giovedì 21 luglio 2011

ANCORA SUI FIGLI

Oggi una mia cara amica di fb si lamentava, in una breve frase, perchè le sembrava di non riconoscere più sua figlia.
Spesso parlo dei miei, ma in questo periodo in cui sento più acutamente il distacco, vorrei ripercorrere tutte le tappe del cammino percorso con loro; mi sembrerebbe di sentirli più vicini e, al tempo stesso, troverei una risposta a un mio stato d' animo presente.
Quando ci siamo sposati, Vittorio appena laureato e io alle prime supplenze, decidemmo di aspettare qualche anno: allora, specie nel sud, non si usava; bisognava dar subito prova di fertilità.
Mia suocera

, timidamente chiedeva " Ma potrai avere figli? ". Io rispondevo che lo avrei saputo quando avremmo deciso di averne.
Fu tre anni dopo e nacque Stefano; sfatiamo subito lo stereotipo dell' amore materno innato: per me non fu così,  imparai ad amarlo crescendolo, tra le prime incertezze, notti in bianco perchè urlava come un ossesso dalla fame, colichette, biberon, cambio pannolini e  così via. E' chiaro che è tuo figlio e gli vuoi subito bene, ma credo dipenda dal carattere di ognuno di noi;  a me quella prima esperienza sembrava sottrarmi tutto il tempo esistente.
Col passare dei mesi imparai a conoscere e amare quel bambino che crescendo si rivelava silenzioso, tranquillo, riflessivo; aveva un suo personale senso dell' umorismo, un po' sornione, che ha sempre conservato e che solo chi  lo conosce bene capisce.
Ad un anno circa, eravamo a Vico, lo lasciai con mia madre per una notte e andai a Napoli perchè Vittorio doveva recarsi per un mese in America e volevo salutarlo: al mio ritorno, per un' intera giornata, ogni volta che  parlavo a Stefano o lo guardavo, girava la testa dall' altra parte: quello fu il momento dell' amore definitivo; giurai che mai, nemmeno per una notte lo averei lasciato, e fu quasi sempre così.
Paolo nacque più di quattro anni dopo, sette anni dopo il matrimonio; mia suocera per anni disse che questo  figlio non se lo aspettava e invece noi lo avevamo tranquillamente desiderato e programmato.
Si dice che col secondo figlio l' utero della donna sia più pronto; certo è che tutto quello che sembra difficile col primo, col secondo è una passeggiata: Paolo era bello, capelli biondi e occhi azzurri, dormiva e mangiava.
Al contrario di Stefano che, a parte i primi mesi era stato sempre un bambino tranquillissimo, Paolo si rivelò scatenato e facile al pianto come al riso.
Non camminava ancora e si slacciava dal seggiolino nella macchina e, strisciando, mi saliva sulla testa mentre guidavo. Se voleva qualcosa e il fratello, cugini o adulti gliela negavano cominciava a urlare tanto da meritarsi, a Vico, il soprannome di " sirenetto" per il suono stridulo che emetteva;  fino a sette, otto anni è stato inappetente, viveva di zuppe di latte. Quando ci trasferimmo a Milano aveva quattro anni e giurò che all' asilo non avrebbe MAI mangiato: così fu. Tornava a casa alle 15,30 e pranzava a quell' ora; Stefano che era di robusto appetito ancora oggi sostiene che si trattò di una questione di principio. Dice " Ma è mai possibile che in un intero anno non ci sia stata una sola cosa che non gli piacesse?". Paolo è fatto così, se dice Mai è Mai.
Con lui per anni abbiamo vissuto in modo simbiotico: andavamo in oratorio, io aiutavo al bar e lui giocava; quanto, tempo dopo, mi ha rinfacciato quegli anni, quasi glieli avessi imposti!
Poi abbiamo vissuto anni belli di compagnia e serenità; pomeriggi interi, loro a casa a studiare e io a leggere o a trafficare in cucina; se io ero occupata a scuola con i consigli,  loro mi preparavano la cena e, invece di registrarmela, mi facevano dei buffi riassunti scritti della mia soap preferita.
Col padre c' era in comune il gioco e la passione, che dura ancora oggi, del calcio e del NAPOLI.
Vittorio è sempre stato molto dolce con loro, ma autorevole e presente.
Verso di me ci sono stati periodi diversi:  anni in cui io non DOVEVO sembrare in alcun modo professoressa; guai parlare di Verga piuttosto che di Leopardi; sembrava che volessi indottrinarli, castrarli; meglio se apparivo, culturalmente, più simile a una donna delle pulizie; guai quella rarissima volta in cui andavo a colloquio con i professori: avrei sicuramente combinato guai,  perchè, si sa, sarei stata dalla parte dei miei colleghi;  anni in cui erano verbalmente violenti e anatemici, quasi io fossi la causa di tutti i mali del mondo.
Io penso che adulti e giovani siano come alle due estremità di un lungo corridoio:i primi  l' hanno già percorso e, se hanno avuto una vita ricca e intensa, vorrebbero dare consigli, evitare ogni sofferenza possibile perchè sanno che ce ne saranno e  che si potrebbero evitare; i secondi, nella superba arroganza della gioventù, rifiutano qualunque consiglio, anzi si trincerano per non averne perchè per ogni ragazzo, e lo è stato anche per noi, la sua esperienza è la prima del mondo, unica e irripetibile; non possiamo far altro che guardarli, educarli,e sperare che siano felici.
Quando poi superano una certa età e diventano definitivamente adulti, non hanno più paura di noi e dei nostri giudizi; ci guardiamo di nuovo sorridendo, si sentono paritari e concedono di nuovo tanto.
Ma il tempo incalza e presto vanno via di casa; ora sono passati rispettivamente tre anni e mezzo e un anno e mezzo.
All' inizio mi sembrava giusto e normale;  i ricordi erano là freschi, recenti, andavano e venivano, a casa c' era ancora tanto di loro; poi, col passare del tempo, pur godendo la libertà e la compagnia di Vittorio, specialmente da quando Stefano è diventato padre, ci si accorge che, nonostante l' affetto e il vedersi abbastanza spesso, non siamo più noi la loro famiglia; entrambi se ne sono costruiti una nuova, l' altra casa è la LORO casa, la loro compagna o moglie, la figlia per uno di loro, sono il centro del loro mondo ed è naturale; io ci sono arrivata con un po' di ritardo e, stranamente, sento una punta di sofferenza in più ora piuttosto che i primi tempi. Quando Paolo viene a pranzo, in genere una volta a settimana, passiamo delle belle ore lui e io; poi, quando mi saluta prima di andare via sento acuta una punta di sofferenza, ma forte e vorrei abbracciarlo e dire di non andarsene; ma è un momento, poi passa.

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