ACCADDE IN ROMANIA...
Vittorio e io, da ragazzi, avevamo un salvadanaio in ferro; ci mettevamo dentro i nostri guadagni ( lezioni private, paga settimanale, il ricavato delle mie prime supplenze ) e d' estate li usavamo per viaggiare,
Nel 1971 con una coppia di amici decidemmo di andare in Romania e Bulgaria; eravamo di sinistra, la Romania, in quegli anni, aveva fama di essere l" America dell' Est europeo " e non la feroce dittatura che si rivelò in seguito, e poi, costava poco.
Ci rivolgemmo a un' agenzia per studenti vicino all' Università; il prezzo era basso perfino per allora: tre settimane comprensive di viaggio aereo, vitto e alloggio ci vennero a costare poco più di 100000 lire a testa.
Oggi ricordo tutto con tenerezza, e devo dire che, specialmente la Bulgaria ,mi piacque tanto ( ad eccezione della minestra di yogourt con cetrioli ): Sofia e le sue cupole, le moschee, Varna e soprattutto Plovdiv, la città natale di Moni Ovadia; visitammo un museo che nell' 800 era stata la casa di un ricco mercante, con splendidi arredi e oggetti, tra cui un orologio con l' ora che era al contrario e si leggeva esatta in uno specchio di fronte.
In Romania nel complesso andò bene, se si esclude che con 45 gradi all' ombra ci facevano mangiare una minestra con del grasso dentro che mi causò un' enterocolite.
A Bucarest eravamo ospitati nelle aule del Politecnico trasformate in ostello, poi andammo in un villaggio turistico sul Mar Nero e là io ebbi un febbrone con diarrea e vomito. Vittorio andò all' ambulatorio del villaggio e cercava di farsi capire, ma inutilmente, dal medico, finchè con un lampo d' ingegno disse " Merde, merde " e quello capì e mi curò.
L' episodio più divertente ( da ricordare) avvenne il giorno della nostra partenza da Bucarest per la Bulgaria; dei parenti ci avevano chiesto di contattare un ingegnere rumeno fratello di una signora che aveva sposato un cugino Barendson.
Lo facemmo e lui venne a trovarci con la figlia, una splendida ragazza di 16 anni e ci invitò ad andare in gita con loro al lago Snagov.
Lasciammo gli amici con la promessa di ritornare nel pomeriggio presto perchè tutto il gruppo doveva trasferirsi in treno in Bulgaria e cominciammo a seguire il tizio. Vittorio ad un certo punto gli chiese dove fosse parcheggiata l' auto; ci guardò stupito, non l' aveva, saremmo andati con i mezzi pubblici.
Prendemmo due autobus, arrivammo al lago mentre cominciava a piovere; per non sembrare maleducati, visto che questo aveva anche noleggiato una barca ci spogliammo e ci tuffammo.
Quando tornammo in barca Vittorio cercava i suoi occhiali, ma il nostro ospite ci fece capire che si era tuffato con quelli; ne aveva un paio in albergo, ma intanto, nonostante scandagliassimo i dintorni, quelli persi rimasero nel lago.
Nel frattempo si era fatto tardi e ci accorgemmo che, anche se l' autobus fosse passato in orario, saremmo comunque arrivati troppo tardi per la partenza del gruppo.
Mettemmo la ragazza carina con i pantaloncini corti a chiedere l' autostop e, quando un' auto si fermò, lei rimase col padre e noi due abbrutiti, salimmo nella macchina.
Alla guida c' era un ingegnere, collega dell' altro, che parlava francese e ci capivamo discretamente; il guaio era che dovevamo spiegargli dove fosse il luogo in cui doveva lasciarci e, mentre io non ho mai avuto senso dell' orientamento alcuno, Vittorio che lo ha, era senza occhiali e non vedeva niente; l' unico modo era guardare attraverso la cinepresa per tentare di ingrandire le immagini e raccapezzarci con i luoghi.
La gentilezza del nostro autista diminuiva a vista d' occhio, via via che aumentava il nostro imbarazzo e nervosismo.
Una scena, la più bella ce l' ho ancora davanti agli occhi come un film al rallentatore: lui abbassa il cristallo del finestrino per chiedere informazioni, io non so assolutamente dove ci troviamo, Vittorio guarda attraverso la cinepresa e vede che sta per sopraggiungere un camion e che vicino alla macchina c' è un' enorme pozzanghera; dice " Oh là là là " inutilmente perchè il nostro ospite viene investito da un gettito d' acqua in pieno viso.
A noi prende un attacco di " fou rire ", quello tra un po' ci scarica dall' auto; meno male che Vittorio vedendo " attraverso " si accorge che siamo arrivati al nostro ostello.
Salutiamo imbarazzatissimi e quello ci scarica con sollecitudine e senza quasi risponderci.
Arrivammo appena in tempo; i nostri amici, incavolati neri ci avevano anche fatto le valigie e le avevano chiuse come usavamo allora: sedendocisi sopra.
A ricordarle sono cose tenere...
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