martedì 2 aprile 2013

TU, IO E ALTRE DONNE


Ti ricordo da sempre nel dipinto a olio, prima nel salotto di Napoli, poi qua a Milano.
Sei ritratta come usava nell' 800 per le signorine di buone famiglia: sulla fronte una piccola frangetta spartita al centro, divisa in minuscoli ricciolini, i capelli rialzati e raccolti sulla nuca, il volto adolescente serio e quasi imbronciato, forse nel tentativo di sembrare più adulta.
 Indossi una camicetta che al collo si arriccia in piccole pieghe, hai le maniche a sbuffo che si restringono ai polsi; sopra, un bolero nero e, all' altezza del petto, una margherita minuziosamente dipinta,  in mano un ventaglio.
Ti chiamavi Virginia Mauri un cognome che più milanese non si può ed eri la nonna di mia madre.
Nel 1882 sposasti Santino Chiaverri " giovane di studio"; nel contratto di nozze sono elencati i beni che gli portavi in dote: mobili  ( che in parte sono ora in casa mia e di mia sorella), gioielli, biancheria, tutto elencato in ordine; lui doveva essere di condizione sociale inferiore alla tua perchè, sempre nel contratto, viene ribadito che la dote rimarrà di tua esclusiva proprietà anche dopo le nozze.
Vi amavate molto; aveste due figli: Giuseppina, mia nonna e Alfredo.
 Nel 1991 tuo marito ti scrive da Messina, dove era agente di un' azienda " Fratelli Bossi ", come è scritto sulla carta intestata e ti scrive: " Grazie per le belle giornate trascorse, se si eccettua la malattia dei bambini; tu, del resto, nulla hai trascurato per rendere serene le nostre serate ". La nonna raccontava che con i figli eri abbastanza dura e intransigente.
Del prozio Alfredo, che ora è sepolto a S. Ambrogio, tra i caduti della Prima Guerra, si diceva che,da bambino, se gli veniva offerto qualcosa a casa di amici,  rispondeva:: " Ho già mangiato a casa, ho già bevuto a casa", frase che è rimasta per sempre nel nostro lessico familiare.
Nel 1900 al bisnonno Santino viene proposto di aprire una filiale dell' agenzia a Napoli; lo segue tutta la famiglia e andate ad abitare sulla collina del Vomero, in Via Morghen.
Cosa provasti tu, a lasciare la città nella quale eri nata per una dal clima diverso, ma nelle quale ti sentisti sempre estranea, non si sa; la nonna non raccontava molto.
Si sa, invece, che chiedesti al portinaio se c' era qualche garzone che portasse la spesa a casa;  lui rispose " Vene Cacaglia", che in napoletano significa balbuziente e  tu, da brava signora milanese accogliesti il ragazzo dicendogli: " Buongiorno signor Cacaglia".
Giuseppina si iscrive alle magistrali dove nel 1903 si diploma.
Dopo, i racconti si fanno confusi;  il bisnonno Santino muore, non si sa se per un infarto: mamma e zia Vittoria, parlavano, ma come per sentito dire, di un suicidio legato a dissesti finanziari, nemmeno loro sapevano con precisione, poco dopo muori anche tu, di un ictus, credo per il dolore di non poter continuare a vivere senza l' amore della tua vita.
Tre te e me una serie di donne forti, energiche, che hanno sempre preso la vita con amabile fermezza.
Mia nonna Giuseppina, tua figlia:  quando tu stavi male, corse a chiedere aiuto a un vicino di casa, prossimo alla laurea in medicina.
Si chiamava Leonardo Grossi, apparteneva a una famiglia di grossi latifondisti lucani;  si innamorarono, ma lui preferiva che i genitori non sapessero subito che sposava e una milanese per di più.
La nonna che a convivere non ci pensava nemmeno, volle il matrimonio in chiesa; per lo Stato erano concubini.
Nel frattempo lui si laureò, si arruolò negli alpini e, tra una guerra in Libia e la Grande Guerra, ebbero due figlie: Vittoria e Virginia, mia madre, che prese il tuo nome.
Nel frattempo lui ebbe il buon senso di sposarla anche civilmente perchè il 13 luglio del 1916, a soli 28 anni, morì, mentre medicava un ferito in tenda sul Carso, per lo scoppio di una granata.
Ci sono delle foto di quei mesi:  la nonna alta, bella, tutta vestita di nero, raffinata con il volto impietrito e le due bambine con abitini bianchi e fusciacche nere in vita, vicino a loro, la governante.
La nonna non si perse d' animo: andò in Basilicata, rivelò alla famiglia Grossi di essere la moglie del figlio, prese possesso dell' eredità: campi, greggi e denaro, vendette tutto ai cognati, tornò a Napoli, tirò fuori il diploma di maestra e insegnò per tutta la vita.
Il nonno che l' amava molto e che era gelosissimo, aveva scritto un testamento nella quale la nominava tutrice delle figlie a patto che non si sposasse più: credo che lei non abbia mai avuto un altro amore oltre lui.
E' morta a 91 anni, dopo più di sessanta di vedovanza: era un gendarme; quando le figlie, maestre a loro volta, si sposarono, espresse  tutto il suo dissenso chiedendo loro come potesse venire in mente un' idea del genere; quando a 70 anni dovette andare in pensione protestò contro lo stato, perchè, disse, mandava a casa la gente ancora giovane. Quando, negli anni 60 sulle riviste, uscirono i primi articoli che parlavano velatamente di sesso, incollava le pagine perchè noi nipoti non le leggessimo
Zia Vittoria ebbe un fidanzato ad Avellino dove insegnava, che morì di polmonite;  poi nel 1954 sposò, tra lo scandalo generale, un collega di undici anni più giovane di lei.
Lui era archeologo: sono stati sposati per 40 anni e lui ha sempre detto " Chissà chi baderà a me alla tua morte".  Lei gli è sopravvissuta per quattordici anni,  tempra di ferro, è morta a 97 anni: è stata la nostra amica, la nostra zia cara, non avendo avuto figli ha cresciuto i nostri, ha giocato con loro dopo che con noi, è stata la delizia di due generazioni.
Mia madre, Virginia vinse il concorso magistrale a 18 anni e andò a insegnare per i primi quattro in un paese sperduto del Cilento dove si arrivava a dorso d' asino; dopo la guerra, a casa di una sua amica conobbe il fratello di questa, mio padre, che ritornava dalla prigionia; si sposarono presto, quei matrimoni poveri del dopoguerra e andarono in viaggio di nozze a Ischia per una settimana; anche lei è stata una gran donna, ha lavorato per tutta la vita, ha supportato mio padre, ha tampinato noi perchè ci laureassimo e lavorassimo presto.
Mia sorella, anche lei professoressa, anche lei con due figli,  più piccola di me, ha combattuto e vinto la battaglia contro il cancro con una levità e una leggerezza che, qualche volta le ho invidiato.
Io, mio marito e i miei figli, con mia madre che ci ha seguito, nel 1987, dopo quasi un secolo, abbiamo lasciato una Napoli dove ormai era sempre più difficile vivere e siamo ritornati dove da te tutto era cominciato; .da quasi due anni è nata una nuova Virginia, figlia di mio figlio, che porta il nome tuo e di mia madre, come se si chiudesse un cerchio, dopo più di un secolo una nuova Virginia milanese.
A volte guardo il quadro e penso che, alla fine, sei ritornata a casa.

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