martedì 28 giugno 2011

FAMIGLIE ALLARGATE ANTE - LITTERAM


Si parla tanto di famiglie allargate: coppie che divorziano e si risposano, figli dell' uno e dell' altra nati da relazioni o matrimoni precedenti, rapporti sereni o burrascosi, vacanze estive e natalizie passate con un genitore o l' altro e  il nuovo/a compagno/a,  fratelli che non sono fratelli o che lo sono per metà.
Tanti anni fa, quando insegnavo vicino Napoli, vidi i primi esempi di famiglie del genere che nascevano, a differenza di queste, da una visione arcaica, patriarcale della vita e che pure, in qualche strano modo, avevano una sorta di equilibrio.
Ho avuto come alunni tre fratelli, prima la maggiore, bella come il sole che ora è sposata da tanti anni, poi, in un ciclo successivo, il secondo, sfaticato e furbo e infine la terza:  dolce, tranquilla, remissiva, quanto la prima era bella e orgogliosa.
La mamma era una ragazza- madre che credo lavorasse, il padre, benestante, aveva l' appalto di alcuni servizi per la scuola. Era sposato, con un' altra donna e con lei aveva figli  legittimi che, credo, abbiano anche frequentato la nostra scuola, ma prima.
A quei tempi non si potevano riconoscere figli nati fuori dal matrimonio per cui i miei tre alunni portavano il cognome della madre, ma il padre provvedeva a loro sia economicamente sia da punto di vista dell' educazione e dell' accudimento; veniva ai colloqui, si interessava dell' andamento scolastico dei figli e così via.
Come si svolgessero le loro vite fuori dalla scuola, non l' ho mai saputo; forse lui viveva con la moglie ufficiale oppure si divideva equamente tra le due case, chissà!
Una sola cosa non sono mai riuscita a fargli capire: che non aveva la patria potestà perchè i ragazzi risultavano figli della madre. Quando  erano assenti per malattia, poco male, tornavano con il libretto delle giustifiche firmato dalla mamma. Il guaio era quando c' erano le gite scolastiche lunghe, quelle di una settimana; il padre veniva, versava i soldi della quota e voleva firmare l' autorizzazione; non ho mai avuto il coraggio di dirgli che non poteva e allora escogitai un trucco: gli facevo firmare l' autorizzazione, poi,, a parte, facevo venire la madre che la firmava di nuovo, ed era questa che valeva legalmente.
Un anno ho avuto come alunne due sorelle,credo gemelle o con un solo anno di differenza: belle, simpatiche, intelligenti: erano figlie di un rappresentante di spicco di un clan famoso, ma come si dice a Napoli " figlie della mano smerza ", frutto di un' unione del padre il quale d' altro canto aveva una regolare moglie con figli.
Queste erano riconosciute, avevano il cognome del padre, cognome temuto e riverito nella zona; era nel commercio all' ingrosso di frutta e verdura.
La mamma non era del paese, ma napoletana; si era innamorata, a suo tempo, del guappo bello e malandrino e ci aveva fatto le figlie.
Anche in questo caso lui si interessava moltissimo alle ragazze; veniva spesso a scuola; stranamente era la madre, che non era del paese, a patire maggiormente la situazione " doppia ", si vergognava quasi...So che dopo hanno fatto il liceo e credo si siano anche laureate.
Nell' ultima classe che ho avuto là,  prima di venire a Milano, quella che ho amato tanto, c' era un ragazzo, bravo, un po' triste e solitario; sapevo che era stato adottato, i genitori erano più anziani rispetto agli altri, la mamma non aveva potuto avere figli e lo avevano scelto tra gli orfanelli , " figlio della Madonna ", così si diceva. Il ragazzo sapeva di essere stato adottato.
Un giorno, durante l' ultimo anno, il padre venne a scuola e mi confidò che doveva rivelarmi un segreto e che quello che mi diceva doveva restare tra noi.
Cominciò con una certa esitazione, dicendo che lui era una brava persona ma gli piacevano molto le donne e finì per confessarmi che il figlio era suo e di una segretaria che io avevo visto spesso perchè credo abitasse addirittura con loro; a volte accompagnava il ragazzo a scuola: era bella, giovane, e quando ci riflettei, notai che il ragazzo le somigliava.
In uno strano modo e mondo tribale avevano creato una sorta di equilibrio che rendeva felici tutti: la mamma adottiva che si sentiva madre a tutti gli effetti, la madre naturale che vedeva il figlio crescerle vicino, il padre che, probabilmente si divideva equamente; lui mi giurò che il figlio non sapeva niente, io lo pregai di dirgli un giorno che era suo figlio anche per questioni sanitarie oltre che morali; cosa sapesse o avesse capito il ragazzo non me lo chiesi, ma quelli erano posti dove i padri mettevano il camion in mano ai ragazzi a dodici anni e glielo facevano guidare.
Quando seppi che sarei partita chiamai il padre e mi feci promettere di nuovo che ne avrebbe parlato al figlio, visto che io sarei andata via; promise, poi come sia finita, non so.

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