici " storici " viene chiamata " la foto dei dodici", perchè tanti furono i figli che sopravvissero alle gravidanze ( sedici in tutto ) della mia nonna paterna.
Era un numero altissimo per l' epoca, vista la mortalità infantile e fu grazie anche alle condizione economiche agiate che ciò fu possibile.


Nonno Tito Gambardella e nonna Eva Barendson appartenevano a due famiglie note a Napoli; si conobbero ragazzi perchè la sorella di lui era fidanzata ( e poi sposata ) con il fratello di lei, Guido Barendson.
Le famiglie, stando ai racconti che ricordo da piccola, inizialmente ostacolarono il loro amore in quanto ancora ragazzi.
Si racconta che nonno Tito, pur di vedere la sua amata Eva la incontrasse, travestendosi da donna, ( con cappello e veletta) mentre lei, sorvegliatissima, si recava in un bar con sorelle e mamma.
Lui era cadetto all' Accademia di Cava dei Tirreni, poi si laureò in legge e divenne un famoso avvocato fino agli anni '40.
Ho a casa un libro pubblicato da un giornale napoletano " La Voce di Napoli " che elenca, partendo dalla nobiltà e arrivando ai notabili della città la " Napoli d' Oro " del 1931.
C' è mio nonno e c'è anche la sua immagine: viene citato come uno degli avvocati più prestigiosi di Napoli, a capo di Commissioni varie e con diversi incarichi.
Era anche giornalista e per anni scrisse gli articoli di cronaca giudiziaria su " Il Mattino " e sul "Roma" i due giornali napoletani.
I Barendson famosi e noti lo erano anche di più: uno di loro era a capo delle Autostrade Meridionali e si distinsero nelle loro professioni.
Le due famiglie, doppiamente imparentate, vivevano al Corso Vittorio Emanuele, all' angolo con Piazza Mazzini, sullo stesso pianerottolo.
In una delle due case nacqui io e mi fa impressione vedere su quell' antica nota del 1931 il numero di telefono che con un " 3 " in più, è stato quello di casa mia fino al 1987 quando sono venuta a Milano.
Tito ed Eva erano entrambi terziari francescani quindi nel " riprodursi ", non ponevano limiti o precauzioni.
Tra il loro primo figlio e l' ultimo passavano più di 25 anni.
In questa foto si vede il primo, Paolo, con moglie e figlio e l' ultimo dei fratelli, Ugo di poco più grande del nipote.
Con un padre famoso e una madre molto dolce crebbero come usava allora: zie zitelle, domestiche, i primi che crescevano gli altri quasi come fossero figli.
Le donne si sposarono tranne due: una che rimase per sempre " signorina" per scelta e l' altra, quella che nella foto è la terza da destra, vicino a mio padre ( che è quello con il colletto alla marinara), zia Anna che abbandonò agi, lusso e una vita abbastanza libera per le ragazze di allora per diventare suora con il nome della mamma: Eva, in un ordine poverissimo a Tricarico in Puglia.
Morì giovane a poco più di 30 anni per un' otite che uccise anche mia nonna anni dopo.
Il nonno corse là scortato dalle motociclette che il cugino Barendson gli aveva messo a disposizione e la trovò già morta.
Si dice che abbia detto al figlio che lo accompagnava di non toccarla o baciarla; per anni il convento la venerò come una santa.
E finchè era stata a casa era una ragazza moderna, dinamica, fumava, aiutava il nonno nello studio.
Fu una vocazione sentita.
E' chiaro che, essendo in dodici, i ricordi sono tantissimi.
Si racconta che zio Leone, il bello e " sciupaffemmine" di casa, quello che è a fianco a mio padre nella foto, amasse divertirsi.
Si narra che ebbe un figlio con una signora sposata e fu mandato in " viaggio di piacere" da mio nonno finchè il clamore non si fosse calmato.
Pare che fosse anche appassionato del gioco del lotto: uno dei fratelli minori lo sapeva e, di notte, fingendo di sognare, declamava ad alta voce terni e quaterne che lui si affrettava a giocare.
Zia Elia, quella che rimase signorina, da ragazza pare che la sera fosse abituata a " macinare" i chicchi di caffè nell' apposito " macinino".
I fratelli maschi lo sapevano e fingevano di essere sonnambuli, vagando per casa e spaventandola a morte anche perchè la mamma le raccomandava di non svegliarli perchè era pericoloso.
Durante la guerra di certo si sa che il nonno Tito non andò mai nel rifugio quando c' erano i bombardamenti.
Diceva che se era destino che morisse, allora moriva a casa sua.
Aveva i figli maschi sparsi dovunque anche per le loro diverse idee politiche: papà mio era a Bengasi allo scoppio della guerra, fu fatto prigioniero dagli inglesi e ne uscì solo a fine conflitto e dopo essersi finto muto per alcuni mesi ( ma questa è un' altra storia).
Un altro, negli ultimi mesi di guerra finì in galera perchè comunista; un altro fascista finì in campo di concentramento; un altro ancora fu colpito alla testa da una granata in Russia e frammenti di schegge gli rimasero per sempre sotto la cute.
Dopo la guerra,e veniva ricordato sempre, uno di loro che, fuori della famiglia nessuno conosceva, passò insieme a fratelli e amici un fine-settimana a Ischia, fingendosi un ufficiale tedesco.
Quanto risero fra di loro facendo finta che lui non capisse quello che gli altri gli dicevano pensandolo tedesco!
.Le donne fecero degli splendidi matrimoni: feste, servizi di argenteria, amatissime dai genitori e dai fratelli.
I maschi, tranne il primo e l' ultimo, direttori di banca e mio padre che ebbe la fortuna di incontrare mia madre, implacabile e grande lavoratrice, furono tutti dei " Peter Pan"
Grandi amatori, conversatori,con un padre e un tipo di società che li aveva abituati a credere che tutto fosse loro possibile, amavano la musica, la poesia, le arti in genere, abbandonarono buoni lavori, si persero in sogni, realizzando ben poco, pur avendo una grande intelligenza.
Mio padre, come ho detto incontrò mia madre e lavorò per tutta la vita nel campo assicurativo.
Zio Ugo, l' ultimo, direttore del Banco di Napoli a Ferrara, suonava il piano divinamente: insieme abbiamo trascorso estati di sogno a Vico Equense riunendoci di sera e facendo grandi cori di antiche canzoni napoletane con amici.
Ogni riunione di famiglia, in occasione di matrimoni ed eventi vari era " popolatissima", fino a più di 50 persone e divertentissima; in prevalenza si riunivano a casa nostra.
Cosa ci hanno lasciato?
La classe ( che non è acqua) e la capacità di divertirsi che abbiamo ereditato,quel modo di vivere con leggerezza, forse non proprio come alcuni di loro, ma quel tanto che basta per godersi la vita e " succhiarla " fino in fondo.
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" RAZZA DI DONNE "

Erano tre e furono solo loro tre per anni; il nonno, marito di Giuseppina ( lei milanese, lui lucano), morì, come spesso ho raccontato, tenente medico degli alpini nel luglio del 1916 sul Carso.
Rimasero loro; lei giovane vedova con due bambine: Vittoria di quattro anni e Virginia, mia madre di due.
La nonna andò in Basilicata, conobbe i parenti del marito, grossi latifondisti, vendette a loro quanto lui le aveva lasciato in eredità in terre, armenti e altro, rimase per sempre a Napoli e si mise a insegnare.
Aveva il diploma, era milanese, conseguenza naturale: lavorare.
Vissero prima con la tata, poi con una domestica che ricordo ancora e che è stata con loro per anni e anni.
La nonna fiera, bella, solitaria.
Non si risposò mai, non credo perchè il marito ( e lo aveva fatto) avesse scritto nel testamento che è qua che avrebbe avuto la tutela delle figlie " a patto che non contraesse nuovo matrimonio".
Penso semplicemente che quello fu l' amore della sua vita: unico e grande.
Erano indipendenti e nello stesso tempo molto legate tra loro.
Le figlie si diplomarono e vinsero subito il concorso come insegnanti: mamma più vivace e indipendente, ancora prima dei diciotto anni prese servizio a Salento, un paese sopra Vallo della Lucania.
Ci si arrivava a dorso di asino ( o mulo), ci rimase per quattro anni, poi tornò a Napoli, insegnò sempre nella scuola a Piazzetta Mondragone, aveva tante amiche e amici tra i quali mia zia Elia.
Tramite lei conobbe papà quando lui tornò dalla prigionia: pare che mia zia le dicesse che con tanti fratelli ( erano dodici tra maschi e femmine ), qualche " prigioniero del passato", ci sarebbe stato per mamma.
Così fu anche se lei non lo cercava: lui tornò dalla prigionia ( quasi cinque anni con gli inglesi) e si sposarono nel giro di pochi mesi.
E mamma, dopo entrò in questa famiglia numerosa, signorile, sempre circondata da parenti, ospiti e amici.
Come le piaceva.
E poi, dopo anni di vita felice, affrontò il lungo periodo della malattia di papà e il dolore e i sacrifici, sempre da gran signora e poi di nuovo una vecchiaia splendida.
Zia Vittoria era più timida e riservata: sottomessa alla madre e al suo " piglio" a cui mia mamma si era sempre sottratta.
Magrissima in un' epoca in cui erano di moda le donne formose, si sentiva poco avvenente ed era bellissima.
Ebbe un fidanzato ad Avellino, dove andò a insegnare, un avvocato che morì di polmonite.
Lei regalò il suo corredo a mamma.
Nel '54 sposò un suo collega di undici anni minore di lei: fu il colpo di testa della sua vita, sfida al mondo e alla madre, grande amore che durò quarant' anni.
Lui era tanto più giovane, lei gli sopravvisse di quindici anni ed è morta a 97 anni.
Se da papà ci è venuta l' allegria e il " poco di pazzaria", da loro tre abbiamo preso il senso del dovere, l' idea che la donna è assolutamente uguale all' uomo, che anche da sola ce la fa, e se si sposa non deve mai smettere di lavorare e conservare sempre la sua indipendenza.
Una razza di donne libere e di signore raffinate insieme: gran connubio.
Ancora oggi in questa foto sono belle, garbate, dolci da vedere e insieme di ferro per chi le ha conosciute.
Grazie per quanto ci avete dato,senza tanti discorsi; solo con la vostra vita.

sabato 24 maggio 2014

IO, MILANO, I ROM E ALTRO.

Quando sono arrivata a Milano nell' 87 venivo da anni di gavetta come supplente ( a Napoli si usava così) e da più di dieci anni di ruolo a Melito di Napoli, comune dopo Secondigliano con una realtà complessa, ma con colleghi stupendi e alunni meravigliosi che ancora adesso mi scrivono su fb.
Arrivata qua, con l' ing che aveva un posto importante, bloccarono i trasferimenti nella scuola.
Io ero titolare a Melito per cui diventai la favola del Provveditorato di Milano.
A ogni inizio di anno scolastico mi piazzavo là e non me ne andavo finchè non mi davano il trasferimento per un anno in zona, altrimenti avrei dovuto lasciare la famiglia e prendere servizio a Melito.
Quello che per molti potrebbe sembrare un disagio io lo benedico ancora oggi.
Durò tutto tra i cinque e i sette anni.
In quel tempo rifeci la gavetta, anche se da professoressa di ruolo: mi capitarono due scuole per volta e correvo da una parte all' altra, scoprii che nelle periferie milanesi ci sono realtà che non hanno nulla da invidiare a Scampia.
Ricordo una prima media nella quale avrei dovuto insegnare storia e geografia e invece insegnavo le lettere dell' alfabeto a ragazzi figli di siciliani i cui genitori vivevano da quarant' anni qua e firmavano con la croce.
Insomma posso dire che quegli anni mi fecero conoscere veramente la città.
Immagino ancora quanto sarei stata deprivata se avessi avuto il trasferimento subito e in una scuola " bene " per giunta.
La mia esperienza sarebbe stata falsata.
E nel frattempo ci furono i rom.
Ho insegnato per due anni ai rom nell' ambito di un progetto che prevedeva un' insegnante " di sostegno" per i ragazzi di quella etnia inseriti in scuole medie.
Il primo anno conobbi Mario e Morena, fratello e sorella.
La madre era rom, il padre napoletano, ex stanziale e ci teneva che i figli frequentassero la scuola.
L' amore tra noi fu immediato e spontaneo; il progetto era strutturato bene.
Al mattino passavo qualche ora con loro in classe o da soli; il pomeriggio c' era una specie di doposcuola, tenuto da me, a cui erano invitati i ragazzi della classe perchè così si favorisse l' integrazione.
Le cose con gli alunni e specialmente con Mario e Morena andarono benissimo.
Meno buoni furono i rapporti con la titolare di lettere della classe che mi percepiva come fastidiosa e interferente.
Lo ero e molto.
C' era una preside brava e strana che invece dei giudizi ci faceva colorare con tinte diverse i quadratini del registro: ogni voto o giudizio aveva il suo colore.
Anche a lei diedi fastidio; non sono mai stata molto " comoda" come insegnante.
Imparai già da quell' anno che il fatto che io fossi di ruolo non lo capiva nessuno: ero l' insegnante dei nomadi quindi nomade anche io.
E fin qua mi andava bene.
A casa dovetti sottostare alla richiesta fattami gentilmente dalla famiglia di non dare il mio numero di telefono agli alunni cosa che ho sempre fatto in qualunque scuola, ma con i nomadi si sa, meglio essere prudenti.
I ragazzi abitavano con i genitori in una roulotte, ma vicino alla scuola.
Mario quando andavamo in gita non usava il biglietto del metro e scavalcava i " tornelli".
Morena il sabato e la domenica era abituata a chiedere l' elemosina e ora che era inserita in classe si vergognava, ma la madre glielo imponeva.
Il pomeriggio filò tutto liscio fino al giorno in cui un ragazzo fece una festa a casa sua e invitò tutti i compagni tranne i due rom.
Io dissi al ragazzo che dal giorno dopo non era più invitato al nostro doposcuola.
Ma sono gocce d' acqua nel mare.
L' anno dopo la preside non mi volle più e il progetto non si fece, ma andai a Buccinasco, un paese sui Navigli dove dovevo " curare" tre ragazzi.
Erano " sinti lombardi" una popolazione praticamente stanziale con un passato di giostrai e arrotini che erano accampati da anni nella zona e che parlano il dialetto milanese.
Qua i ragazzi erano molto più aggressivi e meno collaborativi dei due miei amati fratelli dell' anno precedente.
Dal più piccolo, che aveva meno di quattordici anni, ebbi lezioni sui furti di appartamenti; quello di mezzo si masturbava pensando di turbarmi; quando scoprì che la cosa non mi faceva nè caldo nè freddo, smise.
Con il più grande: Valerio ebbi i rapporti migliori.
Mi raccontava i litigi che succedevano nel campo; un giorno gli " fregai" la calcolatrice; si stupì molto che rubassi una cosa a lui, ma io gli risposi che se lui era zingaro io ero napoletana.
Con i colleghi fu difficile: seppi cosa si prova a sentirsi rom.
Insegnanti precarie che avevano dieci anni meno di me venivano nella stanzetta dove studiavo con i ragazzi e " sbattevano" sulla cattedra fogli con esercizi ordinandomi di farli eseguire.
Fu veramente un anno duro.
Continuai a vedere Mario, Morena e i loro fratelli minori.
Avevamo appuntamento sotto scuola e io portavo loro regalini per Natale.
Iscrissi il ragazzo a una scuola professionale vicino S. Siro dove imparò a fare l'imbianchino e trovò anche lavoro.
Poi un giorno, per scommessa con un compagno, rubò una radio da una macchina e fu espulso.
Poi trovò e perse vari lavori, poi il padre morì e con la madre tornarono per sempre al campo nomadi.
Anni dopo, all' oratorio della nostra parrocchia la squadra di mio figlio Paolo incontrò una squadra del campo nomadi.
L' allenatore era il marito di Morena; mi diede un numero e rimanemmo d' accordo che lei avrebbe aspettato alle 15 una mia telefonata.
Durante la partita Paolo si slogò una caviglia e passammo il pomeriggio all' ospedale; non era ancora tempo di telefonini e non potei chiamare.
Mi sentii sconfitta: ancora una volta l' avevo delusa e avevo fallito.
Raramente ci sono ragazzi cattivi; dipende quasi sempre da noi adulti, dalla convinzione che ci mettiamo,dai pregiudizi, dal tempo, dall' amore, a volte dalle circostanze.
A volte si vince, spesso si fallisce.
E per chi, come me, ha amato questo lavoro, il fallimento brucia e non si dimentica.

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La foto è di Ferdinando Kaiser
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giovedì 22 maggio 2014

GIORNATA DI "STRA"ORDINARIA FOLLIA

L' altro ieri, martedì, appuntamento dal medico alle 15,30 per ritirare ricette e prescrizioni e per una visita di controllo.
Il mio medico di base ha lo studio in altra zona; non è complicato arrivarci in auto nè parcheggiare, ma l' ultima volta ho preso 40 euro di multa e allora ci vado in taxi e con otto euro ad andare e altrettanti a tornare, mi tolgo il pensiero.
Anche l' ing ha avuto la sua avventura là: attraversava sulle strisce dopo aver parcheggiato e una macchina lo prese in pieno facendolo cadere.
Niente di grave, salvo che il conducente voleva portarlo in ospedale e Vittorio cercava di fargli capire che là di fronte c' era il suo medico e bastava che lo accompagnasse là.
Martedì appuntamento quindi, ma sciopero selvaggio dei taxi; chiamo e non mi assicurano che verranno ( dovevo dire che ero anziana, perchè quelli li prendono, ma la cosa mi sfugge sempre ).
Allora telefono al medico, che è anche amico e vittima delle mie ipocondrie da 27 anni e gli dico che, se non mi vede per l' ora stabilita, non mi aspetti.
Alle 15 penso " Ma che sarà mai una multa?"
E vado con la mia macchina.
Invece di parcheggiare su viale Monterosa faccio il giro e imbocco la via dove c'è lo studio del medico e dove, in fondo c'è la villa di mia cugina.
E' una stradina stretta dove le case costano un accidenti: sulla sinistra le ville, sulla destra alberghi a ore e signore eleganti che " esercitano " fin dalla mattina.
Per giunta hanno sistemato i parcheggi a spina di pesce quindi nello slalom tra case, marciapiedi, auto e " signore ", sento un botto alla ruota sinistra: forse una pietra che sporgeva.
Tiro dritto " si fa per dire " perchè la macchina sbandava.
Capisco che si è squarciata la ruota anteriore sinistra, tiro avanti, parcheggio in Viale Monterosa e corro dal medico per non perdere il turno ( visto che l' avevo anche avvertito che sarei, forse, mancata, all' appuntamento).
Mentre sono da lui e mi spoglio con l' altra mano telefono al Signor Mimmo.
E' costui, come la miriade di " agganci " e persone a cui rivolgermi di cui è sempre stata piena la mia vita e che la rendono felice e facile, un meccanico in pensione che, chiamato, viene subito e risolve qualunque problema.
Mentre lo contatto il medico mi misura la pressione ( 70 -120 ) il che dimostra che anche in stato di ansia è bassa, poi mi ha visitato.
All' uscita mi ha raggiunto l' " angelo " Mimmo che ha cambiato la gomma e mi ha permesso di tornare a casa promettendo di venire l' indomani per ritirare l' auto e cambiare entrambe le gomme anteriori.
A casa, riguardando le ricette mi sono accorta che c' era un errore nella prescrizione per un esame.
Telefono alla segretaria del medico che mi dice di andare che lo avrebbe corretto.
Erano ormai le 17,30, riprendo le chiavi della macchina quando mi telefona il signor Mimmo che mi dice che sta venendo a prendere l' auto per sostituire subito le ruote.
Gli ho detto che sarei andata con lui e avremmo fatto una piccola deviazione per tornare dal medico.
Arriva, mi implora di far presto, torniamo dal medico, cambiamo la prescrizione, mi riaccompagna a casa dove faccio una doccia e mi metto in pigiama.
Alle 18,30 , era di nuovo a casa mia con la macchina sistemata.
L' ho anche abbracciato e baciato.
Mi è costato il tutto 200 euro, ma ne è valsa la pena: è stata, in fondo, una giornata movimentata e finita bene.
Per il futuro sempre taxi!!!

lunedì 19 maggio 2014

DOMENICA 18 MAGGIO 2014 CON I NIPOTINI

Nel Parco di Corbetta con scoiattoli, papere, galline...che bella giornata!!!

giovedì 15 maggio 2014

UN POSTO AL SOLE

C'è chi lo vede e chi no.
Io sì: era il 21 ottobre del '96 e, voluta fortemente da Gianni Minoli, cominciò questa " soap opera " o meglio " real opera " che continua ancora quotidianamente dopo diciotto anni e conta uno " zoccolo duro " di due milioni e mezzo di telespettatori.
Le " soap " si sa, cominciarono in America; andavano in onda per le casalinghe intorno alle ore 13 e si chiamarono così perchè sponsorizzate dalla " Procter & Gamble" noto marchio di detersivi.
La più antica soap è " The Guiding Light, (dal 1975 Guiding Light) nata negli anni trenta come sceneggiato radiofonico per la NBC. e poi diventata trasmissione televisiva nel 1952.
In Italia è nota ( ed è stata amata da molti di noi per anni ) come " Sentieri ".
Dopo settantadue anni complessivi di messa in onda, venerdì 18 settembre 2009 è stata trasmessa l'ultima puntata.
"Un posto al sole " è invece una " real opera" sia perchè, anche se girata circa due mesi prima, è ambientata nella giornata in cui la puntata va in onda, quindi in " presunto tempo reale " sia perchè affronta, in modo spesso non banale i problemi di Napoli, dalla raccolta differenziata, alla camorra, alla disoccupazione giovanile.
Molti attori oggi famosi come Laura Chiatti, Serena Autieri, Serena Rossi oggi " Rosetta" con Enrico Brignano ne " Il Rugantino", hanno cominciato là.
Altri ci sono dalla prima puntata, altri sono attori famosi che hanno recitato con Eduardo e in teatri napoletani e italiani e oggi alternano la presenza fissa nelle puntate a lavori di recitazione con scuole napoletane o con la Regione e il Comune.
A Napoli è un " cult", ma qua anche ha fatto negli anni molti adepti.
Le prime puntate andarono in onda alle 18,30, poi l' appuntamento passò e rimane ancora oggi alle 20,35 dal lunedì al venerdì.
E' la vita quotidiana di un condominio di Posillipo con il portiere- guru interpretato da Patrizio Rispo e i vari abitanti: storie che si intrecciano, si dipanano, amori che cominciano e finiscono, intrighi, risate, scorci della vecchia Napoli alternati con panorami mozzafiato.
Io ne sono " dipendente ", lo confesso.
Tra le interpreti c'è Carmen Scivittaro che era mia compagna di scuola a Napoli.
Figlia di un architetto, appartenente alla " Napoli bene", la ricordo ragazzina che parlava con entusiasmo del sogno di fare l' attrice.
L' ha fatta e bene: cinema d' avanguardia, teatro tanto e poi da molti anni interpreta il personaggio di Teresa, governante della famiglia dei conti Palladini, ma anche mamma e nonna.
Ci rispecchiamo in loro e invecchiamo con loro e loro con noi; ogni sera venti minuti di piccole storie e un po' di panorama e di dialetto napoletano che non guasta!!!
E venerdì sera, la puntata numero 4000.
Auguri!!!

domenica 11 maggio 2014

OGGI IN PARADISO ( O DOVUNQUE SIA )...

Oggi, in Paradiso ( o dovunque sia ) è festa grande.
Là non è la " festa della mamma", ma la "festa dei figli".
Tutte le mamma che sono là si dedicano alle normali attività, ma dedicano un pensiero " speciale " ai figi che sono qua.
La mia non è che abbia molto tempo, come quando era tra noi: la scuola, gli amici, tanto amore per noi e i nostri bambini, ma con " paletti" ben precisi che salvaguardassero la sua libertà
Si prestava volentieri a badare ai nipotini con la fedele Maria Gambino, storica domestica che si dedicava alla parte manuale dell' impresa.
Anche nel cucinare, mamma sembrava un chirurgo che opera; con gentilezza chiedeva a Maria di affettare cipolla, di versare olio, di lavare le stoviglie; lei "assemblava".
Aveva lavorato e tanto, ma delle piccole comodità, specialmente da " diversamente giovane" se le concedeva.
Ci insegnò a essere " libere dentro " ed è molto, credo.
A me manca, anche se sono passati quindici anni: aveva brio, cultura, senso dell' umorismo.
Sapeva ascoltare: potevi confidarle qualunque colpa o turbamento; non giudicava mai,ti assolveva e ti pacificava con quel suo " non giudizio".
E' stata una vita piena la sua, ricca di amici e di amore dato e ricevuto.
Fumava tanto che quando si " trasferì " in Paradiso o dovunque sia, l' imbianchino assunto per tinteggiare la sua camera disse che non aveva mai visto pareti "conciate" in quel modo.
Io ho smesso dopo che lei è " andata".
Spero che lassù fumi meno, ma del resto non le può far male, spero che abbia trovato una brava domestica ( non riusciva a farne a meno).
Lassù, o dovunque sia, ce ne sono tante di mamme, di tutti i tipi, categorie, classi sociali, lingua e religione: se " dovunque sia " c'è Amore, c'è posto per tutte!!!
Sono sicura che sia diventata amica delle mamme di tutti i miei nuovi amici e amiche di fb.
Lassù o dovunque sia, sanno tutto e ci seguono e si divertono, proprio come sostiene il mio amico Massimo.
Ciao mamma, ciao mamme di tutti noi e buona " festa dei figli"!!!

giovedì 8 maggio 2014

MIA SORELLA PINA

Oggi è l' 8 maggio, il suo compleanno.
Quando nacque io avevo quasi cinque anni; guardavo il cielo e aspettavo di vedere la cicogna che mi portava questa sorellina; allora si partoriva in casa e mi avevano mandato dalla nonna.
Poi papà telefonò, tornai e vidi questo fagottino piccolo e rosso; non ho memoria dei primi anni, lei sì.
Ho letto su una rivista un articolo scritto da una psicologa che spiega che il rapporto tra sorelle è particolare, non ha niente a che vedere con la gelosia tra fratelli o tra fratello e sorella, ma riguarda il rapporto con la madre ( anzi l' articolo parlava di utero materno ); credo che significhi che la madre deve gestire e distribuire l' affetto in modo tale da non creare conflitti.
Fu subito chiaro più a lei che a me che mia madre preferisse me, perchè non lo so, così come mio padre, simile a me per carattere e impulsività ( litigavamo sempre e altrettanto velocemente facevamo pace ), la comprese e la coccolò molto.
Entrambe ricordiamo l' allegria, la libertà. l' andirivieni di ospiti che caratterizzavano casa nostra; io ricordo tanto affetto, lei meno; non riuscì mai a sentirsi completamente felice a casa.
Dopo la morte di mamma abbiamo chiarito tanti sentimenti inespressi; Pina mi ha mostrato una foto che ci ritrae tutte e tre: lei contempla mamma mentre questa guarda me con orgoglio.
E' uno scatto e io di questa preferenza ho preso coscienza solo da adulta, ma per lei fu importante.
Io ero una sorella maggiore ingombrante, così decisa, brillante negli studi, andavo avanti come un panzer; da ragazze andavamo d' accordo, anche in periodi di conflitto ci siamo confidate tutto.
Lei elaborò presto le strategie dei figli minori per averla vinta sui fratelli maggiori: mezzi necessari di sopravvivenza.
Ha vissuto meno di me la vita familiare e credo abbia perso molto, ma si è creata presto un suo mondo di amicizie e anche di fuga dalla famiglia che le stava, a volte, stretta.
Nonostante io fossi la " sorella brava ", lei esplose all' Università: laurea in filosofia in tre anni e una sessione con tutti trenta e lode e solo un venticinque in latino.
Ha poi sempre insegnato lettere con impegno e successo.
Era molto corteggiata e di questo io sono stata sempre orgogliosa; aveva e ha ancora un fascino non legato alla bellezza quanto alla grazia innata dei modi.
Ebbe un fidanzato storico che lasciò dopo cinque anni: lui ci mise dieci anni a farsene una ragione e per noi di famiglia fu un lutto tranne che per papà che, come sempre, l' appoggiò.
Abbiamo sposato due uomini con lo stesso nome: Vittorio così li distinguiamo chiamandoli sempre per nome e cognome anche se l' ing è stato per lei come per tutti noi fratello, sostegno e roccia a cui appoggiarsi in ogni momento.
E' bello che lei ami i miei figli e io i suoi come se fossero di entrambe e questo ha agevolato l' affetto tra cugini che sono ancora adesso come quattro fratelli.
Poco prima che noi partissimo per Milano lei si trasferì stabilmente a Vico Equense; ora, in pensione, nonostante abbia la figlia sposata e il nipotino vicini, si sente pronta per nuovi orizzonti e le piacerebbe esplorare nuovi luoghi.
Nostra madre, come lei, aveva un che di nomade: non a caso a 72 anni con molta maggiore levità di me, si trasferì con noi a Milano.
Ha affrontato e vinto la battaglia con il cancro con una leggerezza che ammiro ancora e sopporta con altrettanta leggerezza delle noiose conseguenze che ne sono derivate.
Ci sentiamo più volte al giorno anche se lontane; quando io vado a Vico d' estate non ci vediamo molto, ma ci conforta il saperci vicine.
Quest' anno, come sempre, prima che io partissi, mi ha dedicato un' intera giornata ( e un' altra a Ferragosto, il mio compleanno) ed è venuta in spiaggia con noi.
Da ragazze, quando terminavano le vacanze avevamo un rito: l' ultimo giorno andavamo insieme già alla Cattedrale su una terrazza panoramica a dire addio all' estate.
Da quando lei vive là e noi a Milano cerchiamo di evitare il momento dei saluti: ci fa troppo male.
Alla fine della giornata trascorsa insieme a mare, io sono salita in camera e ho detto che sarei tornata dopo poco; nel frattempo il marito è venuta a prenderla.
Ancora una volta, e lo abbiamo commentato a telefono, ci siamo risparmiate la commozione dell' abbraccio finale.
Avere un fratello o una sorella è importante: ci sono sentimenti e momenti della vita che si possono condividere solo con loro; è come avere uno specchio dentro cui riflettersi.
Nonostante i momenti di fatica, poter contare l'una sull' altra è bello.
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LA PIZZA MARGHERITA


"Quello che altri credono di saper fare (fuori da Napoli) noi a Napoli lo facciamo bene da oltre 100 anni -Enzo Tarallo 2014 "

" La pizza classica era la " marinara": olio, aglio, origano e pomodoro.
Grazie all' inventiva della pizzeria Brandi, in onore della Regina Margherita di Savoia, moglie di Umberto I, il bianco della mozzarella e il verde del basilico si unirono al rosso del pomodoro per formare i colori della bandiera italiana! "

lunedì 5 maggio 2014

PAOLO E IL PAPA

GIORNATA MEMORABILE !!!

domenica 4 maggio 2014

E, DOPO LA VITTORIA, LA FESTA !!!

EVVIVA!!!

PRIMA DELLA FINALE NAPOLI -FIORENTINA 3 MAGGIO 2014

Paolo in campo con lo staff e i giocatori

sabato 3 maggio 2014

UNA GIONATA DA NON DIMENTICARE 2 INCONTRO DEL PAPA CON GIOCATORI E STAFF



Il Papa con il Napoli

venerdì 2 maggio 2014

UNA GIORNATA DA NON DIMENTICARE 1

INCONTRO DI NAPOLI-FIORENTINA CON PAPA FRANCESCO

giovedì 1 maggio 2014

IL " FILOCHE " O FILOSCIO NAPOLETANO

Oggi l' ing ritorna dalla Scozia e io gli ho preparato, oltre alla torta di pere e ricotta che mi aveva chiesto prima di partire, il " filoche".
E' questo un piatto napoletano " povero" come la frittata di maccheroni, ma che richiede un' " abilità manuale" che ogni volta mi sa di miracolo.
Io uso tre o quattro uova, le " sbatto " con la forchetta, aggiungo sale, parmigiano e poi le verso nella padella dove prima ho versato un filo di olio bollente ( con il burro viene anche meglio, ma poi è una bomba).
Quando la frittata è ben cotta da un lato si pone al centro mozzarella o provola a pezzetti.
Poi si avvolge la frittata ( e questo è il gesto miracoloso) in modo che diventi un rotolo imbottito di mozzarella.
Se si vuole si capovolge con un piatto per " arruscarla " ovvero cuocerla bene anche dall' altra parte.
Ed ecco che il " filoche " è pronto!!!
BUON APPETITO !!!