giovedì 28 luglio 2011

Bella e disperata Napoli come Giano di Raffaele La Capria



Bella e disperata Napoli come Giano

La sublime diversità partenopea

Oggi parlare di Napoli non si può. Si può parlare dei rifiuti, ma di Napoli no. Troppo scontato appare il tema, e poi a chi interessa? E tuttavia, nonostante ciò, mi proverò a parlare di Napoli perché ultimamente ci sono stato per pochi giorni, e ho visto sì con dolore in molte strade la monnezza - intollerabile -, ma ho visto anche la Bellezza di cui non si parla più. Napoli invece per me è sempre bellissima e affascinante, e fa sognare di paradisi e armonie perdute, specie sul cader della sera, quando il rosa e l’azzurro sfumano nel cielo l’uno nell’altro, e le prime luci si accendono sotto il Vesuvio e lontano sulla costa brillano come i gioielli di una preziosa collana.
Nelle aggrovigliate strade del centro storico ho visto turisti aggirarsi incantati, entrare nelle grandi chiese barocche, curiosare tra i monumenti, le piazze, e le meraviglie di San Martino, del grande Museo Archeologico, del Museo di Capodimonte, e mescolarsi alla vita che si svolge in quelle strade tra le bancarelle piene di presepi, pulcinellini, corni portafortuna, e le più diverse cianfrusaglie. Strade antiche, diverse da quelle della città moderna con le monotone vetrine di scarpe, blue jeans e vestiti alla moda. Qui il passato sembra che non sia passato, ed è proprio questo che attira i visitatori, perché ormai nell’immaginario della gente i vantaggi della modernità hanno provocato tanti di quei disastri che si comincia a pensare che la conservazione del passato, ritrovato intatto in certe città, sia un bene da non perdere. E anche la nostalgia di uno stile di vita meno affannoso e meno competitivo fa parte di questo sentimento.
Forse Napoli è la città dove l’illusione di un passato migliore del presente a volte viene mitizzata, e comunque esercita un potere suggestivo molto forte. Sto fantasticando? Allora torno con i piedi a terra e guardo Napoli come una città bifronte, come Giano, il dio con due facce. Secondo come la si guarda può essere «disperatissima» e «felicissima», come dice Guarini, e anche una città accogliente o una città inospitale. L’indole degli abitanti, la maggioranza, è cordiale, amabile, gentile, oppure all’opposto e in molti casi, può rivelarsi malavitosa e camorristica.
Anche la società ha due facce, perché non si sa mai bene in certi ambienti qual è e dov’è il confine tra la società civile e la società criminale, nel senso che quando tratti un affare e firmi un contratto ti può capitare di farlo con la persona sbagliata. La borghesia e il popolo sono nello stesso tempo distanti, per ceto ed economicamente, e però condividono il dialetto, i sentimenti, e sono accomunati dalla «napoletanità», che è un modo di vivere e di vedere il mondo. E ancora la cosiddetta «promiscuità di vicinato» fa sì che molto spesso nel basso di un palazzo viva il popolo e al piano nobile dello stesso palazzo viva il principe o il borghese, e questo naturalmente crea un rapporto, una convivenza, che però non cancella la distanza, una distanza che nei momenti cruciali della storia è diventato un fossato incolmabile.
E anche qui Napoli rivela le sue due facce di Giano bifronte. Dunque la prima diversità tra Napoli e le altre città è questa ambiguità sociale, questa strana sintesi di coppie di opposti. Solo attraverso l’esperienza che si forma vivendo a Napoli si può capire il fascino che la città esercita su molti e il rifiuto che provoca in altri. Dimmi come vedi Napoli e ti dirò chi sei, questo è vero. Napoli è una pietra di paragone. C’è chi va in giro per la «città porosa», così la definì Walter Benjamin, porosa come una barriera corallina o una spugna, e vede solo rovina e degrado; ma chi ha l’occhio giusto scopre nelle anfrattuosità e anche nel degrado del suo tessuto urbano, chiostri, chiese, palazzi, scale, colonne e monumenti e tante insospettate meraviglie. E qui torna bene la riflessione di Norman Douglas che paragonò Napoli a un’anfora che quando viene pescata dalle profondità marine e tirata su è piena di alghe e incrostazioni calcaree che la rendono irriconoscibile, ma l’occhio esercitato dell’esperto sa vedere subito la bellezza della forma originaria.
Napoli è come quell’anfora, ci vuole un occhio particolare per vederla. Tutte le città sono diverse l’una dall’altra, ma Napoli è più diversa, e non solo per la monnezza e la camorra come credono al Nord, ma per la sua inafferrabilità. Da questa diversità dipende anche il rapporto che gli scrittori napoletani hanno con la loro città. Una città che pone continuamente domande, che a volte ti «ferisce a morte o ti addormenta», con cui si stabilisce continuamente un poetico litigio, perché vorresti cambiarla ma cambiarla senza perderla, senza perderne appunto la meravigliosa e ambigua diversità.
Raffaele La Capria
27 luglio 2011 16:22

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