domenica 31 luglio 2011

IL MIO AMICO ( ? ) ALBERTO

Siamo diventati amici su fb nel marzo 2010, su un sito dedicato a Luigi Vannucchi, l' attore teatrale divenuto famoso in televisione negli anni '60.
Inizialmente commentavo le sue fotografie: è dentista di professione, ma  è anche stato il primo dei molti fotografi conosciuti poi, anche se ormai di sue fotografie non ne posta più.
Si parlava degli anni '60-70, e del mondo di oggi, delle nostre esperienze di vita diverse: io, di natura stanziale, andata via da Napoli ormai 24 anni fa e da allora stabilitami a Milano; lui che vive nel luogo in cui è nato, un centro della Sicilia dove tutti si conoscono fra loro.
Abbiamo spesso discusso degli aspetti positivi e negativi delle due esperienze diverse.
Nel mondo di fb si creano strane amicizie; il non conoscersi fisicamente,  il poter scrivere liberamente di sè danno un senso di libertà fuori del comune, simile a quelle che io chiamo " amicizie da treno"; quando al compagno occasionale di scompartimento ti trovi a raccontare cose di te che non diresti ad altri, tanto alla fine del viaggio tanti saluti e via.
Ecco perchè le amicizie di fb sono particolari: intime e distanti al tempo stesso, basta un clic e senti quella persona, un altro clic e la elimini temporaneamente dalla tua vita.
La nostra non fu così,  fu più simile a un' amicizia vera; crebbe poco a poco grazie allo scambio di idee, abitudini, gusti; ci conoscemmo piano, piano come due amici normali.
Alberto è un gran signore, un uomo buono e libero spiritualmente, colto e curioso.
Poi il giro si è allargato ad altri che sono anche amici suoi, ma, pur avendo con loro confidenza, nessuno di loro ho mai sentito vicino come lui.
Da qualche tempo Alberto si è allontanato da fb e contemporaneamente si e diradata, fino a scomparire, anche la nostra frequentazione epistolare.
So che l' affetto c' è, ma confesso che, specialmente i primi tempi, mi mancavano le sue conversazioni, la descrizione delle sue giornate, la dieta, le " passiatine " mattutine, i piatti che gli piaceva cucinare e le ricette elaborate che descriveva, la sua casa piccola ma con una veranda grande dove fanno le cene e ricevono gli ospiti, le escursioni domenicali e la descrizione di luoghi visitati.
Confesso che ora, quando faccio nuove amicizie su fb sono, in partenza,  più disincantata...non che prima avessi aspettative, anzi ho avuto più di quanto mi aspettassi, due amiche sono anche venute a casa mia, alcuni mi hanno telefonato, ma come quella amicizia non ce ne sono state altre e non credo ce ne saranno più.
Nel film " Stan by me " culto per me e generazioni di miei alunni con cui l' ho visto nel nostro Cineforum a scuola, tratto dalla novella " The Body " di Stephen King quattro amici adolescenti compiono il loro rito di iniziazione facendo un viaggio di due giorni per trovare il corpo di un ragazzo morto sotto le rotaie di un treno.
Al ritorno due di loro rimarranno amici per sempre, gli altri a poco a poco si allontaneranno diventando " due volti confusi tra la folla ".
Mi dispiacerebbe se anche l' amicizia con Alberto si consumasse così come un rito di iniziazione ai fallaci rapporti virtuali di facebook.
Ciao Alberto!

venerdì 29 luglio 2011

PARLIAMO ANCORA DI NAPOLI


Qualche giorno fa Raffaele La Capria ha scritto un bellissimo elzeviro su Napoli ( Corriere Della Sera 29 - 07 -2011 ); paragonava Napoli a Giano bifronte piena di orrori e splendori e di contiguità e commistioni.
A Napoli classi sociali diverse vivono fianco a fianco; scriveva La Capria che non è insolito che nei " bassi " di un palazzo viva povera gente e al piano nobile borghesi o famiglie altolocate, da sempre. Uno strumento di estrema confidenza e insieme di distacco, impensabile al Nord, è l' uso del " Voi " tra persone di condizione diversa;  il voi unisce e distacca irrimediabilmente.Viene usato tra la signora e la sua domestica, tra il signore e il suo autista, il proprietario terriero e il contadino: è insomma un elemento che crea una sorta di intimità, permettendo di conservare nel contempo il massimo della distanza:; nulla più del voi avvicina e allontana.
Del resto Napoli, da sempre è, come dice Erri De Luca una città "esagerata", nel bene come nel male, nei suoi splendori come nelle sue negatività.
Nella Rivoluzione Partenopea del 1799, gran parte dei rivoluzionari, colti, borghesi o nobili, furono giustiziati dai Borbone, che vennero aiutati dagli inglesi;  in cambio, donarono loro latifondi in Sicilia tra cui le terre intorno a Bronte, causa questa del massacro avvenuto poi durante l' impresa dei Mille.
Nel 1799 tra  i ribelli giustiziati vi era Eleonaora Fonseca Pimmentel, l' ammiraglio Francesco Caracciolo, il figlio del duca Serra di Cassano. Quest' ultimo  non perdonò  mai il re Borbone e  dispose che, da allora ( ed è rimasto così per oltre 200 anni ), il portone del suo palazzo restasse chiuso perchè non si potesse guardare Palazzo Reale di fronte.
Il popolo non parteggiò per i giacobini che volevano la libertà, ma per i Borboni; ci furono perfino episodi di cannibalismo.
Roberto Saviano, una volta, raccontò che nella Costituzione della Repubblica Partenopea c' era un articolo che stabiliva che ogni napoletano da casa sua avesse diritto di vedere il mare.
Sono passati secoli: a Napoli sole e mare si vedono nelle strade dei signori; interi quartieri sprofondano, come budelli bui verso il basso, in un intrico di vicoli e scalinatelle " le grare "; in quel buio, se alzi gli occhi vedi, lassù, in alto, uno spicchio di cielo.

giovedì 28 luglio 2011

Bella e disperata Napoli come Giano di Raffaele La Capria



Bella e disperata Napoli come Giano

La sublime diversità partenopea

Oggi parlare di Napoli non si può. Si può parlare dei rifiuti, ma di Napoli no. Troppo scontato appare il tema, e poi a chi interessa? E tuttavia, nonostante ciò, mi proverò a parlare di Napoli perché ultimamente ci sono stato per pochi giorni, e ho visto sì con dolore in molte strade la monnezza - intollerabile -, ma ho visto anche la Bellezza di cui non si parla più. Napoli invece per me è sempre bellissima e affascinante, e fa sognare di paradisi e armonie perdute, specie sul cader della sera, quando il rosa e l’azzurro sfumano nel cielo l’uno nell’altro, e le prime luci si accendono sotto il Vesuvio e lontano sulla costa brillano come i gioielli di una preziosa collana.
Nelle aggrovigliate strade del centro storico ho visto turisti aggirarsi incantati, entrare nelle grandi chiese barocche, curiosare tra i monumenti, le piazze, e le meraviglie di San Martino, del grande Museo Archeologico, del Museo di Capodimonte, e mescolarsi alla vita che si svolge in quelle strade tra le bancarelle piene di presepi, pulcinellini, corni portafortuna, e le più diverse cianfrusaglie. Strade antiche, diverse da quelle della città moderna con le monotone vetrine di scarpe, blue jeans e vestiti alla moda. Qui il passato sembra che non sia passato, ed è proprio questo che attira i visitatori, perché ormai nell’immaginario della gente i vantaggi della modernità hanno provocato tanti di quei disastri che si comincia a pensare che la conservazione del passato, ritrovato intatto in certe città, sia un bene da non perdere. E anche la nostalgia di uno stile di vita meno affannoso e meno competitivo fa parte di questo sentimento.
Forse Napoli è la città dove l’illusione di un passato migliore del presente a volte viene mitizzata, e comunque esercita un potere suggestivo molto forte. Sto fantasticando? Allora torno con i piedi a terra e guardo Napoli come una città bifronte, come Giano, il dio con due facce. Secondo come la si guarda può essere «disperatissima» e «felicissima», come dice Guarini, e anche una città accogliente o una città inospitale. L’indole degli abitanti, la maggioranza, è cordiale, amabile, gentile, oppure all’opposto e in molti casi, può rivelarsi malavitosa e camorristica.
Anche la società ha due facce, perché non si sa mai bene in certi ambienti qual è e dov’è il confine tra la società civile e la società criminale, nel senso che quando tratti un affare e firmi un contratto ti può capitare di farlo con la persona sbagliata. La borghesia e il popolo sono nello stesso tempo distanti, per ceto ed economicamente, e però condividono il dialetto, i sentimenti, e sono accomunati dalla «napoletanità», che è un modo di vivere e di vedere il mondo. E ancora la cosiddetta «promiscuità di vicinato» fa sì che molto spesso nel basso di un palazzo viva il popolo e al piano nobile dello stesso palazzo viva il principe o il borghese, e questo naturalmente crea un rapporto, una convivenza, che però non cancella la distanza, una distanza che nei momenti cruciali della storia è diventato un fossato incolmabile.
E anche qui Napoli rivela le sue due facce di Giano bifronte. Dunque la prima diversità tra Napoli e le altre città è questa ambiguità sociale, questa strana sintesi di coppie di opposti. Solo attraverso l’esperienza che si forma vivendo a Napoli si può capire il fascino che la città esercita su molti e il rifiuto che provoca in altri. Dimmi come vedi Napoli e ti dirò chi sei, questo è vero. Napoli è una pietra di paragone. C’è chi va in giro per la «città porosa», così la definì Walter Benjamin, porosa come una barriera corallina o una spugna, e vede solo rovina e degrado; ma chi ha l’occhio giusto scopre nelle anfrattuosità e anche nel degrado del suo tessuto urbano, chiostri, chiese, palazzi, scale, colonne e monumenti e tante insospettate meraviglie. E qui torna bene la riflessione di Norman Douglas che paragonò Napoli a un’anfora che quando viene pescata dalle profondità marine e tirata su è piena di alghe e incrostazioni calcaree che la rendono irriconoscibile, ma l’occhio esercitato dell’esperto sa vedere subito la bellezza della forma originaria.
Napoli è come quell’anfora, ci vuole un occhio particolare per vederla. Tutte le città sono diverse l’una dall’altra, ma Napoli è più diversa, e non solo per la monnezza e la camorra come credono al Nord, ma per la sua inafferrabilità. Da questa diversità dipende anche il rapporto che gli scrittori napoletani hanno con la loro città. Una città che pone continuamente domande, che a volte ti «ferisce a morte o ti addormenta», con cui si stabilisce continuamente un poetico litigio, perché vorresti cambiarla ma cambiarla senza perderla, senza perderne appunto la meravigliosa e ambigua diversità.
Raffaele La Capria
27 luglio 2011 16:22

domenica 24 luglio 2011

DAVANTI SAN GUIDO


Ho sempre studiato poesie a memoria da alunna e da professoressa ne ho fatte imparare tante in un' epoca in cui non si usava più.
Intere generazioni si sono rassegnate; io lo facevo per due ragioni: la prima è che le poesie studiate da ragazzi si ricordano per tutta la vita. Mia madre a 85 anni ricordava a memoria tutta l' ode " Marzo 1821 ";  il secondo motivo è che penso che un poeta, da adulto, lo possiedi se ne sai i versi, altrimenti è una conoscenza superficiale, ne puoi discutere ma non puoi assaporarlo.
Da qualche anno molti autori sono scomparsi dalle antologie scolastiche. Di Pascoli, poche poesie e sempre le stesse, c' è un po' di Leopardi, quasi niente di D' Annunzio e Carducci è scomparso.
E' vero che fu un poeta che connotò un' epoca, non per sua colpa, ma molte delle sue poesie sono bellissime.
Per esempio " Davanti San Guido" è un delizioso racconto in versi dove nostalgia, ironia, sottile umorismo si mescolano.
Dunque per anni i miei alunni hanno imparato le 29 strofe della poesia ( non tutte insieme ) e io gliele provavo interrompendo uno e facendo continuare un altro; una grande mia chanche  nei loro confronti era che io la conoscessi come per qualunque poesia facessi studiare; era per loro quasi un' assicurazione sulla vita; pensavano: " Se la ricorda lei dopo tanti anni, anche noi la sapremo", e la cosa li intrigava e sopportavano di buon grado.
L' anno scorso mi ha scritto su fb una mia alunna che ora è ostetrica e mi ha detto che, dopo molti anni aveva finalmente capito l' importanza di conoscere quella poesia a memoria.
Era andata a Bolgheri, aveva percorso il viale dei cipressi recitandola tra sè e aveva assaporato gita e poesia come non mai; dopo tanti anni mi ringraziava.
Oggi mio figlio Stefano che è per qualche giorno in Toscana con Gloria e la piccola Virginia mi ha detto che sono andati a Bolgheri, io, per scherzo, gli ho chiesto se " in cima al poggio " avesse visto nonna Lucia e lui mi ha detto che là c' è la statua; e io, come una stupida, mi sono commossa.

venerdì 22 luglio 2011

IL MONDO DI OGGI E VARIE CONSIDERAZIONI


Oggi si discuteva  del male; un amico, un artista, commentando un suo quadro sosteneva che  i giovani sono corrotti, le occasioni per cedere sono molto più numerose di prima, c'è droga, indifferenza; alla sua opinione  se ne aggiungevano altre che sottolineavano la frenesia del vivere presente:  tutti corrono, restano indifferenti di fronte al dolore, il malcostume dilaga e via di questo passo.
Sarò controcorrente, ma io penso che il male come il bene siano sempre esistiti;  Medea uccise i figli,  Cesare, mentre Bruto lo colpiva gli disse " Tu quoque Brute fili mi " ( frase che noi, a scuola, imparavamo perchè in sole cinque parole ci sono tre regole ed eccezioni ). Nell' antica Sparta i bambini deformi venivano eliminati, nella democratica Atene una larga fetta della popolazione non aveva diritto al voto; in nome della fede i conquistadores spagnoli hanno ucciso intere popolazioni dell' America centrale; noi, piccole formichine, immerse con la nostra vita nel flusso eterno del tempo, scambiamo il "qua e ora " per il " prima e dopo ".
Nella mia vita a contatto con ragazzi e giovani ho notato cambiamenti veramente minimi nell' arco di quarant' anni. C' erano ragazze che facevano l' amore presto quando io avevo tredici anni, quando ero una giovane professoressa e quando sono andata in pensione. Ma le modalità dell' innamoramento, quelle sono sempre le stesse; ci sono ragazzi che si sballano e ragazzi che pensano a studiare, oggi come ieri come secoli fa, come domani o tra un decenni.
I mezzi di comunicazione e i vari " ministri della paura " tendono ad enfatizzare gli aspetti peggiori della nostra epoca, ma quante conquiste, quanto progresso e anche quanta bontà oggi come ieri.
Gesù compiva miracoli duemila anni fa, S Francesco secoli dopo si spogliò delle sue vesti e visse in povertà parlando con gli animali, alla nostra epoca appartengono Madre Teresa di Calcutta che curava miseri e lebbrosi, Don Andrea Gallo che di notte va a parlare con le prostitute per strada, don Andrea Milani che fu sempre " dalla parte degli ultimi" e tante persone senza volto o nome famoso che dedicano la loro vita al volontariato.
" E mi sovvien l' eterno e le morte stagioni e la presente e viva e il suon di lei..."
Non siamo altro che granelli di sabbia nell' eterno fluire del tempo; forse il pensare che la " nostra " epoca sia particolare o diversa ci fa sentire eterni.

giovedì 21 luglio 2011

ANCORA SUI FIGLI

Oggi una mia cara amica di fb si lamentava, in una breve frase, perchè le sembrava di non riconoscere più sua figlia.
Spesso parlo dei miei, ma in questo periodo in cui sento più acutamente il distacco, vorrei ripercorrere tutte le tappe del cammino percorso con loro; mi sembrerebbe di sentirli più vicini e, al tempo stesso, troverei una risposta a un mio stato d' animo presente.
Quando ci siamo sposati, Vittorio appena laureato e io alle prime supplenze, decidemmo di aspettare qualche anno: allora, specie nel sud, non si usava; bisognava dar subito prova di fertilità.
Mia suocera

, timidamente chiedeva " Ma potrai avere figli? ". Io rispondevo che lo avrei saputo quando avremmo deciso di averne.
Fu tre anni dopo e nacque Stefano; sfatiamo subito lo stereotipo dell' amore materno innato: per me non fu così,  imparai ad amarlo crescendolo, tra le prime incertezze, notti in bianco perchè urlava come un ossesso dalla fame, colichette, biberon, cambio pannolini e  così via. E' chiaro che è tuo figlio e gli vuoi subito bene, ma credo dipenda dal carattere di ognuno di noi;  a me quella prima esperienza sembrava sottrarmi tutto il tempo esistente.
Col passare dei mesi imparai a conoscere e amare quel bambino che crescendo si rivelava silenzioso, tranquillo, riflessivo; aveva un suo personale senso dell' umorismo, un po' sornione, che ha sempre conservato e che solo chi  lo conosce bene capisce.
Ad un anno circa, eravamo a Vico, lo lasciai con mia madre per una notte e andai a Napoli perchè Vittorio doveva recarsi per un mese in America e volevo salutarlo: al mio ritorno, per un' intera giornata, ogni volta che  parlavo a Stefano o lo guardavo, girava la testa dall' altra parte: quello fu il momento dell' amore definitivo; giurai che mai, nemmeno per una notte lo averei lasciato, e fu quasi sempre così.
Paolo nacque più di quattro anni dopo, sette anni dopo il matrimonio; mia suocera per anni disse che questo  figlio non se lo aspettava e invece noi lo avevamo tranquillamente desiderato e programmato.
Si dice che col secondo figlio l' utero della donna sia più pronto; certo è che tutto quello che sembra difficile col primo, col secondo è una passeggiata: Paolo era bello, capelli biondi e occhi azzurri, dormiva e mangiava.
Al contrario di Stefano che, a parte i primi mesi era stato sempre un bambino tranquillissimo, Paolo si rivelò scatenato e facile al pianto come al riso.
Non camminava ancora e si slacciava dal seggiolino nella macchina e, strisciando, mi saliva sulla testa mentre guidavo. Se voleva qualcosa e il fratello, cugini o adulti gliela negavano cominciava a urlare tanto da meritarsi, a Vico, il soprannome di " sirenetto" per il suono stridulo che emetteva;  fino a sette, otto anni è stato inappetente, viveva di zuppe di latte. Quando ci trasferimmo a Milano aveva quattro anni e giurò che all' asilo non avrebbe MAI mangiato: così fu. Tornava a casa alle 15,30 e pranzava a quell' ora; Stefano che era di robusto appetito ancora oggi sostiene che si trattò di una questione di principio. Dice " Ma è mai possibile che in un intero anno non ci sia stata una sola cosa che non gli piacesse?". Paolo è fatto così, se dice Mai è Mai.
Con lui per anni abbiamo vissuto in modo simbiotico: andavamo in oratorio, io aiutavo al bar e lui giocava; quanto, tempo dopo, mi ha rinfacciato quegli anni, quasi glieli avessi imposti!
Poi abbiamo vissuto anni belli di compagnia e serenità; pomeriggi interi, loro a casa a studiare e io a leggere o a trafficare in cucina; se io ero occupata a scuola con i consigli,  loro mi preparavano la cena e, invece di registrarmela, mi facevano dei buffi riassunti scritti della mia soap preferita.
Col padre c' era in comune il gioco e la passione, che dura ancora oggi, del calcio e del NAPOLI.
Vittorio è sempre stato molto dolce con loro, ma autorevole e presente.
Verso di me ci sono stati periodi diversi:  anni in cui io non DOVEVO sembrare in alcun modo professoressa; guai parlare di Verga piuttosto che di Leopardi; sembrava che volessi indottrinarli, castrarli; meglio se apparivo, culturalmente, più simile a una donna delle pulizie; guai quella rarissima volta in cui andavo a colloquio con i professori: avrei sicuramente combinato guai,  perchè, si sa, sarei stata dalla parte dei miei colleghi;  anni in cui erano verbalmente violenti e anatemici, quasi io fossi la causa di tutti i mali del mondo.
Io penso che adulti e giovani siano come alle due estremità di un lungo corridoio:i primi  l' hanno già percorso e, se hanno avuto una vita ricca e intensa, vorrebbero dare consigli, evitare ogni sofferenza possibile perchè sanno che ce ne saranno e  che si potrebbero evitare; i secondi, nella superba arroganza della gioventù, rifiutano qualunque consiglio, anzi si trincerano per non averne perchè per ogni ragazzo, e lo è stato anche per noi, la sua esperienza è la prima del mondo, unica e irripetibile; non possiamo far altro che guardarli, educarli,e sperare che siano felici.
Quando poi superano una certa età e diventano definitivamente adulti, non hanno più paura di noi e dei nostri giudizi; ci guardiamo di nuovo sorridendo, si sentono paritari e concedono di nuovo tanto.
Ma il tempo incalza e presto vanno via di casa; ora sono passati rispettivamente tre anni e mezzo e un anno e mezzo.
All' inizio mi sembrava giusto e normale;  i ricordi erano là freschi, recenti, andavano e venivano, a casa c' era ancora tanto di loro; poi, col passare del tempo, pur godendo la libertà e la compagnia di Vittorio, specialmente da quando Stefano è diventato padre, ci si accorge che, nonostante l' affetto e il vedersi abbastanza spesso, non siamo più noi la loro famiglia; entrambi se ne sono costruiti una nuova, l' altra casa è la LORO casa, la loro compagna o moglie, la figlia per uno di loro, sono il centro del loro mondo ed è naturale; io ci sono arrivata con un po' di ritardo e, stranamente, sento una punta di sofferenza in più ora piuttosto che i primi tempi. Quando Paolo viene a pranzo, in genere una volta a settimana, passiamo delle belle ore lui e io; poi, quando mi saluta prima di andare via sento acuta una punta di sofferenza, ma forte e vorrei abbracciarlo e dire di non andarsene; ma è un momento, poi passa.

martedì 19 luglio 2011

OMICIDI E MEDIA


Oggi hanno arrestato Salvatore Parolisi, accusato di aver ucciso la moglie: uno dei tanti delitti di cui giornali e  trasmissioni televisive si " nutrono"
Io, per natura sono garantista e innocentista; quando ci fu il delitto di  Cogne mi rifiutai di pensare che la madre potesse essere colpevole; anche ora, dopo i tre gradi di giudizio, trovo che la pena inflittale è, in ogni caso, sproporzionata. Se mente e ricorda, ci sarebbe voluto l' ergastolo; se è innocente o non ricorda sedici anni sono troppi, sarebbe stato meglio lasciarla accanto agli altri figli.
Da sempre i delitti hanno scosso l' opinione pubblica dividendo la gente in innocentisti e colpevolisti: ricordo, da piccola, il caso Montesi; mamma e papà ne parlavano sempre, poi il caso Fenaroli e tanti altri.
Ma allora c' erano solo i giornali, non la televisione o almeno non come adesso; da mesi non c' è trasmissione che non tratti della " piccola Sara", della " piccola Yara " , della " povera Melania". Sono fatti tristissimi e infelici vittime, ma è malsano il modo con cui, in nome dell' audience, le trasmissioni si buttino su questi eventi con il contorno di plastici, esperti o pseudo tali, amici " del cuore " delle vittime, parenti e parenti di parenti.
Alla fine il processo e la condanna o l' assoluzione del pubblico avvengono ben prima che nelle aule del tribunale, a seconde della simpatia o antipatia che i presunti assassini suscitano e che i conduttori contribuiscono ad alimentare.
Inoltre man mano che la scienza investigativa si arricchisce di elementi sempre più sofisticati, i tempi si dilatano in modo esasperato, e sembra quasi che tra tracce di dna, impronte, prove, tutto sia più vago e impreciso.
Un vecchio poliziotto diceva che i delitto, generalmente, o si risolvono nelle prime 48 ore o è difficile che si risolvano, viene nostalgia dei marescialli e commissari di una volta che, senza tanti prelievi e confonti e indagini, col buon senso e la deduzione, arrivavamo in breve tempo al colpevole.
C' era un giallo di Camilleri che si basava sullo " scangio"; questo triste caso di Melania mi sembra tutto uno" scangio": Carmela che diventa Melania, un padre e marito disperato che precedentemente l' ha cornificata abbondantemente  e che dice bugie su bugie ( cosa chi non fa di lui, necessariamente, un assassino ) un luogo dove sembra siano stati ma dove nessuno li ha visti; insomma, oltre alla povera morta una sola vera vittima: una bambina che forse perderà madre e padre insieme.

venerdì 8 luglio 2011

30 AGOSTO 1970




Ieri sera, dopo cena, ho letto con Vittorio la nota che avevo trascritto dal mio blog su quella lontana estate in Romania; ridevamo come due ragazzini, ognuno ricordava qualcosa e arricchiva il racconto di particolari .
Ci sembrava che fosse successo ieri.
Oggi mi viene in mente l' estate precedente a quella, il 1970.
Quel luglio, quando arrivammo a Vico Equense io notai che Vittorio si era lasciato crescere la barba e commentai con mia sorella come stesse bene; fino a quell' estate ci eravamo frequentati, ma di sfuggita, incontrandoci di tanto in tanto. Lui aveva due anni e mezzo meno di me e da ragazze questo conta; ma quell' estate lo vedevo con occhi diversi, facemmo parte dello stesso gruppo e parlavamo molto.
 Non credo fosse già amore, era amicizia e attrazione, soprattutto affinità che ci spingeva a stare bene insieme.
Quell' anno c' era un ragazzo già laureato che mi faceva la corte, eppure, nel mio cuore, inconsciamente io puntavo su Vittorio, nonostante fosse più giovane, ai primi anni di Università mentre io ero vicina alla laurea, ma la sua finezza, la sua cultura, la sua maturità mi davano sicurezza; non pensavo assolutamente al domani, non ci ho mai pensato, lasciavo che quei mesi scorressero con il loro divertimento, le feste, le cene, i balli, le solite cose dell'estate insomma.
Una sera, il 30 agosto appunto, andammo in pizzeria con tanti amici; l' altro, quello che mi stava dietro era rimasto a casa perchè era stato punto da una vespa e gli si era gonfiata una mano; all' uscita dal ristorante eravamo tutti un poco alticci, Vittorio mi disse " Perchè non ci baciamo? " E lo facemmo là, davanti a tutti, per strada, ma credo che nessuno se ne accorse.
Il giorno dopo io, e credo anche lui, eravamo in imbarazzo; allora usava fare " la dichiarazione", e, nel nostro caso, non c' era stata.
Credo ci domandassimo tutti e due se "stavamo insieme" o no; qualche sera dopo andammo a fare una passeggiata in macchina, lui la fermò e cercava di dirmi qualcosa; probabilmente voleva capire quali fossero i miei sentimenti, iniziare un rapporto non vincolante, in attesa di vedere se i nostri sentimenti si rafforzavano.
Mi chiese " Sei innamorata?" e io con l' incoscienza di sempre risposi " Di chi ?". ci mettemmo a ridere, la tensione si sciolse, lui rispose " Di quello che sta passando, è chiaro! " e cominciammo, con leggerezza  senza parole e promesse il rapporto che dura ancora oggi.
Quando tornammo a settembre a Napoli, lui cominciò a venire a casa mia tutte le sere; qualche mese dopo, baciandomi mi chiamò "Amore", ma così di sfuggita, sotto il portone.
Raramente, credo due persone sono state tanto tempo insieme, condividendo tantissime cose quanto noi due, sentendoci assolutamente liberi " dentro" senza mai avanzare pretese di possesso sull' altro.
Ci sono stati momenti di insofferenza, momenti in cui " non " ci siamo scelti; io specialmente che sono "tanta", così estroversa, amante della compagnia, desiderosa di essere circondata da gente, amici, credo di averlo qualche volta deluso, lui avrebbe desiderato più intimità, più solitudine: lui e io.
Ma senso di possesso, mai, non ho mai pensato per un istante che mi appartenesse. Penso che tante persone ricaverebbero da un rapporto d' amore più soddisfazione solo se smettessero di pensare che l' altro " gli appartiene"; nessuno può appartenerci, possiamo solo cercare di accettare con gratitudine e serenità quello che l' altro ci regala, spontaneamente " qua e ora ", di giorno in giorno, vivere la vita e l' amore con leggerezza.
E' stato anche il fronteggiarsi di due caratteri forti, che si sono fatti reciprocamente, delle piccole concessioni.
Ora che l' essere " diversamente giovane " mi ha cambiata, ora che godo dell' essere noi due soli e apprezzo come doni inestimabili gli attimi che passiamo insieme quando chiacchieriamo e godiamo della reciproca compagnia e vedo i ragazzi ormai grandi e avviati per il " loro " cammino di coppia, ora che quando d' estate siamo con gli amici di sempre e specchiandoci gli uni negli occhi degli altri ci vediamo sempre ragazzi, mi sembra che sia accaduto solo ieri quel bacio dato dopo una pizza e un po' di birra di troppo.
Ed è bello che sembri solo di allungare una mano per poter rivivere quella sera e al tempo stesso pensare a quanta strada si sia percorsa insieme.

giovedì 7 luglio 2011

ACCADDE IN ROMANIA...




Vittorio e io, da ragazzi, avevamo un salvadanaio in ferro; ci mettevamo dentro i nostri guadagni ( lezioni private, paga settimanale, il ricavato delle mie prime supplenze ) e d' estate li usavamo per viaggiare,
Nel 1971 con una coppia di amici decidemmo di andare in Romania e Bulgaria; eravamo di sinistra, la Romania, in quegli anni,  aveva fama di essere l" America dell' Est  europeo " e non la feroce dittatura che si rivelò in seguito, e poi, costava poco.
Ci rivolgemmo a un' agenzia per studenti vicino all' Università; il prezzo era basso perfino per allora: tre settimane comprensive di viaggio aereo, vitto e alloggio ci vennero a costare poco più di 100000 lire a testa.
Oggi ricordo tutto con tenerezza, e devo dire che, specialmente la Bulgaria  ,mi piacque tanto ( ad eccezione della minestra di yogourt con cetrioli ): Sofia e le sue cupole, le moschee, Varna e soprattutto Plovdiv, la città natale di Moni Ovadia; visitammo un museo che nell' 800 era stata la casa di un ricco mercante, con splendidi arredi e oggetti, tra cui un orologio con l' ora che era al contrario e si leggeva esatta in uno specchio di fronte.
In Romania nel complesso andò bene, se si esclude che con 45 gradi all' ombra ci facevano mangiare una minestra con del grasso dentro che mi causò un' enterocolite.
A Bucarest eravamo ospitati nelle aule del Politecnico trasformate in ostello, poi andammo in un villaggio turistico sul Mar Nero e là io ebbi un febbrone con diarrea e vomito. Vittorio andò all' ambulatorio del villaggio e cercava di farsi capire, ma inutilmente, dal medico, finchè con un lampo d' ingegno disse " Merde, merde " e quello capì e mi curò.
L' episodio più divertente ( da ricordare) avvenne il giorno della nostra partenza da Bucarest per la Bulgaria;  dei parenti ci avevano chiesto di contattare un ingegnere rumeno fratello di una signora che aveva sposato un cugino Barendson.
Lo facemmo e lui venne a trovarci con la figlia, una splendida ragazza di 16 anni e ci invitò ad andare in gita con loro al lago Snagov.
Lasciammo gli amici con la promessa di ritornare nel pomeriggio presto perchè tutto il gruppo doveva trasferirsi in treno in Bulgaria e cominciammo a seguire il tizio. Vittorio ad un certo punto gli chiese dove fosse parcheggiata l' auto; ci guardò stupito, non l' aveva, saremmo andati con i mezzi pubblici.
Prendemmo due autobus, arrivammo al lago mentre cominciava a piovere; per non sembrare maleducati, visto che questo aveva anche noleggiato una barca ci spogliammo e ci tuffammo.
Quando tornammo in barca Vittorio cercava i suoi occhiali, ma il nostro ospite ci fece capire che si era tuffato con quelli; ne aveva un paio in albergo, ma intanto, nonostante scandagliassimo i dintorni, quelli persi rimasero nel lago.
Nel frattempo si era fatto tardi e ci accorgemmo che, anche se l' autobus fosse passato in orario, saremmo comunque arrivati troppo tardi per la partenza del gruppo.
Mettemmo la ragazza carina con i pantaloncini corti a chiedere l' autostop e, quando un' auto si fermò, lei rimase col padre e noi due abbrutiti, salimmo nella macchina.
Alla guida c' era un ingegnere, collega dell' altro, che parlava francese e ci capivamo discretamente; il guaio era che dovevamo spiegargli dove fosse il luogo in cui doveva lasciarci e, mentre io non ho mai avuto senso dell' orientamento alcuno, Vittorio che lo ha, era senza occhiali e non vedeva niente; l' unico modo era guardare attraverso la cinepresa per tentare di ingrandire le immagini e raccapezzarci con i luoghi.
La gentilezza del nostro autista diminuiva a vista d' occhio, via via che aumentava il nostro imbarazzo e nervosismo.
Una scena, la più bella ce l' ho ancora davanti agli occhi come un film al rallentatore: lui abbassa il cristallo del finestrino per chiedere informazioni, io non so assolutamente dove ci troviamo, Vittorio guarda attraverso la cinepresa e vede che sta per sopraggiungere un camion e che vicino alla macchina c' è un' enorme pozzanghera; dice " Oh là là là " inutilmente perchè il nostro ospite viene investito da un gettito d' acqua in pieno viso.
A noi prende un attacco di " fou rire ", quello tra un po' ci scarica dall' auto; meno male che Vittorio vedendo " attraverso " si accorge che siamo arrivati al nostro ostello.
Salutiamo imbarazzatissimi e quello ci scarica con sollecitudine e senza quasi risponderci.
Arrivammo appena in tempo; i nostri amici, incavolati neri ci avevano anche fatto le valigie e le avevano chiuse come usavamo allora: sedendocisi sopra.
A ricordarle sono cose tenere...

sabato 2 luglio 2011

IO SONO STANZIALE...



Ho scoperto, se mai ce ne fosse stato bisogno, che io sono, senza rimedio, un animale stanziale.
In questi giorni vedo un fiorire di incontri tra amici di facebook che abitano in luoghi anche lontanissimi tra loro.
A muoversi sono soprattutto i fotografi: Jacqueline, la mia cara amica Fata-fotografa, è andata a Catania a vedere la mostra fotografica del Mago-fotografo, poi è andata a Napoli, dove ha conosciuto un altro dei nostri amici, poi a Genova: altro incontro
Un amico che abita vicino Milano ed è anche un bel po' più " diversamente giovane " di me è andato anche lui a Genova: anche qua un incontro.
Io, a volte penso: " Sarà l' età", poi ricordo la mia vita e mi consolo: non c' è dubbio, sono sempre stata tendente alla " stanzialità".
Avevo 12 anni quando i miei da Napoli andarono a Roma per il matrimonio di un cugino di mamma; io preferii restate con la nonna e continuare per due giorni la mia vita di sempre.
Non che non abbia viaggiato, anzi...mia zia, la sorella di mamma, che non aveva figli ed era molto legata a me mi ha portato quando ero ragazza con lei per tutta Italia e mezza Europa; a parte che erano viaggi di quelli organizzati comodi, dove non c' era da stancarsi molto, si conoscevano persone, ci si divertiva, e da questo punto di vista, io non mi sono mai tirata indietro: comitivara, caciarona, amante del chiasso e della compagnia, lo sono stata sempre; forse adesso un po' meno, ma il carattere aperto e cordiale tale da attaccare discorso con chiunque, quello mi resta ancora.
Furono definitivi, per la mia tendenza al " fermo stabile" due viaggi fatti con l' ing quando era studente; eravamo fidanzati e con pochi soldi, viaggiavamo con agenzie che definire tali è un azzardo, andavamo per ostelli, nel 1971 in Romania e Bulgaria, e ne parlerò altrove e nel '73 in Spagna.
Vittorio è nato viaggiatore: in quelle circostanze mi fece camminare fino allo sfinimento fisico per vedere proprio tutto, era estate, c' erano 45 gradi all' ombra, mi beccai un' enterocolite coi fiocchi, sognavo Vico Equense che mi sembrava un miraggio e ad ogni telefono pubblico perdevo ore per chiamare casa .
Furono utili, per un verso, quei viaggi perchè Vittorio mi avvisò che in futuro, ove mai fosse stato fuori per lavoro, mi avrebbe telefonato solo occasionalmente: così è stato, per la felicità di entrambi, anche perchè quando non sono io a viaggiare, ma gli altri, io non sono per niente preoccupata; non ho paura dio incidenti o disgrazie e aspetto con serenità notizie se e quando ne arrivano.
Siamo stati fortunati: Vittorio ha avuto un lavoro che gli ha permesso di viaggiare per tutto il mondo, io sono rimasta a casa, felice, con la convinzione radicata che tutto quello che, con fatica e spreco di energie e tempo, vai a vedere sul posto, lo puoi conoscere a casa dai libri,  film, ora anche Internet.
Sono ancora adesso stupita del coraggio che ho avuto quando a 39 anni, per il lavoro di Vittorio, ci siamo trasferiti da Napoli a Milano; ho passato un inverno tremendo, sapendo che a giugno avrei lasciato la casa dove ero cresciuta, gli amici, la SCUOLA dove da anni insegnavo, un inverno dicendo dentro di me addio a tutto, poi arrivata qua, mi sono inserita velocemente e ora, pur sentendomi napoletana, non tornerei mai indietro.
Spesso ho pensato a ciò e ne ho dedotto che ho la " sindrome della chiocciola "; dovunque possa portarmi la mia casa, i mobili,  il divano, i libri, la tv e la FAMIGLIA, là metto radici; le scuole come gli alunni, sono uguali in tutto il territorio nazionale e anche qua ho potuto coltivare la grande passione dell' insegnamento.
E' vero che così i miei orizzonti si sono allargati, ho conosciuto due tipi di società e di mondi diversi e questo mi ha fatto bene, ma l' ho fatto solo per amore.
Ancora adesso, anzi di più, il pensiero di partire mi mette ansia; comincio a preparare la valigia con giorni e giorni di anticipo, e tutto questo per quel breve periodo dell' anno in cui da Milano vado a Vico Equense; il ritorno non è così traumatico: mi distacco con dolore dai luoghi della " memoria ", ma sono contenta perchè ritorno alle mie abitudini, ai miei riti quotidiani, a casa insomma.
Per cui, amici di fb, così come due di voi hanno già fatto, se mi volete sono qua: disponibile ad ospitarvi, a invitarvi a cena o a pranzo, a offrirvi un bel caffè o una tazza di the: in caso contrario, poco male, continueremo ad essere amici da lontano volendoci bene ugualmente!