martedì 20 marzo 2012

DANTE UOMO DEL MEDIOEVO E POETA DI OGNI TEMPO


Dante fu profondamente uomo del Medioevo: ogni esperienza da lui descritta nella " Commedia " doveva avere valore esemplare e universale, valere non come esperienza individuale ma per tutti gli uomini.
Appartenne a quell' epoca anche per l' esigenza profonda di mostrarsi dotto in qualunque branca del sapere.
Per altri versi fu e rimane ancora oggi di modernità assoluta.
Nemico di Bonifacio VIII, primo papa della storia a celebrare un Giubileo, scrisse il suo poema ambientandolo nella Settimana Santa del 1300 per celebrare, contro quello del pontefice, il suo personale Giubileo, la propria personale via dalla dannazione e dal peccato, attraverso il pentimento, verso la salvezza.
Fu moderno perchè usò una lingua " il volgare " che aveva solo 300 anni e dimostrò in un tipo di verso " vincolante", la terzina a rima incatenata, come questa lingua giovane potesse spaziare attraverso ogni gamma espressiva: amore, dolore, disperazione, politica, fede, fino ad arrivare ad esprimere l' inconoscibile, la visione di Dio.
Usò questa lingua che non era riconosciuta dai dotti dell' epoca i quali si esprimevano in latino e vinse la sfida.
Fino a tutta la critica crociana, quindi fino a meno di un secolo fa, venivano considerati poetici soprattutto i canti dell' Inferno, quelli che trattano le passioni umane.
Celebre fra tutti il canto di Paolo e Francesca; leggendo del loro amore noi come il poeta proviamo compassione e pena; sono belli, giovani, quasi innocenti.
Dante nell' Inferno, fra i dannati, pone queste figure belle e lo fa per dimostrare come anche persone d' animo sensibile ed elevato possano cadere, per una colpa grave, nella morte eterna e nella pena più grave che è la lontananza per sempre da Dio.
Paolo non parla mai, piange; Francesca racconta la loro colpa con accenti toccanti e in quei versi c' è l' implicita condanna del poeta nei confronti della letteratura d' amore del ciclo bretone.
I due sono indotti al peccato dalla lettura dell' amore tra Ginevra e Lancillotto: " Quando leggemmo il disiato riso esser baciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi baciò tutto tremante..." dove il " che mai da me non fia diviso" indica il dramma eterno dell' essere sempre insieme per l' eternità, perpetuo ricordo, l'uno nei confronti dell' altra, della loro colpa.
Nel Purgatorio la figura più bella è forse Manfredi, il figlio bastardo di Federico II, morto in battaglia scomunicato e per questo, dopo morto, fatto a pezzi e sepolto in posti diversi fuori dal Regno.
Lui chiede a Dante di andare da sua figlia Costanza " genitrice de l'onor di Cicilia e d' Aragona" e di rivelarle la verità; in punto di morte si era pentito: " Orribil furon li peccati miei; ma la bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei.".
La critica post- crociana, finalmente rivalutò il Paradiso, ammettendo che, oltre a emozioni generate da passioni umane, esistano emozioni di natura dottrinale e scientifica.
Nel Paradiso Dante si avvicina all' immateriale, alla beatitudine, all' inconoscibile e fa sempre più spesso ricorso a luce e musica.
Non ci sono descrizioni fisiche,nel regno della felicità eterna i critici parlano di " poesia dell' oltranza ".
Il poeta deve parlare di ciò che non è descrivibile e allora ricorre alla " fictio " poetica del sogno: " Qual è colui che sognando vede, che dopo il sogno la passione impressa rimane, e l' altro a la mente non riede, cotal son io, chè quasi tutta cessa mia visione, e ancor mi distilla nel cor il dolce che nacque da essa".
Nel descrivere la Trinità ricorre all' immagine dei cerchi:" Ne la profonda e chiara sussistenza de l' alto lume parvemi tre giri di tre colori e d' una contenenza; e l' un da l' altro come iri da iri parea reflesso, e il terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri".
E infine la visione di Dio che la sua natura non riesce a sostenere se non per un istante e già l' Amore che muove l' universo sposta la sua mente e il suo sentire altrove:"...se non che la mia mente fu percossa da un fulgore che in sua voglia venne. A l' alta fantasia qui mancò possa; ma già volgea il mio disio e 'l velle, sì come rota ch' igualmente è mossa, l' amor che move il sole e l' altre stelle".

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page