martedì 20 settembre 2011

DONNE E AMORE


Le donne della mia famiglia e l' amore. Mia nonna Giuseppina, quella milanese; ebbe un unico amore, suo marito Leonardo Grossi.
Lui era lucano, lei del Nord, quando si conobbero lui era a Napoli a studiare medicina, la sua era una famiglia di ricchi latifondisti.
La sposò, ma solo in chiesa , perchè non voleva che i suoi sapessero, almeno non ancora. Infiammato dai discorsi di D' Annunzio, dopo la laurea si arruolò negli alpini:; prima guerra in Libia, poi tra una figlia e l' altra o forse prima o dopo, non so, la sposò anche in Comune ( allora non c' era il matrimonio concordatario ), poi partì per la Grande Guerra.
Il 13 luglio del 1916 morì per lo scoppio di una granata mentre curava un ferito in tenda; nemmeno il corpo le fu restituito. Abbiamo il telegramma e la lettera in cui si comunica con frasi di circostanza " morto da eroe nell' adempimento del proprio dovere...".
Dicono che lei, all' inizio fosse come impazzita; poi andò in Lucania dove i parenti di lui appresero che era la sua vedova.
L' accolsero bene, erano dei gran signori; della bisnonna Vittoria si dice che al tramonto si mettesse al balcone e guardasse laggiù, lontano, dove le figlie maggiori erano andate spose a notabili di provincie vicine, eppure allora lontanissime: alcune delle sorelle più grandi mio nonno non le ricordava.
Lui aveva fatto testamento, da uomo geloso e innamorato: la moglie sarebbe stata tutrice delle figlie e amministratrice del loro patrimonio a patto che non fosse mai più sposata.
Non credo che lei lo abbia mai voluto, abbiamo trovato lettere che si scambiavano quando lui era al fronte che testimoniano un amore appassionato ed esclusivo: lei si mise a insegnare e gli sopravvisse per più di 60 anni.
Non ne parlava , poco con le figlie, mai con noi nipoti; forse erano passati tanti anni ed era diventato un ricordo vago anche se la nonna fu sempre molto lucida fino a oltre i 90 anni o semplicemente un ricordo personale simile a un sogno.
Le figli furono cresciute con grande libertà.
Mia mamma Virginia vinse il concorso per maestra a 18 anni nel '32 e andò a insegnare a Salento, un paese sopra Vallo della Lucania; allora ci si arrivava a dorso d' asino.
Abitava nella casa del podestà il quale aveva avuto una figlia dalla serva; la figlia era trattata da padrona e la madre da serva; la figlia abitava col padre al piano nobile, la madre in soffitta; la figlia le si rivolgeva chiamandola" zoccola".
C' erano altri giovani che erano là per lavoro; mamma raccontava sempre di un medico alle prime armi che, dopo aver visitato un paziente, tornava a casa, chiamava loro amiche e amici, tirava fuori i libri di medicina e li consultava quando era incerto sulla diagnosi.
Anche zia Vittoria vinse il concorso e andò in provincia di Avellino; là si fidanzò con un avvocato che poi morì di polmonite.
Poi ritornarono a Napoli e vissero per alcuni anni le due giovani e la mamma con una domestica in una casa all' ultimo piano da dove si vedeva il golfo.
Erano fasciste della prima ora; del resto come insegnanti dovevano fare il giuramento; io penso che lo restarono anche in tempo di democrazia; mamma con papà si spostò su posizioni democristiane e, col tempo, di sinistra, ma la nonna e zia Vittoria no, fingevano ma nel cuore rimasero fedeli.
Durante il fascismo il Principe di Napoli Umberto e la moglie Maria Josè abitavano, con la corte, a Palazzo Reale in Piazza del Plebiscito; mamma con la nonna e zia Vittoria andavano sempre quando nascevano i figli del futuro re; c' era folla, si applaudiva, tuonavano salve di cannone.
Durante la guerra affrontarono i bombardamenti, si correva nei rifugi anche due o tre volte per notte, per un periodo sfollarono a Cimitile, vicino Nola, dove una contadina li ospitò nel fienile in cambio di soldi.
Con loro c' erano degli amici tra cui un ufficiale che aveva con sè una cassetta con i soldi che il suo comandante gli aveva affidato ed era terrorizzato al pensiero di perderla.
Dopo la guerra mamma diventò amica di Elia Gambardella, una ragazza sua coetanea che la portava spesso a casa sua; era l' ottava di dodici tra figli e figlie e diceva a mia mamma " Vedrai che ora che tornano i miei fratelli dalla prigionia trovi anche tu un prigioniero del passato" scherzando sull' omonimo film e romanzo.
Tornò papà magro e patito dopo quattro anni di prigionia con gli inglesi e la prima sera faceva cenno alle spalle di mamma per chiedere: " Ma questa chi è?".
Poi la riaccompagnò a casa e tempo pochi mesi si sposarono; andarono in viaggio di nozze per una settimana a Ischia.
Papà era allegro e gli piacevano le donne; trattò sempre mamma come una regina; l' accompagnava in macchina dovunque; avevano tanti amici, condussero sempre una vita brillante: serate letterarie, gioco, ma non d' azzardo piuttosto il pokerino con gli amici e il cun-cain quando venne di moda.
Se mamma era gelosa non lo dimostrò mai; del resto questa era la regola d' oro che mi è stata inculcata e alla quale mi sono sempre attenuta: nulla e nessuno ci appartiene, non possiamo avanzare pretese, siamo liberi e lo sono gli altri, affrontare le emergenze con eleganza e leggerezza.
Mamma lo amò moltissimo: visse i mesi di malattia di papà con la morte nel cuore e il sorriso sulle labbra, e diede a noi un esempio di vita e di stile. ci sposammo tutte e due durante la malattia e nessuno, dopo, riusciva a credere che conoscessimo le sue reali condizioni; fu una prova di resistenza che illuse e mantenne sereno lui e che mise alla prova duramente noi.
Nel giro di tre mesi morì mia nonna, ci sposammo noi e poi la morte di papà; mamma si ritrovò sola con Maria la domestica, in una casa che fino a pochi mesi prima era piena di gente.
I primi mesi era come inebetita, poi grazie agli amici, a noi e ai nostri amici,  la casa e lei ripresero a vivere, nacque dopo pochi mesi Francesco, il primo nipote e lei ricominciò a sorridere.
Anni dopo mi diceva che la vita è ben strana, che lei pensava di non poter più vivere senza papà e, nonostante tutto, ci era riuscita.
Quando era ormai anziana, qua a Milano, la mattina io prima di andare a scuola la svegliavo per portarle il caffè.
Lei mi diceva che se un giorno non mi avesse risposto voleva dire che era andata a raggiungere papà: finì così come aveva sognato che accadesse.
Zia Vittoria, sorella di mamma, fu la mia amica e quella dei miei figli, la nostra compagna di giochi e di delizie: da ragazza viaggiavo con lei, andavo a teatro con lei,  poi anni dopo  uscivamo insieme a portare a spasso i bambini.
Non era socievole come mamma, ma aveva un modo di fare fanciullesco con coloro che amava che la rendeva irresistibile agli occhi di noi nipoti.
Si innamorò di un collega archeologo che aveva 11 anni meno di lei e lo sposò nel 1954: quel giorno mia nonna aveva la faccia di una che va a un funerale.
I primi tempi abitarono con lei ( che era tremenda); poi, piuttosto che rischiare di rovinare il matrimonio andarono a vivere per conto loro; nel ' 62 presero casa  nel nostro palazzo al Corso Vittorio Emanuele e questo è uno dei motivi per cui , tra gli amici di mamma e papà, zia Vittoria al piano di sotto, la nonna in casa e le domestiche, siamo cresciute, noi, e i nostri figli dopo di noi in un clima allegro e sempre " affollato".
Il marito di zia Vittoria non ebbe una grande accoglienza in famiglia; anche lui era di carattere strano come parecchi studiosi;  a volte esageratamente allegro, altre immerso nei suoi scritti.
Fra loro due ci fu una grande passione alternata a periodi in cui litigavano e comunicavano tra loro tramite biglietti.
Per tutta la vita lui si chiese chi lo avrebbe accudito dopo la morte di lei;  finì che lui morì all' improvviso un pomeriggio davanti alla televisione, senza nemmeno il tempo di dire:"Ah".
 Aveva 71 anni e lei 82; ha vissuto fino a 97 anni e con quel suo modo di fare un po' schivo e scherzoso, quasi da ragazzina, mi ha sempre raccontato che l' ultima notte prima della morte di lui avevano fatto all' amore con grande passione, avevano chiuso alla grande, insomma.

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