martedì 29 novembre 2011

MORTE PROGRAMMATA


La notizia della morte di  Lucio Magri, un nome che tanti di noi ricordano, mi ha turbato per le modalità della stessa e le riflessioni a cui sono stata quasi "costretta ".
Io sono credente, ma accetto qualunque tipo di posizione diversa dalla mia come giusta e degna; poi, nelle situazioni, bisogna trovarcisi.
Quando avevo 45 anni, per quasi un mese ho creduto di aspettare un terzo figlio; con lucidità ho pensato che, nonostante la mia fede se avessi saputo di aspettare un figlio non sano, avrei abortito.Ne  sono stata certa certa e lo ribadisco ora.
Fortunatamente erano le prime avvisagli della menopausa che dopo qualche anno sarebbe arrivata.
Quando, alcuni mesi fa, ho saputo che Mario Monicelli, sapendo di avere un cancro, era salito sul balcone e aveva deciso di farla finita, prima del degrado fisico, del dolore, dell' umiliazione di dover dipendere da altri per le più elementari necessità, l' ho capito perfettamente.
Aveva vissuto una vita piena e intensa, voleva finirla nel modo e nei tempi decisi da lui.
Il caso Englaro lo cito solo perchè su quello si è speculato da ogni parte; ci venivano mostrate immagini di una ragazza bella e piena di vita, quando chi l' ha vista sa che la realtà era molto diversa.
E comunque non discuto le scelte.
La letteratura e la storia sono piene di suicidi: per amore, per ideali politici, per " male di vivere".
Quando il medico ci disse che per papà, che soffriva da due anni e atrocemente negli ultimi otto mesi, non c'era più niente da fare, io gli chiesi ( eravamo nel 1975 ) se non c'era un modo per abbreviargli il tempo del dolore.
Mi guardò duramente e mi disse che i medici giurano di salvare le vite; balbettai qualcosa in risposta, odiandolo e pregai intensamente, ogni istante, perchè papà morisse al più presto.
Oggi la notizia mi ha turbato per due ragioni:  in che modo la depressione sia paragonabile a una malattia fisica e entro quali limiti,  in questo caso sia ( mi verrebbe da dire giusto, ma dico opportuno) ricorrere all' aiuto legale di un medico, pensandoci, rinviando, ripensandoci, decidendo, organizzando la propria morte e i propri funerali.
Per quanto riguarda il primo problema, credo proprio di sì; io qualche volta ho brevi periodi di lievissima depressione e penso che sia terribile soffrirne in modo serio e prolungato.
Ci si sente come in una bolla d' aria, non si ha voglia di far niente, di vedere nessuno, non ci sono motivazioni e spinte di alcun tipo.
Se ne esce ( e le mie non sono vere e proprie depressioni quanto periodi negativi senza motivo) da soli, perchè nessun aiuto serve quando nessun aiuto vuoi, solo restare solo con il tuo " non essere".
E' il " male di vivere" e capisco che, soffrendone per anni, si arrivi a un punto di non ritorno.
Quanto poi al farlo in modo ufficiale e " assistito", su questo non so proprio pronunciarmi e tanto meno giudicare.
Si dibatte da secoli se il suicidio sia un atto di coraggio o di vigliaccheria: non so rispondere nemmeno a questo.
L' antichità  in proposito ci offre episodi  esemplari di persone " condannate al suicidio ".
Ricordiamo Socrate che aspettava con i discepoli che la cicuta gli irrigidisse le membra e raccomandava di offrire un gallo a Esculapio; Petronio che si tagliò le vene, poi le bendò e, chiacchierando serenamente con gli amici avvicinava e ritardava  il momento della fine, allentando e stringendo le bende.
Indipendentemente da qualunque credo religioso, stasera mi è venuto da pensare, e me ne sono subito pentita, quasi fosse un giudicare e non voglio, a tutti i bambini malati che sono in ospedale e lottano per un briciolo di vita, a quelli che muoiono per fame, a quelli che muoiono per guerre non volute e decise da loro, ai migranti che su barche affollate vanno incontro alla morte cercando una vita migliore.
Ripeto, è stato un pensiero subito ricacciato dalla mia esigenza di rispettare " ogni " libertà individuale circa la propria vita e la propria morte.
Vorrei tanto risposte, ma non venite a dirmi cose del genere:" la vita non ci appartiene, ci viene data da Dio e solo lui può toglierla".
Ci credo anche io ma bisogna " esserci dentro " per capire; è questo in fondo il mistero della vita, per quante sono, ognuna è diversa dall' altra.

domenica 27 novembre 2011

CALDO, FREDDO E CASE


Napoli, si sa, è " il paese del sole".
E' vero, come è vero che in questi giorni là ci sono temperature intorno ai 20 gradi e qua a Milano intorno ai 5, 6 gradi di mattina presto, che poi diventano 9, 10 nel corso della giornata.
Ma io ho sempre collegato l' idea, la sensazione di freddo agli anni di Napoli piuttosto che a quelli di Milano.
A Napoli fino agli anni '60 solo le case di lusso ( e talvolta nemmeno quelle ) avevano l' impianto di riscaldamento centralizzato; il napoletano, per sua natura pensa che d' inverno è normale che in casa faccia un po' di freddo, basta mettere un pullover in più.
Infatti, a Napoli tutti o quasi portano i pullover a "collo alto "; io abitavo in una casa panoramica al Corso Vittorio Emanuele, senza riscaldamento.
Avevamo una grossa stufa a gas che riscaldava un po' tutta la casa e altre stufe a cherosene.
Ma che freddo la mattina presto quando ci si lavava nel bagno gelato!
E poi, freddo a scuola, e freddo quando si andava d' inverno a Vico.
Anche quando hanno cominciato a costruire case con il riscaldamento centralizzato, le ore di accensione sono poche e soprattutto serali, e non bastano a riscaldare le case, almeno per persone freddolose come me.
Le mie amiche a Napoli lo sanno e, se in inverno capita che vada da loro, accendono l' impianto autonomo proprio per me; loro, semplicemente, non ci fanno caso.
Ora, se è vero che la temperatura è più mite, è vero anche che quando il sole tramonta presto, in casa fa freddo là come qua, forse a Napoli meno che a Milano , ma fa freddo; solo che molti rifiutano l' idea.
Quando 25 anni fa sono venuta a Milano, a parte il mare che mi manca sempre, l' ultima delle cose di cui mi sono preoccupata è stata la differenza di clima.
Ho goduto subito e per sempre del fatto che qua, dal 15 ottobre al 15 aprile e, a volte anche oltre, alle 6 di mattina un bel tepore si diffonde per casa.
Essendo gli ambienti chiusi come case, scuole e negozi ben riscaldati, il freddo, fuori si percepisce di meno; ci si abitua a vestirsi a " sfoglia di cipolla", cioè a strati per stare ben coperti fuori e più leggeri al chiuso.
Stamattina quando mi sono svegliata ho subito capito che i caloriferi erano spenti; dalle 7 alle 10, quando li hanno riaccesi, il mio cervello era  come paralizzato.
In questi casi io comincio ad andare dai vicini, telefono al portiere, all' amministratore, faccio qualunque cosa, basta che mi restituiscano il caldo.
Quando i caloriferi sono diventati tiepidi e il mio corpo ha cominciato a "sciogliersi " e il mio cervello a funzionare, sono venuta su fb e ho postato la notizia a caratteri cubitali perchè lo sapessero tutti ( chissà poi a chi gliene importava, ma tant'è!).
Evidentemente il cervello non funzionava del tutto perchè invece che sul mio stato l' ho scritto sul sito di un gruppo: " VESTITA DI MARE " dove i miei amici fotografi  postano foto che io commento, sito a cui un incauto amico fotografo ha iscritto anche me ( per gentilezza perchè io non so fotografare)!
Me ne sono accorta subito e, mortificata stavo per cancellare quello che avevo scritto quando mi sono accorta che uno aveva scritto sotto " mi piace".
Mi è dispiaciuto deluderlo, ho scritto sotto una frase di scuse e ho lasciato il post dov' era.

sabato 26 novembre 2011

COMPAGNIA DI GIRO


All' inizio fu facebook.
Perchè mi iscrissi? Per contattare gli ex alunni. Ne ho parlato tante volte e da questo punto di vista ho ottenuto più di quanto avrei osato sperare; mi sento come se avessi una lampada di Aladino che mi  ha permesso di scoprire dove sono e cosa fanno tanti ragazzi, ora uomini e donne, che mi erano rimasti nel cuore.
Credo sia il sogno di ogni insegnante che ama il suo lavoro; sapere se quel tale è riuscito a realizzare il suo sogno, vedere quelle che ricordavo ragazzine ora mamme e adulte; però fra  noi il tempo è come cristallizzato nei ricordi condivisi ed è, per loro e per me, come avere sempre l' età di allora.
Poi c' è stato qualche amico d' infanzia " ritrovato"; si fa per dire perchè con alcuni non ci eravamo mai persi, casomai non ci sarebbe tempo per una telefonata ma, su fb, un veloce scambio di idee, un " mi piace " postato là è come ritrovarsi senza fatica.
Ancora dopo sono venuti a frotte gli amici virtuali, quelle persone, cioè, che non conoscevo e che, forse, non conoscerò mai.
Mi ero data un tetto massimo, che via via, nel tempo, per una forma di ingordigia, è andato sempre salendo e ore ho quasi 500 " amici".
Ogni tanto, a cominciare dagli ex alunni, c'è qualcuno che si cambia nome; allora si pensa :" Ma questo chi sarà mai?". Poi, grazie a una foto o andando indietro nelle mail scopri che il " Sonny " di adesso si chiamava e si chiama ancora oggi nella vita con un altro nome; ci sono quelli che, dopo aver chiesto o dato l' amicizia, non  si fanno MAI più sentire; ogni tanto verrebbe voglia di fare un po' di pulizia ma in genere desisto.
Ci sono molte donne, con cui si fa amicizia subito: non conta sapere troppo l' una dell' altra; tra noi, e fb ci fa ritornare ragazzine, è facile scambiarci cuoricini, abbracci e baci, c' è comunque una forma di solidarietà che nasce dalla somiglianza di fondo delle vite di tutte noi donne e che ci rende vicine.
Io su fb un amico  vero come quelli della vita reale l' ho trovato, so di volergli bene, so che mi ricambia con affetto sincero e fraterno anche se capita di non sentirci per periodi lunghi; è anche questo è un dono grande ed è più di quanto potessi sperare.
Quello che mi colpisce negli ultimi tempi è che, nonostante le amicizie aumentino, capita che tra gli amici di  nuovi amici, perdonate il bisticcio di parole, ci siano persone che conoscevi per altre vie e altre amicizie.
A volte devo rifletterci su e rendermi conto che è chiaro che, su fb, uno che vive in Sicilia può essere amico di chi vive, per esempio, in Piemonte.
 Mi è capitato di scoprire che persone che io credevo amiche reali di altre, lo fossero solo virtualmente mentre, nella vita reale erano amiche da anni e anni di qualcun altro degli amici.
Poi, essendo io in contatto con tanti fotografi, fotografi- poeti, fotografi-scrittori, fotografi- poeti- elaboratori di immagini tratte da fotografie, ho qualche volta delle leggere crisi di " calo di autostima", e per averle io che ho sempre avuto notevole considerazione nelle mie capacità, vuol dire proprio sentirsi, a volte, una vera " schifezza"!
Sembra di essere circondati da geni:  fotografie bellissime, elaborazioni di foto fantastiche, poesie proprie a commento delle proprie fotografie...e pensare che io a volte mi sento brava perchè commento foto di altri con  versi di poesie famose e scrivo il mio blog!
Ebbene sì,  devo cominciare a fare amicizia con persone normodotate, casalinghe, pensionati, impiegati dalla vita grigia e fantasia scarsa e soprattutto, ragazzi, con meno varietà di talenti!
Anche perchè questi " talentuosi" si conoscono tutti tra loro e continuamente si complimentano gli uni con gli altri; poichè lo meritano, aggiungi ai complimenti che si scambiano tra loro quelli sinceri di noi " normodotati", c' è veramente, a volte, di che sentirsi frustrati.
In questi casi io penso che, in fondo sono stata una discreta professoressa, una discreta moglie e madre, ho avuto una vita felice e siccome, come si dice a Napoli:" 'O lusing fà bbuon ' 'a salute ", cioè lodarsi da soli aiuta, mi consolo facilmente!

martedì 22 novembre 2011

COME ERAVAMO


Quando ho parlato ieri dei nostri riti e feste di famiglia, fra i diversi commenti due mi hanno colpito.
Il primo, di un' amica che mi scriveva che io ero stata fortunata ad avere una giovinezza agiata, e che , a quei tempi, non per tutti era così.
Il secondo, del mio amico Alberto che, intuendo alla perfezione ciò che io avevo provato a raccontare, sottolineava come, più che di ricchezza io parlassi di un' epoca in cui, il " savoir vivre ", il decoro, unito alla raffinatezza, fossero quasi un abito interiore.
Nella mia vita ho avuto periodi di relativa agiatezza alternati ad altri, soprattutto nell' infanzia, in cui la mia famiglia ha attraversato anche momenti difficili.
Quando io avevo poco più di un anno morì il mio nonno paterno; noi vivevamo con lui.
I figli, erano dodici, e soprattutto le nuore, si incaponirono a voler vendere la casa.
A nulla valsero le insistenze di  mamma che sperava potessimo rimanere là, restituendo poco per volta i soldi della casa ai cognati.
Eravamo alle soglie degli anni '50, la guerra era finita da poco, andammo, in subaffitto come ho già scritto altrove, nella casa di una famiglia composta da padre e tre figli: loro avevano bisogno di soldi, noi di una casa; restammo là per quattro anni e là nacque mia sorella.
Noi avevamo un grande salone, oggi sarebbe forse di moda: da una parte c'era la camera da pranzo- salotto e dall' altra c'era la camera da letto dei miei genitori con i nostri lettini. Cucina e bagno credo fossero in comune con l' altra famiglia.
Non eravamo più o meno ricchi di tanti altri in quel dopoguerra; i miei genitori lavoravano entrambi, papà impiegato e mamma insegnante.
Certo, signori erano e signori rimasero; continuarono a ricevere  in quel " monolocale " come se fosse  un castello, e i nostri amici, anche quelli più agiati di noi, continuarono ad avere per mamma e papà  che erano allegri e amanti della compagnia, la stessa venerazione di sempre.
Quattro anni dopo papà riuscì ad avere una casa a Fuorigrotta dell' Ina Casa, di quelle che, dopo un certo numero di anni diventano di proprietà.
Ci abitammo per sei anni circa, la zona, periferica, non ci piaceva, nel '60 ritornammo, in affitto, e con noi venne anche la nonna materna, quella milanese, nel nostro quartiere al Corso Vittorio Emanuele.
In quella casa siamo rimasti fino all' 87, anno della nostra venuta a Milano.
Qua, poichè il lavoro di Vittorio lo permetteva, comprammo casa.
Le prime vacanze, a Vico Equense, le abbiamo fatte quando io avevo nove anni: ricordo il prima, quando andavamo con la Cumana, un treno così chiamato perchè univa Napoli a Cuma, a fare i bagni a Torregaveta; ricordo l' odore di corpi sudati, treno e gelato, la folla, le lunghe giornate trascorse a mare, il ritorno la sera a casa.
Ricordo anche la prima mattina in cui ci svegliammo, nella prima estate a Vico; mamma mi chiamò e restammo per parecchi minuti a guardare la campagna da una parte e il mare, laggiù, dall' altra; ci sentivamo in Paradiso.
Per questo amo tanto Vico, per questo apprezzo il valore di quello che ho come se lo avessi conquistato ieri.
Ma la raffinatezza nel ricevere, le feste, mai pacchiane o " esagerate ", ma connotate da precisi riti tramandati da generazioni, quelle rimasero sempre le stesse; non era nemmeno una questione di soldi;  gli oggetti, l' argenteria, i piatti belli erano di famiglia.
Ricordo che le zie, sorelle di papà mi spiegavano " come " si riceve; gli ospiti non dovevano mai essere lasciati soli o a disagio, le persone di famiglia  distribuirsi e dedicarsi un po' a tutti senza trascurare nessuno.
Con le torte salate andava servito il vino passito, poi i dolci e le coviglie; queste ultime solo i meridionali sanno cosa fossero; non mancavano mai alle festa di famiglia, erano dei semifreddi a vari gusti: cioccolato, nocciola, caffè, cassata, venivano portate a casa dal pasticciere in grossi cilindri di alluminio che servivano a mantenerle fresche e tirate fuori al momento di consumarle. Erano servite in bicchieri anche quelli di alluminio; poi il pasticciere provvedeva a portare via i bicchieri vuoti e il contenitore.
Ricordo nella mia gioventù periodi in cui potevamo permetterci le vacanze invernali e periodi in cui c' erano spese più urgenti; andavamo comunque incontro agli anni del boom economico quando tutto sembrava a portata di mano.
Quando qualcuno di noi si fidanzava le zie chiedevano del fidanzato/a di turno:" Come nasce? ". Non si curavano della posizione sociale della persona in questione ma del cognome; Napoli era un paesonev , l' importante era poter dire :" La mamma ( o la zia ) sono state nostre compagne di scuola" oppure: " Suonavamo il piano insieme, da ragazze.".
Non mi sono mai sentita inferiore a chi aveva di più nè superiore a chi aveva di meno.
Erano tempi in cui cultura, buona educazione e decoro  si accompagnavano e, indipendentemente dalle possibilità economiche, erano un quid che veniva riconosciuto a chi lo possedeva.
Quando papà si ammalò e non lavorò più ( furono due anni tremendi ), mamma, perchè potesse avere le migliori cure  vendette, poco a poco, tutti i gioielli che papà le aveva regalato in trent' anni di matrimonio, ed erano molti e belli.
Nessuno di noi si sentì sminuito da questa necessità: ci sentivamo gli stessi di sempre, circondati dall' amore degli amici, solidali tra noi senza troppe chiacchiere, si affrontava il momento difficile con discrezione, compostezza e mostrando agli altri il volto di sempre.
La famiglia di Vittorio, che era dello stesso ceto sociale della mia, forse agiata in maniera più " stabile", a parte le riunioni di famiglia in occasioni particolari cioè comunioni, anniversari, e occasioni simili, è stata sempre sobria e di " basso profilo".
Un basso profilo che noi abbiamo cercato di " passare " ai nostri figli, insieme all' idea che, delle "cose", dei beni materiali si può sempre fare a meno. Non è quello che conta ma ciò che si è dentro e c' era un tempo, che spero stia per tornare, in cui decoro interiore ed esteriore, rispetto, onestà,  pulizia morale e cultura erano qualità universalmente riconosciute.
Ricordo una frase di una socia del nostro Circolo del Tennis a Vico alla morte di mia madre.
Questa signora era di grande e recente ricchezza e ricordava sempre quando, bambina frequentava la scuola in cui  mamma insegnava.
Mi disse: " Tua madre era una vera signora no comme mo' ca simmo signore tutte quante".

lunedì 21 novembre 2011

COME SIAMO FINITI IN UNA TESI DI LAUREA


Dopo la morte di mio suocero, nel 1999, uno dei miei cognati  riunì tutti i filmati di famiglia girati nel corso degli anni con la cinepresa, li raccolse in un VHS con una musica di sottofondo e regalò i ricordi di una vita familiare a tutti noi.
La cinepresa era stata comprata da mio suocero per la Prima Comunione di uno dei figli nel 1964; sono tanti i momenti da ricordare: feste, soprattutto, anniversari, il cinquantesimo del matrimonio dei nonni di Vittorio, Vico e le vacanze e le partite di pallanuoto e il viaggio in Romania che facemmo Vittorio e io da fidanzati nell' estate del '71.
La cassetta finisce con il bagnetto a Stefano, mio figlio, quindi nel 1978.
E' stato un bel regalo, anche se a me ha fatto una certa impressione rivedere scene dimenticate, volti di persone scomparse; in fotografia è diverso, lo sopporti di più, sono immagini fisse, nel film il movimento ti dà, a volte, una stretta al cuore.
Qualche anno fa, forse cinque o sei, Paolo che stava per laurearsi ci comunicò che una sua collega della Cattolica avrebbe scritto una tesi sulle vacanze delle famiglie italiane negli anni tra i '50 e i '70 viste attraverso i film di famiglia.
Per questo le prestammo la cassetta, lei la visionò, poi venne un giorno a farci una specie di intervista sui contenuti del video; chiese spiegazioni, chiarimenti, noi raccontammo.
Mesi dopo ci è arrivata, per posta, la tesi con un gentile biglietto di accompagnamento nel quale Laura ci comunicava di esseri laureata a pieni voti e ci ringraziava per il contributo.
E così ci siamo ritrovati a essere un paragrafo di un capitolo di una tesi di laurea.
Delle dieci famiglie prese in esame, la maggior parte è del Nord o, come noi, meridionali che vivono al Nord.
Non conosco gli altri filmati, ma il capitolo che ci riguarda rispecchia fedelmente, se non la realtà, quello che di essa si vede.
Cominciamo dal titolo:" La signorile napoletanità dei Siravo nelle immagini del loro archivio filmico privato".
Siravo è il cognome di Vittorio, ma essendo entrata io presto nella sua vita ci siamo tutti, la sua famiglia e, in parte, la mia.
In effetti da quel film sembra che la nostra vita fosse un succedersi di feste: capita così, il tempo scorre con le sue gioie, i suoi dolori, salute e malattia, matrimoni e morti ma la cinepresa ferma e conserva per sempre i momenti felici e gioiosi. Comunque questi ultimi sono descritti con singolare acume e fedeltà.
Vero che le altre famiglie sembra si dedicassero più ai viaggi, a escursioni, si parla di montagna, di gruppi familiari in giardino, di figli filmati periodicamente e seguiti nella loro crescita; riporto qua qualche frase del capitolo a noi dedicato: " Le celebrazioni in casa Siravo appaiono preparate in modo impeccabile...tavole addobbate da ricchissimi buffet, eleganti signore ingioiellate sedute...sulle poltrone del salotto di casa, i camerieri che offrono stuzzichini su vassoi d' argento...le domestiche a supervisionare la buona riuscita del pranzo...un' eleganza e una distinzione che non appare mai snob o ricercata,anzi...contraddistinta da ...calore...quasi fosse un tratto, una specificità legata...alla naturale solarità dei napoletani."
Leggendo, e risponde al vero, ne esce fuori quel po' di " spagnolismo" che la Napoli bene aveva nei suoi riti festivi, quella naturale propensione a godere anche se in modo raffinato, i momenti di " otium".
C'è poi più avanti::" Vico Equense , per i Siravo, è il luogo elettivo delle vacanze anche perchè il primogenito Vittorio conosce, durante queste villeggiature, Eva, la donna che sposa, proprio in una chiesa della cittadina, nel 1975.".
E ancora riguardo alla nostra giovinezza:" La vacanza...estiva di Vittorio...e della fidanzata Eva ...nel 1971...appare abbastanza pionieristica nel tempo...per la libertà che i genitori avevano concesso ai propri figli, ma anche per la scelta dell' itinerario: Bucarest e il Mar Nero...Un viaggio...con connotazioni quasi politiche, in sintonia con una stagione della nostra storia contraddistinta in modo forte dall' appartenenza politica.".
Ecco come, attraverso anche all' intervista fatta a noi, partendo da vecchie immagini ci viene incontro, in uno scritto, la nostra vita o almeno, parecchi attimi felici di essa.
Un' ultima annotazione. C'è uno spezzone di pochi secondi, girato da Vittorio sulla spiaggia; è un settembre dei primi anni 70.
Si vede mio padre, con un pullover leggero a collo alto e la giacca; ci aveva probabilmente accompagnato alla spiaggia e andava via per lavoro.
Si sofferma velocemente a salutare mamma e le amiche di lei: che naturalezza e mancanza di affettazione in quel baciamano appena accennato, frutto di un' educazione di generazioni ma così naturale e spontaneo; cose di una volta!

venerdì 11 novembre 2011

IL QUADRO


Stamattina ho visto un quadro e mi sono innamorata di quell' immagine; era inserita in un cuore e anche questo era bello ma evocava dei luoghi che per me sono i più importanti al mondo. E' di Filippo Palizzi:" Fanciulla sulla roccia a Sorrento".
Io sono di Napoli e vivo da molti anni a Milano, ma il posto più caro al mio cuore è la costiera sorrentina.
Non c'è un angolo di quelle zone che non rappresenti per me un ricordo legato a persone, gioie, dolori, sensazioni di tutta una vita.
Il quadro, dell' 800 napoletano, rappresenta una ragazza che su uno scoglio sporgente come uno sperone sul mare, contempla il panorama.
Non si vede altro, si immagina e questo mi basta: quando la sera da Vico ci muoviamo per andare a cena a Sorrento o a Positano, c'è un punto prima di Meta di Sorrento in cui, come dice sempre la mia amica Luciana:" Il panorama sembra un presepe."
Tutto mi ricorda qualcosa: le corse in moto lungo la costiera fatte da ragazza con entusiasmo e incoscienza, le foto del mio matrimonio e prima ancora la sera in cui mi sono fidanzata.
Ancora indietro nel tempo le lunghe vacanze di una volta, quelle che andavano da giugno a ottobre. La vita di noi ragazzi, d' inverno, non era ricca di distrazioni. In estate eravamo liberi, ci si conosceva tutti, si usciva in comitiva, si andava a ballare, prima nelle case di amici col mangiadischi e canzoni come " Legata a un granello di sabbia", " Voce 'e notte", poi al circolo dell' Unione, con i genitori da una parte che chiacchieravano e noi sulla pista che ballavamo.
Poi crescendo si andava all' Africana a Praiano o al Saraceno ad Amalfi e si passava la notte fuori e si tornava all' alba in tempo per l' apertura del forno ed il panino caldo con la mozzarella dentro o la brioche con il gelato  o la panna dentro.
E sempre, ogni estate ci si innamorava: non importava di chi, erano sempre amori che " dovevano " far soffrire; in genere era di un  ragazzo che, a sua volta, amava un' altra che non lo ricambiava, però era tuo amico e si confidava conte mentre quello che era innamorato di te non ti piaceva per niente.
Ricordo gli anni in cui ero incinta e quelli con i bambini piccoli e poi ho tante foto sempre di quei luoghi dove si vedono i figli sempre più grandi.
Poi per alcuni anni, quando i ragazzi e Vittorio rimanevano a luglio a Milano io andavo da sola; loro mi raggiungevano ad agosto.
La sera rimanevo fino a tardi a contemplare il panorama sul terrazzo e, sempre, mi ha colpito quello strano senso di appartenenza, di "essere a casa", che non provo altrove.
Vorrei essere cremata e restare nel cimitero lassù a S. Francesco;  mi piacerebbe restare per sempre nel posto che ho amato di più.
Questo e tante cose ancora ho pensato guardando quel quadro: nonostante gli abiti ottocenteschi, era semplicemente una fanciulla che guarda quel mare e quel panorama a cui sono legate le mie memorie.

giovedì 10 novembre 2011

IL CORRIDOIO


Pochi minuti fa leggevo una frase sull' info di un mio amico: " Io la vita l' ho capita vivendola ". Spesso mi sono soffermata su questa riflessione.
La grande differenza che separa i giovani da quelli che lo sono " diversamente" è come un lungo corridoio; da una parte c'è chi si affaccia alla vita: adolescenti e giovani e dall' altra quelli che hanno amato, sofferto, gioito, vissuto insomma.
Quante volte questi vorrebbero (e a volte, ma sbagliando, lo fanno),  mettere in guardia i primi, avvertirli su quanto va fatto e quanto evitato perchè,  anche se ogni vita è unica, ci sono delle costanti che tendono a ripetersi e, tra quello che si è vissuto in prima persona e quello che si è visto e sperimentato osservando gli altri, qualcosa lo si impara; vorremmo evitare a chi amiamo sofferenze e delusioni.
Ma si deve tacere perchè la stupenda, meravigliosa arroganza della gioventù, e l' abbiamo avuta tutti e non dovremmo mai dimenticarcene, è credere che la propria esperienza sia la prima al mondo, unica e irripetibile; e in un certo senso lo è. Bisogna imparare da soli a vivere, vivendo.

sabato 5 novembre 2011

CANTO PER GLI UCCELLINI ( A TELEFONO )


Stasera è la fine di un giorno triste: abbiamo ascoltato notizie tremende, condiviso questi momenti malinconici e pieni di angoscia con gli amici di fb e con altri; ora mi viene di parlare di cose allegre così ci tiriamo un po' su.
Che io canti con il macellaio è ormai cosa nota ma nessuno ancora sa che sto cominciando a fare la bird-sitter.
Giorni fa ho telefonato al mio secondo figlio, Paolo,  che vive con Valentina, la sua ragazza e cinque uccellini; mi sembra che siano cardellini mandarini, sul primo termine non ci giuro sul fatto che siano mandarini, sì.
Paolo non era in casa e mi ha risposto la segreteria telefonica; nel frattempo, la mia colf mi stava dicendo non so cosa e io le ho risposto.
Intanto mio figlio è tornato a casa e ha sentito una voce; ha pensato che ci fossero i ladri, poi mi ha riconosciuto ma ha pensato che fossi impazzita perchè non lasciavo messaggi in segreteria, ma chiacchieravo di altro.
Ci siamo chiariti e lui ha detto che gli uccellini, che rimangono soli tutto il giorno quando lui e Valentina sono al lavoro, sarebbero stati felici di sentire una voce; se volevo potevo allietarli, quando ne avessi avuto tempo, con qualche canzone.
Stasera ripeto che, come reazione a tutte le notizie tristi di questi ultimi giorni, avevo voglia di ridere di niente; prima ho scherzato con il mio amico di fb Sandro a cui piace il rock e posta delle canzoni che io non ho mai sentito ( fin quando avrà pazienza con me?), poi ho telefonato a Paolo pensando di chiacchierare con Valentina.
Mi ha risposto la segreteria telefonica, allora d' istinto ho cominciato a cantare; l' ho fatto in due puntate, cioè per cantare tutta la canzone ho telefonato due volte.
Non mi veniva molto naturale, mi sembrava di giocare a karaoke e dimenticavo qualche parola perchè col cordless in mano mi sembrava di avere un microfono e mi imbarazzava un po'.
Ma la " capa fresca " ce l' ho anche se, con tutta la pioggia che c' è qua e altrove, non mi è uscita una canzone allegra ma "Vierno" ( Sandro, queste e quelle degli anni 60 sono quelle che conosco meglio).
Non è allegra : " Vierno che fridd' int' 'a stu core..." e non so quale giovamento ne abbiano tratto gli uccellini; so che posso fare di meglio e anche con canzoni più allegre; posso spaziare dal musical alle canzoni per bambini e altro.
Chissà se è tornata la povera Valentina; ( Paolo stasera rientra tardi da Sky)  avrà pensato:" Questa è pazza!".
Ma che io lo sia un po' è fatto noto; speriamo almeno di aver trovato un' occupazione part-time, mi piacerebbe molto!

venerdì 4 novembre 2011

RIFLESSIONI SUL TEMPO


Oggi piove, il tempo è grigio, è arrivato l' autunno. Dalla finestra vedo le fronde scosse dal vento, le foglie cadere e formare a terra un tappeto giallo e rosso, alcuni alberi sono ancora verdi, altri si stanno spogliando poco a poco, come nella poesia del Pascoli " Ma secco è il pruno, e le stecchite piante / di nere trame segnano il sereno...".
Penso a quanto sta accadendo in alcune regioni, un' amica di fb mi scrive che a Genova si ha paura; in questo periodo di tecnologia avanzata in cui tutto sembra possa essere risolto, la natura si vendica in modo primitivo dell' uomo che ne ha alterato l' equilibrio con dissennata follia.
Ma a Milano oggi è una pioggia calma, un tempo normale per la stagione e io rifletto su quanto possa su noi l' abitudine.
Nel Sud si è abituati al sole; quando zia Vittoria veniva a trovarci a Milano, ogni mattina faceva il gesto tipico dei napoletani: guardava  come fosse il tempo; se pioveva diceva: " Oggi non usciamo".
Venticinque anni di Milano mi hanno fatto amare queste giornate grigie; in casa si accendono le luci dalla mattina; specialmente se non c' è necessità di uscire è bello accendere lampade qua e là e sentirsi caldi e protetti:  è il tempo della stagione ed è giusto che sia così.
Quando due volte all' anno ritorno da Vico, lungo l' autostrada, si attraversano le dolci colline toscane e l' Appennino e, dopo Sasso Marconi , ( e se non sei attento te ne accorgi in ritardo ) di botto ti trovi nella Bassa Padana, dove vedi pianura ovunque, interrotta ogni tanto da una masseria;  la sera la nebbia cala di colpo.
Ha un suo fascino questo paesaggio quando si  impara a conoscerlo e amarlo, una sua malinconica bellezza dopo l' oltraggioso e splendido mondo di colori e profumi che si lascia al sud.
Viene da pensare che solo in un ambiente del genere Virgilio ( quel Publio Virgilio Marone che uno sciocco leghista ha tacciato di terrone) possa aver immaginato e composto un vero e proprio manuale  in poesia sulla coltivazione della terra e l' allevamento degli animali  come: " Le Georgiche".
Virgilio che, chiamato in causa a sproposito proprio da uno stupido, ha come sua epigrafe una frase che unifica l' Italia come non mai: " Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope: cecini pascua, rura, duces ".
Speriamo che sia ovunque il tempo della stagione, che ritorni per tutti noi anche il tempo della ragione.