MILANO E IO, IL PRIMA E IL DOPO
Stanziale come sono, se mi avessero detto che sarei andata via da Napoli, ci avrei riso sopra.
Quando Vittorio e io ci sposammo nel' 75, lui trovò lavoro in un' industria di apparecchiature elettriche, che aveva una sede a Napoli e una a Bergamo; per contratto fu stabilito che sarebbe stato per due o tre anni a Bergamo per imparare e poi installare il reparto progettazione a Napoli.
Io insegnavo dal '71 come supplente e quell' anno per la prima volta ebbi l' incarico dal Provveditorato nelle 150 ore, la scuole medie serali per lavoratori; di conseguenza non potevo seguirlo perchè poi sarebbe stato difficile, se non impossibile per me,essere trasferita a Napoli. Furono due anni e mezzo tremendi; Vittorio tornava il venerdì sera con il treno , in cuccetta e risaliva la domenica sera.
Una volta, per la neve, il treno si fermò e dopo alcune ore tornò indietro e lui non arrivò mai.
Era difficile, nei due giorni del fine settimana ritrovare l' intimità e la complicità che ci avevano sempre unito.
Tutto avveniva in fretta, i suoi volevano vederlo, gli amici volevano uscire e lui non ne aveva voglia; alla fine di quei due anni e mezzo io aspettai Stefano e giurai a me stessa che, in qualunque momento futuro lui avesse deciso di andare a lavorare altrove saremmo andati insieme, la famiglia deve stare unita.
Anni dopo, nell' 86, Vittorio conobbe i giapponesi di questa società che oggi dirige, i quali volevano rilevare l' azienda di Napoli.
La cosa non si concluse e loro assunsero Vittorio per aprire una filiale della loro società in Italia; gli chiesero dove ritenesse più opportuno, lui disse che era opportuno farlo a Milano.
Pensava al futuro, ai figli, alla situazione lavorativa e organizzativa, insomma gli parve giusto così.
Io, memore di quanto mi ero ripromessa dodici anni prima, acconsentii subito; gli dissi solo di non badare a me se mi avesse visto triste o piangere.
In realtà ho pianto una sola volta, quando tornammo da Milano dove avevamo trovato casa; toccavo con mano che stava per succedere.
Vittorio partì nel settembre dell' 86 e io e i bambini con mamma lo avremmo raggiunto a giugno alla fine delle scuole.
Quell' inverno fu tremendo; dicevo addio dentro di me ogni giorno a 38 anni di vita, agli amici, alla casa dove abitavo dalle medie, alla scuola dove insegnavo da più di dieci anni: questo, forse, fu l' aspetto più tremendo.
Io amo pensare in termini di " sempre", il sempre umano, naturalmente, amo le abitudini, l' appartenenza a un ambiente; in quei mesi quando nei consigli di classe si parlava dell' anno seguente mi sentivo morire.
L' inverno passò, a giugno ci trasferimmo, poi Vico e poi il primo inverno a Milano.
Quando il problema non è un futuro che non riesci a immaginare ma una realtà presente, io tiro fuori le unghie e divento combattiva.
Quell' anno bloccarono i trasferimenti e per cinque anni più due, nei quali ho insegnato nella scuola vicino casa, io sono stata titolare a Napoli; all' inizio di ogni anno scolastico andavo al Provveditorato agli Studi di Milano, dove ho fatto amicizia praticamente con tutti, mi sedevo e pregavo chi di dovere di tirare fuori una cattedra per me, altrimenti sarei dovuta andare a prendere servizio a Napoli.
Spesso ho detto che la scuola è stata la mia grande passione ma che mi sono guadagnata tutto col sudore; anche in quel caso fu così: periferie degradate, due scuole insieme ( corri da una parte all' altra ), progetto nomadi per due anni consecutivi, ho fatto qualunque cosa.
Non mi è mai venuto in mente di andare in pensione ( e avrei potuto perchè c' erano le baby pensioni); dovevo averla vinta io!
Siccome io sono come Pollyanna quella del romanzo " Tanto meglio così " e cerco di tirare fuori da ogni accadimento l' aspetto positivo, devo dire che quegli anni furono utilissimi per la conoscenza della realtà variegata di Milano e delle sue periferie.
Mi aiutò molto anche l' avere figli: accompagnarli a scuola, organizzare festine per loro, fare amicizia con i genitori dei compagni.
Il primo inverno fu eccezionalmente piovoso, imparai anche, a orecchio, a suonare la tastiera dell' ing, peccato che poi abbia smesso!
Quello che feci, in modo inesorabile fu tagliare quasi completamente con gli amici di Napoli, sentivo quelli che vedevo a Vico perchè tanto continuavano a far parte del mio vissuto, ricevevo con piacere chi veniva a trovarmi ( e furono tanti ) e li portavo sul Duomo, in Galleria e in via Montenapoleone; girai Milano in lungo e in largo in macchina e con i mezzi pubblici, cercai di impadronirmene; molte amiche care, tra cui una che ora non c' è più, si lamentavano per le mie scarse telefonate; non potevo permettermi di provare nostalgia e di pensare al passato.
Mi sono concessa questo piacere quando sono stata sicura che non mi dava più dolore, allora ho ripreso tutti i rapporti anche quelli antichi con una forma quasi di voluttà.
Mi diedi anche al volontariato, i figli frequentavano l' oratorio, io seguii dei corsi per educatore di strada, il nostro è un quartiere signorile, ma c' erano sacche di emarginazione e io mi dedicavo ai " truzzi" che mi volevano bene.
A giugno organizzavo con altre mamme le merende per l' oratorio estivo: andavo a far la spesa con il furgone dell' oratorio e preparavamo e distribuivamo ogni giorno, per sei settimane, le merende a 150 ragazzi.
Quante amicizie sono nate in quegli anni e che begli incontri anche con sacerdoti in gamba e pieni di entusiasmo!
E' stato come se, per necessità, io abbia avuto una seconda chanche, mi sono riciclata e data da fare, probabilmente a Napoli avrei continuato la vita di sempre.
A poco a poco questa è diventata la mia casa, il luogo dove i miei figli crescevano.
Nel 1994 finalmente sono ridiventa titolare a Milano nella scuola dove ho passato gli ultimi dodici anni della mia lunga carriera scolastica.
Poi, come diceva mia mamma, quando non è stato più così divertente, sono andata in pensione; in quel caso ho fatto sì che il distacco fosse graduale: prima sono uscita dal Consiglio di Istituto, poi dalle varie commissioni, poi ho smesso di essere collaboratore del Preside ( avevo scritto per una vita i verbali del Collegio dei docenti ), poi ho fatto un anno di part-time e, infine, l' 8 maggio del 2006 ho capito che non ce l' avrei fatta ad andare avanti, la fatica era maggiore del divertimento.
La scuola stava cambiando, e non in meglio, a noi di lettere venivano tolte ore, cambiavano i sistemi di valutazione; troppe riforme ho visto in 38 anni, non volevo tornare di nuovo ai voti come quando avevo cominciato.
Non ho mai avuto rimpianti anche se un po' di odore di classe, a volte, mi piacerebbe sentirlo; ho continuato ad andare ai pranzi di Natale e alle feste per i colleghi che vanno in pensione.
Ora ho smesso perchè di noi non c' è quasi più nessuno, vai e trovi una marea di volti sconosciuti e non si deve vivere di rimpianti.
Io ho sempre avuto una notevole autostima ma riconosco i miei difetti e i miei limiti; so che ora mi sono impigrita, mi piace godermi la casa, esco quando ne ho voglia, non accetto lezioni private se non occasionali e a ragazzi che conosco, vado a prendere il caffè con la mia amica al bar ma torno presto perchè mi piace vedere Forum ( si diventa anche un po' stupidi in pensione), sono contenta quando i figli vengono a pranzo e ancora più contenta quando mi chiedono loro di venire; significa che continuano a sentire questa come casa loro; sono contenta che Vittorio torni sempre più presto la sera e ora che andrà a Glasgow sarò triste perchè sono sempre meno abituata ai suoi viaggi che si sono fatti rari e mi piace godere della reciproca compagnia.
Non ho rimpianti, mi sento una sopravvissuta: considerando che sono stanziale, ho lottato, combattuto e vinto.
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