venerdì 30 settembre 2011

ROBERTO E LA TERZA DEL 1996 - 97


Si chiamava Roberto, aveva i capelli rossi, passione per la musica e la danza, molto meno per lo studio; suonava la fisarmonica divinamente.
Ereditai questa seconda bistrattata perchè tutti i professori avevano chiesto classi migliori; allora le sezioni di francese erano poco curate e quella fu la mia amatissima classe di " truzzi ".
Insegnavo lettere con la mia collega Simonetta che loro ricordano ancora perchè " bona ".
Succedeva di tutto in quella classe ; ma ci divertivamo anche molto.
Uno ruppe il naso a un altro, un poverino mite e perbene, capitò per caso.
Elena andava in bagno uscendo dalla porta e tornava dalla finestra. Quando le dissi che, per essere promossa, doveva imparare " almeno " cinque pagine di storia, mi guardò con aria indignata e mi disse che in " tutta la sua carriera scolastica " una prof così non le era mai capitata.
Emanuela era bella e brava: in terza si fece fotografare su un giornalino per ragazzi; si vede che non era ancora epoca di Grandi Fratelli e di Amici di Maria. Fosse successo qualche anno dopo le avrei chiesto l' autografo; invece pare, ma non lo ricordo, che la sgridai.
Quando le ho chiesto l' amicizia su fb, ora è mamma di un bimbo bellissimo, mi ha subito chiesto se  l'  avrei " cazziata " come a scuola.
Li chiamavo " truzzi " e un giorno per farmi uno scherzo vennero, i maschi, tutti a scuola con la cravatta.
Sono riusciti meglio di quanto la scuola abbia fatto per loro.
Qualcuno ha dei rimpianti, si rassicuri, non è del tutto colpa sua, la vita lo ha maltrattato.
Fabrizio bigiava la scuola, io andavo al mercato, avvertivo sua madre e lei lo mandava a scuola; ogni tanto mi chatta " Ueee prof ".
C' era Christian, mitico e intelligente che ho visto l' anno scorso qua a casa mia, è geometra e continuiamo a litigare sempre; c' era Matteo che ora è parrucchiere e troppo serio per stare su fb; lui pensa a lavorare; Ludovico tenero e arrabbiato con il mondo intero ( anche adesso).
Roberto era bravo a suonare e ballare, era educato e rispettoso delle regole; sua madre voleva che diventasse ragioniere.
Io feci di tutto per convincere i genitori  a lasciargli seguire le sue inclinazioni;  purtroppo la scuola media troppo spesso disattende al suo compito di valorizzare i talenti come la musica e il disegno, si bada solo alle materie " importanti".
Quell' anno avemmo una supplente di musica giovane e carina e allo spettacolo di fine d' anno, noi, la classe un po' reietta, stracciammo tutti con luno spettacolo di canzoni degli anni '60; tutta la scuola cantò con noi.
Spesso la mia collega di matematica e io abbiamo ricordato la pizza di fine anno con quella classe: mai ci sarà una serata più armoniosa, allegra e divertente di quella.
Roberto ce l' ha fatta; è un ballerino quotato, ha ballato con la Cuccarini, fa parte del corpo di ballo de " I migliori anni "; stasera l' ho visto ballare in prima fila con i suoi capelli rossi. Insegna anche danza, è stato ad " Amici ", ha tante ammiratrici.
A proposito, è riuscito anche a diventare ragioniere; bravo Roberto, bravi Christian, Alessio, Emanuela, Angela, Tania, Matteo e tutti gli altri, scusateci se non siamo stati all' altezza, avremmo dovuto fare di più anche se, per parte mia ci ho messo tutta la passione, voi siete stati più bravi!

domenica 25 settembre 2011

LA SCUOLA ED IO


Ci sono periodi, specie in primavera e autunno, almeno a me capita così, in cui soffro di una lieve depressione: è come se fossi chiusa in una bolla d' aria, sola e introiettata in me stessa.
Non sono periodi piacevoli, ma so che sono legati al cambio di stagione e mi limito ad aspettare che passino, così come all' improvviso vengono.
Stasera, per scacciare il senso di nulla, ho pensato alla scuola.
Dio mio quanto l' ho amata! Questo è il sesto anno da che sono in pensione e i ricordi cominciano a farsi meno netti, e allora, tiriamoli fuori!
L' odore di scuola, l' odore di classe: un misto di gesso, lavagna, libri, corpi sudati, scarpe da ginnastica...una nuova avventura ogni giorno.
Il giorno del compito in classe: tema o analisi logica : non so perchè era come il giorno del Cineforum, c' era un ' aria quasi di festa.
Come insegnante ero autorevole e nei momenti seri mettevo anche paura; quando interrogavo, ad esempio e tiravo fuori il sacchetto con i numeri corrispondenti ai nomi dei ragazzi sul registro: erano momenti seri quelli.
Il compito in classe era sì serio ma si svolgeva in un clima festaiolo: io preparavo con cura i temi su argomenti studiati nell' ultimo mese e consegnavo loro le fotocopie con i titoli.
Lasciavo, se si trattava di temi di letteratura, che usassero i testi; se un tema lo si sa fare il testo lo si sa usare, se non capisci niente puoi avere davanti qualunque cosa ed è inutile, come se non ci fosse.
Generalmente potevano anche fare merenda se ne avevano voglia; per quante classi abbia avuto ricordo sempre quest' atmosfera di eccitazione trattenuta, di aspettativa; a volte ci ritrovavamo a chiacchierare e a me prendevano i sensi di colpa pensando che potessero distrarsi; non è mai successo: i bravi facevano bei temi e quelli che non avevano studiato lavori meno belli.
A casa o anche nell' ora di pausa, avevo fretta di leggerli era come un lavoro a lungo preparato insieme e avevo voglia di vederne i risultati.
A volte i titoli riguardavano la loro sfera personale, il loro mondo di adolescenti; spesso mi hanno chiesto se potevano, dopo corretti, non portarli a casa, ma segnare solo il voto o il giudizio.
Ho sempre rispettato questo desiderio; spesso scrivevano per me pensieri, riflessioni che non avrebbero espresso se i genitori li avessero letti.
Non è mai capitato che ci fosse qualcosa che i genitori fossero tenuti a sapere, è solo che a un' insegnante che ti tratta da adulto doni una parte di te che ai genitori hai ancora pudore di mostrare; spesso figli di separati esprimevano il loro disagio e lo facevano con serenità sapendo che solo io avrei letto i loro lavori.
Il compito di analisi logica era un' impresa; generalmente davo dieci frasi, sempre più facili rispetto a quelle assegnate per casa; i compagni di banco avevano compiti diversi, quindi c' erano due compiti per classe divisi per file di difficoltà simili.
Sempre capitava che un" genio" sbagliasse un complemento: tam tam per tutta la classe e lo stesso errore, immancabilmente, ripetuto da tutti.
Alla fine del compito si scambiavano gli elaborati; io correggevo ad alta voce e ognuno sottolineava gli errori di un compagno: succedeva di tutto, diventavano severissimi e, contemporaneamente tenevano d' occhio il compagno o la compagna che correggeva il " loro" compito.
Alla fine stabilivamo uno schema: da 0 a 2 errori : ottimo; da 2 a 4 errori: distinto e così via.
Io riguardavo tutti i lavori e poi, in base allo schema mettevamo i voti e li trascrivevamo sul registro: era un lavoro massacrante ma dava loro il senso della correzione e della giustizia; cogestivamo insieme il tutto e nessuno si è mai lamentato per un voto in meno perchè aveva constatato di persona di averlo meritato.
Ci sono stati anni in cui, con la mia ottimizzazione del tempo tra interrogazioni, spiegazioni e correzioni, siamo riusciti a festeggiare tutti i compleanni che cadevano durante l' anno scolastico.
Avevamo un calendario, nell' armadio una provvista di piatti e bicchieri di carta, l'ora preposta era quella dopo l' intervallo; il festeggiato/a portava torta, patatine, coca e aranciata, io e le ragazze che si prestavano eravamo adibite alla divisione in porzioni e distribuzione del tutto.
In dieci minuti, un quarto d' ora la festa era finita ed eravamo pronti per passare alla storia o alla spiegazione di italiano.
E quanti libri letti e film visti e discussi insieme!!!
Il giorno del cineforum, ne ho parlato altrove, era giorno di gran festa; loro non sapevano quanto lavoro c' era dietro quell' apparente svago.
E quante poesie imparate a memoria! Il mio grande vantaggio era che io le conoscevo tutte: questo li stimolava a impararle perchè, dicevo loro che le poesie imparate a quell' età non si dimenticano o se rilette, tornano a mente subito.
Mi dicono che ora è tutto cambiato; le ore di lettere per classe sono diminuite e ogni insegnante ha tre classi invece di due o anche di più.
Con meno ore settimanali mi dicono i colleghi che non si può nè vedere un film, nè leggere insieme un libro: velocemente si riesce appena a svolgere il programma, le classi sono numerosissime e ci sono sempre meno insegnanti, cosa che il nostro governo aveva previsto da anni; meglio rifugiarsi nel ricordo del passato!

venerdì 23 settembre 2011

25 SETTEMBRE



Domenica l' ing e io festeggiamo 36 anni di matrimonio; aggiungiamoci i cinque precedenti, stiamo insieme da 41 anni.
Mi sembra tutto avvenuto ieri, basta allungare una mano e invece è passata una vita.
Ci sono segreti perchè un rapporto duri nel tempo? Non lo so.
Fortuna, prima di tutto,non so se ci siano degli ingredienti da poter suggerire per una  possibile, dico solo " possibile " riuscita di un rapporto.
Quante volte ho discusso e perfino litigato con amiche che dicevano " Guai se sapessi che mi tradisce ", oppure " Finchè non so niente bene, ma se so qualcosa è finita".
Io credo alla sacralità del matrimonio, ma veramente qualcuno può pensare che solo perchè si è giurato o firmato un pezzo di carta si abbia il diritto di " possedere " un' altra persona?
Ognuno appartiene a sè e la fiducia è una cavolata, perdonatemi.
L' importante è il progetto di vita; quello, forse e dico forse, non va mai perso di vista; ma per il resto si vive giorno per giorno prendendoci quello che l' altro, se ne ha voglia, ci regala spontaneamente.
Dimentichiamo anche che esistiamo noi soli: quante coppie ho visto morire per lento " soffocamento " reciproco.
Ci sono gli amici, il lavoro, una vita intera che va vissuta anche da "soli", rendendo l' altro partecipe, se si vuole, delle nostre esperienze.
Io sono stata educata alla libertà e fortunatamente non soffro fisicamente di gelosia, proprio non ci riesco.
Ci sono stati periodi bui, perchè ci sono, in cui vedi l' altro diventare estraneo, come insofferente ai legami: penso sia umano e normale, capita a tutti noi.
In quel momenti  ho provato una specie di solidarietà: pensavo a come ci fossimo legati presto, a quanto avessi ricevuto e qualche volta dato poco col mio essere così bisognosa di circondarmi di gente in confronto a lui che, spesso, avrebbe preferito vivere più momenti di coppia.
Ho avuto molte fortune; oltre la mancanza di gelosia, quella, in momenti di tristezza, di riuscire ad accantonare la pena e godere altri aspetti della vita: lavoro, amicizie, figli.
Ho un amico sacerdote che dice che il matrimonio ha le sue " curve".
Secondo me, in momenti difficili occorre anche costruire " l' interno dall' esterno", che non significa essere ipocriti, ma non chiedere o indagare troppo, conservare le belle abitudini come il pranzo domenicale, il rapporto della coppia con i figli, il decoro insomma.
Chi di noi è senza peccato, anche solo col pensiero, scagli la prima pietra.
La vita è o dovrebbe essere armonia; già ci sono i momenti di dolore reale come malattie o lutti; non sprechiamo il resto in un' ansia di possesso e controllo che finisce con l' esaurirci.
Sono stata fortunata a incontrare un uomo che ha sempre rispettato il "mio " desiderio di libertà, che  ha vissuto una vita piena e soddisfacente dal punto di vista lavorativo ed è sempre stato intelligente e una vera roccia per tutti noi nei momenti di necessità.
Quando, come ora, i figli non ci sono più in casa, e ci si diverte insieme e c' è complicità, amicizia, desiderio di stare da soli e chiacchierare di politica come di spettacolo, quando si accettano volentieri  i consigli dell' altro e  si pensa: " Ma sì. ha ragione, sbaglio quando faccio così", quando l' altro te lo fa capire non con l' irruenza e l' impeto che c' era da giovani ma con la pacatezza e l' amicizia di tanti anni condivisi,  quando si è felici di passare insieme una serata con gli amici perchè sono gli stessi amici di entrambi da una vita, allora si pensa: " Ne è valsa la pena, siamo qua e ci stiamo anche bene. In definitiva, abbiamo avuto fortuna! "

martedì 20 settembre 2011

DONNE E AMORE


Le donne della mia famiglia e l' amore. Mia nonna Giuseppina, quella milanese; ebbe un unico amore, suo marito Leonardo Grossi.
Lui era lucano, lei del Nord, quando si conobbero lui era a Napoli a studiare medicina, la sua era una famiglia di ricchi latifondisti.
La sposò, ma solo in chiesa , perchè non voleva che i suoi sapessero, almeno non ancora. Infiammato dai discorsi di D' Annunzio, dopo la laurea si arruolò negli alpini:; prima guerra in Libia, poi tra una figlia e l' altra o forse prima o dopo, non so, la sposò anche in Comune ( allora non c' era il matrimonio concordatario ), poi partì per la Grande Guerra.
Il 13 luglio del 1916 morì per lo scoppio di una granata mentre curava un ferito in tenda; nemmeno il corpo le fu restituito. Abbiamo il telegramma e la lettera in cui si comunica con frasi di circostanza " morto da eroe nell' adempimento del proprio dovere...".
Dicono che lei, all' inizio fosse come impazzita; poi andò in Lucania dove i parenti di lui appresero che era la sua vedova.
L' accolsero bene, erano dei gran signori; della bisnonna Vittoria si dice che al tramonto si mettesse al balcone e guardasse laggiù, lontano, dove le figlie maggiori erano andate spose a notabili di provincie vicine, eppure allora lontanissime: alcune delle sorelle più grandi mio nonno non le ricordava.
Lui aveva fatto testamento, da uomo geloso e innamorato: la moglie sarebbe stata tutrice delle figlie e amministratrice del loro patrimonio a patto che non fosse mai più sposata.
Non credo che lei lo abbia mai voluto, abbiamo trovato lettere che si scambiavano quando lui era al fronte che testimoniano un amore appassionato ed esclusivo: lei si mise a insegnare e gli sopravvisse per più di 60 anni.
Non ne parlava , poco con le figlie, mai con noi nipoti; forse erano passati tanti anni ed era diventato un ricordo vago anche se la nonna fu sempre molto lucida fino a oltre i 90 anni o semplicemente un ricordo personale simile a un sogno.
Le figli furono cresciute con grande libertà.
Mia mamma Virginia vinse il concorso per maestra a 18 anni nel '32 e andò a insegnare a Salento, un paese sopra Vallo della Lucania; allora ci si arrivava a dorso d' asino.
Abitava nella casa del podestà il quale aveva avuto una figlia dalla serva; la figlia era trattata da padrona e la madre da serva; la figlia abitava col padre al piano nobile, la madre in soffitta; la figlia le si rivolgeva chiamandola" zoccola".
C' erano altri giovani che erano là per lavoro; mamma raccontava sempre di un medico alle prime armi che, dopo aver visitato un paziente, tornava a casa, chiamava loro amiche e amici, tirava fuori i libri di medicina e li consultava quando era incerto sulla diagnosi.
Anche zia Vittoria vinse il concorso e andò in provincia di Avellino; là si fidanzò con un avvocato che poi morì di polmonite.
Poi ritornarono a Napoli e vissero per alcuni anni le due giovani e la mamma con una domestica in una casa all' ultimo piano da dove si vedeva il golfo.
Erano fasciste della prima ora; del resto come insegnanti dovevano fare il giuramento; io penso che lo restarono anche in tempo di democrazia; mamma con papà si spostò su posizioni democristiane e, col tempo, di sinistra, ma la nonna e zia Vittoria no, fingevano ma nel cuore rimasero fedeli.
Durante il fascismo il Principe di Napoli Umberto e la moglie Maria Josè abitavano, con la corte, a Palazzo Reale in Piazza del Plebiscito; mamma con la nonna e zia Vittoria andavano sempre quando nascevano i figli del futuro re; c' era folla, si applaudiva, tuonavano salve di cannone.
Durante la guerra affrontarono i bombardamenti, si correva nei rifugi anche due o tre volte per notte, per un periodo sfollarono a Cimitile, vicino Nola, dove una contadina li ospitò nel fienile in cambio di soldi.
Con loro c' erano degli amici tra cui un ufficiale che aveva con sè una cassetta con i soldi che il suo comandante gli aveva affidato ed era terrorizzato al pensiero di perderla.
Dopo la guerra mamma diventò amica di Elia Gambardella, una ragazza sua coetanea che la portava spesso a casa sua; era l' ottava di dodici tra figli e figlie e diceva a mia mamma " Vedrai che ora che tornano i miei fratelli dalla prigionia trovi anche tu un prigioniero del passato" scherzando sull' omonimo film e romanzo.
Tornò papà magro e patito dopo quattro anni di prigionia con gli inglesi e la prima sera faceva cenno alle spalle di mamma per chiedere: " Ma questa chi è?".
Poi la riaccompagnò a casa e tempo pochi mesi si sposarono; andarono in viaggio di nozze per una settimana a Ischia.
Papà era allegro e gli piacevano le donne; trattò sempre mamma come una regina; l' accompagnava in macchina dovunque; avevano tanti amici, condussero sempre una vita brillante: serate letterarie, gioco, ma non d' azzardo piuttosto il pokerino con gli amici e il cun-cain quando venne di moda.
Se mamma era gelosa non lo dimostrò mai; del resto questa era la regola d' oro che mi è stata inculcata e alla quale mi sono sempre attenuta: nulla e nessuno ci appartiene, non possiamo avanzare pretese, siamo liberi e lo sono gli altri, affrontare le emergenze con eleganza e leggerezza.
Mamma lo amò moltissimo: visse i mesi di malattia di papà con la morte nel cuore e il sorriso sulle labbra, e diede a noi un esempio di vita e di stile. ci sposammo tutte e due durante la malattia e nessuno, dopo, riusciva a credere che conoscessimo le sue reali condizioni; fu una prova di resistenza che illuse e mantenne sereno lui e che mise alla prova duramente noi.
Nel giro di tre mesi morì mia nonna, ci sposammo noi e poi la morte di papà; mamma si ritrovò sola con Maria la domestica, in una casa che fino a pochi mesi prima era piena di gente.
I primi mesi era come inebetita, poi grazie agli amici, a noi e ai nostri amici,  la casa e lei ripresero a vivere, nacque dopo pochi mesi Francesco, il primo nipote e lei ricominciò a sorridere.
Anni dopo mi diceva che la vita è ben strana, che lei pensava di non poter più vivere senza papà e, nonostante tutto, ci era riuscita.
Quando era ormai anziana, qua a Milano, la mattina io prima di andare a scuola la svegliavo per portarle il caffè.
Lei mi diceva che se un giorno non mi avesse risposto voleva dire che era andata a raggiungere papà: finì così come aveva sognato che accadesse.
Zia Vittoria, sorella di mamma, fu la mia amica e quella dei miei figli, la nostra compagna di giochi e di delizie: da ragazza viaggiavo con lei, andavo a teatro con lei,  poi anni dopo  uscivamo insieme a portare a spasso i bambini.
Non era socievole come mamma, ma aveva un modo di fare fanciullesco con coloro che amava che la rendeva irresistibile agli occhi di noi nipoti.
Si innamorò di un collega archeologo che aveva 11 anni meno di lei e lo sposò nel 1954: quel giorno mia nonna aveva la faccia di una che va a un funerale.
I primi tempi abitarono con lei ( che era tremenda); poi, piuttosto che rischiare di rovinare il matrimonio andarono a vivere per conto loro; nel ' 62 presero casa  nel nostro palazzo al Corso Vittorio Emanuele e questo è uno dei motivi per cui , tra gli amici di mamma e papà, zia Vittoria al piano di sotto, la nonna in casa e le domestiche, siamo cresciute, noi, e i nostri figli dopo di noi in un clima allegro e sempre " affollato".
Il marito di zia Vittoria non ebbe una grande accoglienza in famiglia; anche lui era di carattere strano come parecchi studiosi;  a volte esageratamente allegro, altre immerso nei suoi scritti.
Fra loro due ci fu una grande passione alternata a periodi in cui litigavano e comunicavano tra loro tramite biglietti.
Per tutta la vita lui si chiese chi lo avrebbe accudito dopo la morte di lei;  finì che lui morì all' improvviso un pomeriggio davanti alla televisione, senza nemmeno il tempo di dire:"Ah".
 Aveva 71 anni e lei 82; ha vissuto fino a 97 anni e con quel suo modo di fare un po' schivo e scherzoso, quasi da ragazzina, mi ha sempre raccontato che l' ultima notte prima della morte di lui avevano fatto all' amore con grande passione, avevano chiuso alla grande, insomma.

venerdì 16 settembre 2011

IL DIVERTIMENTO " IMPEGNATO "


Il mio amico Sandro  scrive delle belle osservazioni rievocative sotto le mie note; io sono logorroica e grafomane, lascio da parte quello che sto scrivendo sul mio blog e mi lancio nei ricordi; prendetevela con lui.
E' vero, gli anni dal '66 in poi furono quelli dell' Università e del divertimento alla grande: anni di  follie che allora ci sembrarono trasgressive e che erano, tutto sommato, innocenti.
Nel frattempo arrivò il '68 e, accanto al divertimento ecco l' impegno,
Del '68 all' Università mi resta un ricordo preciso: una mattina intera a votare una mozione proposta dal collega Troia ( nome che era già un programma). Si trattava, in breve, di come si dovessero votare le mozioni: se per alzata di mano o se ci si doveva spostare sulla destra o sulla sinistra dello Scalone della Minerva a seconda se si era favorevoli o contrari.
E' chiaro che il  '68 fu molto più di questo ma qualche anno fa vedendo il bel film " Mio fratello è figlio unico " ho ritrovato anche quel tipo di atmosfera.
C' era poi il Cineforum, tutti ci andavamo.
A Napoli il principale e più bello era tenuto da un gesuita: Padre Casolaro. Era assolutamente laico e frequentatissimo.
Vedemmo tutto Bergman, vedemmo tutto Bunuel (ricordate " La Via Lattea " e " Nazarin"?)
Parlo per paradossi ma, generalmente, il film era impegnato e importante quanto meno risultava comprensibile:  bisognava soffrire!
Ricordo un film ungherese o polacco in lingua originale con sottotitoli bianchi su sfondo innevato; ogni tanto un albero, qua e là, ci permetteva di leggere qualche parola.
Scoprimmo, è vero, Roman Polanski ( Cul de sac ) e film meravigliosi come " Elvira Maddigan" e " Messaggero d' amore " di Losey, opere che la televisione non passa mai e che mi regalarono il gusto del cinema che ho cercato di trasmettere con il mio Cineforum ( più allegro ) per tanti anni ai ragazzi a scuola.
Nello stesso periodo cominciarono le serate di autocoscienza: si parlava, si leggeva, si dividevano le persone in" quelli di destra " e " quelli di sinistra" tramite divisioni rigide che, in massima parte oggi ci accorgiamo essere frutto di stereotipi.
Noi andavamo al Pontano, un istituto religioso tenuto dai gesuiti e là, una volta a settimana leggevamo e discutevamo gli scritti di Marx: eravamo Vittorio, io e mia sorella, il suo fidanzato di allora e un seminarista di Bologna che oggi è un gesuita famoso. Vive in una piccola comunità in Calabria, scrive meravigliosi libri, si chiama Pino Stancari; mi piacerebbe rivederlo e ricordare quegli anni.
Dal punto di vista cinematografico ci sdoganò, che Dio lo benedica, Woody Allen e il suo " Dittatore delle stato libero di Bananas ", il primo film che arrivò in Italia anche se non il primo in ordine cronologico.
Lo vedemmo il un cinema d' essai che si chiamava " No" e scoprimmo che si può ridere da morire e vedere, nello stesso tempo, film intelligenti e " impegnati".

DOVE BALLAVAMO...


Un mio amico ieri ha postato una canzone degli anni d' oro: 1967 per essere precisi, con un commento che era tutto un programma e portava con sè mari di ricordi.
Prima c' erano i " balletti", le feste in casa: mangiadischi, lo sfigato di turno che li cambiava ( i dischi ), buffet allestito nel salotto bello, madre- padrona di casa che faceva capolino nemmeno troppo discretamente.
Poi crescemmo e all' Università o già all' ultimo anno del liceo si andava nei " locali".
Erano dancing, nigth- club, poi, ma molto più avanti, si cominciarono a chiamare discoteche ma non come quelle di oggi.
Nei night-club veri e propri non credo che andassimo: costavano ed era roba di lusso per gente più grande.
Nei dancing, generalmente, la musica era dal vivo: si bevevano i primi alcolici; a me piaceva un cocktail che si chiamava Alexander; mi faceva sentire adulta e raffinata: cognac, crema di cacao, crema di latte, mi sembra di sentirne ancora il sapore.
In genere si andava in comitiva, si ballava lo shake e poi, i meravigliosi lenti.
 E quando ti invitava un lui che ti piaceva, il lento era solo un pretesto: come aveva ragione il mio amico con la sua frase!!!
Alcuni locali avevano musica nel sottofondo: erano dischi ma non ricordo che le chiamassimo discoteche, sempre " locali ".
Mia madre ( e io godevo di eccezionale libertà ), per un certo periodo diffidava di questi posti a meno che non vi si svolgessero MAK PI 100 ( che si dovrebbe scrivere col P greco ) quelle feste  che ogni classe organizzava l' ultimo anno del liceo.
Sono state le uniche bugie della mia vita: andavo a ballare il sabato sera e inventavo inesistenti feste scolastiche; poi non ci fu più bisogno di mentire, si abituarono.
Ne ricordo due di locali: " I Damiani " e lo " Stereo club".
Il primo era un vero e proprio dancing con musica dal vivo: era elegante, forse esiste ancora chissà!
Si trovava fuori Napoli: quando io e la mia amica Paola eravamo senza maschi passabili  la nostra ultima spiaggia erano due ragazzi, tali Gino e Antonio.
Col senno di poi credo fossero gay; li ho sempre visti insieme, non avevano ragazze fisse, erano disponibili, cavallereschi e gentili, non tentavano avances.
Ridevano e facevano battute alla Jack Lemmon ma erano carini, simpatici e per un sabato di ripiego, passabili.
Non ricordo quando scomparvero dalla nostra vita e  ignoro che fine abbiano fatto.
Generalmente si andava in molti con gente conosciuta a feste mescolata ad amici cari; c' era spesso il tipo nuovo che attraeva e là il " lento " assolveva meravigliosamente alla funzione per la quale, credo, era stato creato e rodato.
Lo " Stereo Club " era in centro, al Parco Margherita, una via elegante; vi facemmo la nostra festa di fine liceo.
Questo locale lo collego ai cadetti dell' Accademia aeronautica di Pozzuoli; un periodo facemmo amicizia con un gruppo di AUC ( allievi ufficiali di complemento ), facevano il servizio militare.
Andavamo in questo locale tutti i sabati: uno dei ragazzi mi fece una corte e usammo i " lenti " per il loro scopo.
Alla fine partì con grandi promesse di lettere e appuntamenti, poi seppi che a Roma aveva la fidanzata; non soffrii per niente, ci eravamo romanticamente usati a vicenda, fortunatamente, dati i tempi, senza danni.
Che anni, ragazzi, che serate godute, gustate, ballate, bevute,  vissute, assaporate.
Che senso meraviglioso di libertà e di promesse d' amore gli anni '66, '67 e seguenti!
Ci sentivamo adulti e tremendamente sofisticati ma penso, almeno per quanto mi riguarda, che fossimo teneramente e irrimediabilmente innocenti!

martedì 13 settembre 2011

I MIEI SUOCERI




Mia suocera era di famiglia signorile; ebbe una gioventù sfortunata: il padre, dirigente dell' Intendenza di Finanza morì all' improvviso come anche una sorella ancora ragazza.
Lei e la madre rimasero, in tempo di guerra, in gravi ristrettezze, lei mise a frutto il suo diploma di economia domestica, poi poco dopo il fidanzamento con mio suocero si ammalò. Guarì presto, ma sua mamma  rimase ad abitare con loro e Vittorio, il primo nato, fu praticamente cresciuto dalla nonna per evitare eccessive fatiche alla madre.
Poi si rimise e io la ricordo energica e combattiva; non aveva un carattere facile e spesso avemmo piccoli scontri; era abbastanza dura con i figli, apparteneva a quella generazione in cui si diceva " I figli si baciano solo quando dormono" e qualche volta mi accusava di essere troppo espansiva con i miei; al tempo stesso si dispiaceva se i suoi lo erano poco con lei.
Era di una grande generosità: a Vico c'è il capo-bagnino che ricorda ancora questa signora che d' estate veniva da Napoli e riempiva lui e i fratelli, poveri,  di caramelle e dolciumi.
Sposando mio suocero entrò in una famiglia dalla vita brillante, per nascita e posizione e accettò anche situazioni che oggi le ascrivo a merito: abitò per quasi tutta la vita matrimoniale sullo stesso pianerottolo della famiglia di lui, con un suocero abbastanza dispotico, ebbe sempre affetto e considerazione per tutti loro.
Organizzò, lei, unica nuora, nonostante ci fossero due cognate, una festa memorabile a casa sua per i 50 anni di matrimonio dei suoceri.
Mi accolse con gioia appena fidanzata, anche se spesso aveva battute mordaci.
Quando Vittorio e io decidemmo di sposarci, lui appena laureato e io con vaghe promesse di supplenze,  tentò di opporsi: si piegò di fronte alla cocciutaggine del figlio e fu meravigliosa, prima durante e dopo il matrimonio.
Passavamo sempre le festività insieme con le due famiglie riunite, prima alternandoci tra le due case, poi, negli ultimi anni, a casa nostra: eravamo genitori figli, fidanzate, zii e zie, fino a più di venti persone.
Fu una nonna prima stupita ( io prendevo la pillola e non arrivando figli forse pensava che non potessi averne ) poi orgogliosa e sempre all' altezza.
Combattè per dieci anni un' alterna lotta con un tumore al seno, tra periodi buoni e altri meno, dimostrando sempre grande coraggio anche se a volte era depressa.
Quando Vittorio accettò il posto a Milano partì a settembre; io e i bambini lo avremmo raggiunto alla fine dell' anno scolastico; lei mi pregò di non accennare MAI alla nostra partenza, come se non dovesse avvenire.
Morì un mese prima, si spense nel sonno e io ho spesso pensato che si sia lasciata morire per non vivere il momento del distacco definitivo.
Da anni mi aveva chiesto di occuparmi io di tutto, mi aveva indicato il posto dove avrei trovato quello che voleva indossare.
L' ho apprezzata molto nel tempo: il suo senso pratico, la sua saggezza in alcune frasi che ripeteva  come: " Chi vuole vada, chi non vuole mandi".
Di mio suocero che posso dire: è stato il mio unico padre per 25 anni, papà morì tre settimane dopo il nostro matrimonio.
Era un uomo colto, mite dalle furie improvvise e brevi; tutti lo temevano in quei momenti, lui che non avrebbe fatto male a una mosca.
Il padre era magistrato e diventò primo presidente di Corte d' Appello, lui si laureò in Economia e Commercio e fece una grande carriera alla Previdenza sociale.
Ebbe, oltre alla moglie, una sola passione: il calcio e, nella fattispecie, il NAPOLI.
Riusciva a creare paralleli tra il calcio e i maggiori eventi familiari: Vittorio fu concepito (pare ) a Torino in viaggio di nozze la notte del disastro di Superga ( io e i figli in quella data gli facciamo sempre gli auguri ) e nacque in occasione di Napoli - Alessandria.
Per Stefano non fummo fortunati: nacque di giovedì, ma ci rifacemmo con Paolo che però, purtroppo capitò con un Sampdoria - Napoli 1- 0.
Aspettò per una vita lo scudetto del Napoli e non riuscì a goderlo perchè la moglie era morta da pochi giorni: lo scudetto di due anni dopo lo abbiamo sempre chiamato" lo scudetto di papà ".
Fu un padre, un suocero e un nonno meraviglioso; d' estate veniva con noi a Vico e insieme a mia mamma a cui era legato da grande affetto e mia zia facevano un trio formidabile; non si riusciva a pensare a loro come ad anziani; erano vivi, colti, si interessavano di politica, si divertivano con noi,  i nostri amici e quelli dei ragazzi.
Aveva un gatto che a Napoli girava indisturbato per casa mentre a Vico veniva tenuto chiusi in camera per paura che scappasse: gli faceva fare l' ora d' aria giornaliera, seguendolo passo passo.
Ebbe uno dei primi cellulari: lo teneva sempre in carica, lo prestava a chiunque e il pomeriggio si divertiva, sulla terrazza a Vico a fare telefonate alle sorelle raccontando quello che stavamo facendo.
Le sue frasi e i suoi modi di dire sono rimasti nel nostro lessico, credo che tutti noi lo ricorderemo per sempre.
Morì discretamente e senza dar fastidio da gran signore come sempre aveva vissuto. Era luglio del '99 e dopo pochi giorni, noi da Milano e lui da Napoli saremmo partiti per Vico.
Ci telefonò una sera, dicendo che era un po' stanco, sarebbe andato a riposare. Finì là, fra il telefono e la sua camera da letto, senza accorgersene quasi.
A volte, quando vedo Paolo lavorare a Sky Sport, vorrei che ci fosse: sarebbe felicissimo e lo racconterebbe a tutti; ma sono sicura che da qualche parte c'è e lo sa e sorride con tenerezza e orgoglio.

lunedì 12 settembre 2011

PARLIAMO DI DISLESSIA


Stamattina girava un post che io ho messo sul mio status che ricorda che questa è la settimana dell' autismo e della dislessia.
Oggi di dislessia si parla molto e sono sempre più numerosi gli alunni dislessici che arrivano alla scuola media; lo stato, come per gli extracomunitari e qualunque problema di apprendimento, latita.
Nell' ultima classe che ho avuto c' era un alunno dislessico che, opportunamente seguito PRIVATAMENTE a spese della famiglia e con tutta la collaborazione che noi professori gli abbiamo dato, ha proseguito gli studi frequentando, senza problemi il liceo artistico.
Il primo caso di dislessia che ho incontrato, e che grazie alla disperata volontà  mia e della famiglia riuscimmo a risolvere, fu a Corsico all' inizio degli anni '90.
Si trattava di un ragazzo delizioso, non ci voleva molto a capire che era intelligentissimo; per i colleghi era un deficiente perchè non scriveva bene e non apprendeva, secondo loro, facilmente.
Il quartiere era di trincea, famiglia operaia, padre in gamba, genitori collaborativi.
A spese loro lo portammo, i genitori e io, da una psicologa del linguaggio che fece la diagnosi di dislessia; capì che la famiglia non poteva permettersi un' assistenza privata e ci insegnò degli esercizi, semplici, di lettura e di grafia che il ragazzo avrebbe potuto svolgere con l' aiuto mio e della famiglia.
Oggi quel ragazzo ha 35 anni:  ha avuto tanti dolori nella vita tra cui quello di perdere padre e madre nel giro di due giorni;  ha avuto anche la fortuna di avere degli zii meravigliosi che hanno adottato lui e le sue sorelle.
Oggi ha un buon lavoro, vive in Toscana, è felicemente sposato, è padre, ha conseguito un titolo di scuola superiore; è rimasto intelligente, lo era già allora ma pochi se ne accorgevano.

domenica 11 settembre 2011

COMINCIA IL CAMPIONATO


L' economia va  a rotoli, la manovra cambia ogni giorno, Berlusconi resterà o se ne andrà?
Importa relativamente...COMINCIA IL CAMPIONATO DI CALCIO.
Qua, in famiglia la parte maschile è malata grave da generazioni: tutti tifosi del Napoli. Vittorio ha visto le prime partite a tre anni con suo padre che portava allo stadio una seggiolina pieghevole per lui.
Lo stesso mio suocero, uomo raffinato e mite, durante una partita vista in salotto, essendosi rotta una gamba della sedia fu visto brandire il pezzo di legno e minacciare la sedia di morte.
Quando siamo venuti a Milano i figli avevano rispettivamente 9 e 4 anni e mezzo: il Napoli è rimasto sempre, calcisticamente parlando, nei loro cuori.
Ricordo una notte di Pasqua che passarono in treno per assistere a un Sampdoria - Napoli; hanno seguito la squadra nella serie C e nella B, sono andati a Barcellona e a Liverpool.
Quando vivevano qua, se per caso il Napoli segnava mentre io ero uscita un momento dal salotto, guai a rientrare! Ero fuori, c' era stato il gol, portavo sfiga.
Ora siamo l' ing e io, gli anni sono passati e,  al tifo si è aggiunta una generica simpatia per manifestazioni che, per noi " diversamente giovani " significano anche ricordi.
Metti l' altra sera: inaugurazione del nuovo stadio a Torino: c'era Zoff che è stato un pezzo del Napoli e dell' Italia, c' era il " barone " Causio; e chi può dimenticare quella partita a scopone con Bearzot e Pertini nell' aereo che riportava la nostra nazionale campione del mondo in Italia nell' 82 ? (Io scesi in piazza a Vico a festeggiare con il pancione di Paolo ), Stefano durante la finale si addormentò in braccio a me e io pensai a quante volte gli avrei parlato di quella serata, in seguito e a quanto, da grande, avrebbe rimpianto di essersi addormentato.
Fortunatamente ha visto il 2006 e si è rifatto; ma quelli della mia generazione hanno nel cuore ( eravamo ragazzi ) la lunghissima, splendida, irripetibile notte di Italia - Germania 4 a 3.
Allora l' altra sera con l' ing abbiamo visto con un pizzico di commozione la sfilata di ex a Torino.
A telefono ne ho parlato con Stefano chiedendogli se l' avesse vista; amici miei il mio figlio maggiore mi ha " cazziata " di brutto! E pensare che, solitamente, è persona mite, intelligente, bocconiano, ora anche padre.
Mi ha detto che a inizio anno era meglio chiarire alcune cose: mai parlare di altre squadre all' infuori di Lei; mai mostrare cenni di cedimento o simpatia come per esempio dire " Che simpatico Reja " o " Che signore Moratti";  infine anche di Lei parlare solo quando lui ne avesse voglia: questo il regolamento per il campionato in corso.
Ieri l Napoli ha vinto e abbiamo festeggiato l' ing e io: vuoi che proprio ieri sera Stefano  non avesse voglia di parlarne? Paolo, a telefono, si è mostrato più amabile.
Signori, si ricomincia a soffrire!

domenica 4 settembre 2011

LE FOTO DELL' ESTATE


Oggi Vittorio ha perso un sacco di tempo a computer per scegliere e postare le foto dei nostri giorni di vacanza: lui, io, gli amici, mia sorella, il panorama e la spiaggia visti dalla nostra camera in albergo.
Alcune immagini sono belle, alcune un po' sfocate ( immagino i commenti degli amici fotografi ), ma ad ognuna è legato un ricordo, una giornata bella di sole e di mare vissuta con gli amici cari, con i parenti: cene, serate passate a ricordare, ridere e mangiare, la sera del mio compleanno che trascorro là da tanti anni che mi sembra quasi che il farlo" porti bene".
Qua a Milano diluviava e lui con tanta pazienza e affetto sceglieva, scartava, postava; poi insieme le abbiamo riviste e ne abbiamo fatto un album.
E' una delle tante delicatezze che ha per me, con le quali mi dimostra il suo affetto; mi fa sentire sicura, protetta, coccolata; dopo più di 40 anni passati insieme ci sono ancora infiniti modi per dirsi " Ti voglio bene"; noi ce lo diciamo anche così: grazie ing!

E ORA PARLIAMO DI LEI


Quando nacque io avevo quasi cinque anni; guardavo il cielo e aspettavo di vedere la cicogna che mi portava questa sorellina; allora si partoriva in casa e mi avevano mandato dalla nonna.
Poi papà telefonò, tornai e vidi questo fagottino piccolo e rosso; non ho memoria dei primi anni, lei sì. Ho letto su una rivista un articolo scritto da una psicologa che spiega che il rapporto tra sorelle è particolare, non ha niente a che vedere con la gelosia tra fratelli o tra fratello e sorella, ma riguarda il rapporto con la madre ( anzi l' articolo parlava di utero materno ); credo che significhi che la madre deve gestire e distribuire l' affetto in modo tale da non creare conflitti.
Fu subito chiaro più a lei che a me che mia madre preferisse me, perchè non lo so, così come mio padre, simile a me per carattere e impulsività ( litigavamo sempre e altrettanto velocemente facevamo pace ), la comprese e la coccolò molto.
Entrambe ricordiamo l' allegria, la libertà. l' andirivieni di ospiti che caratterizzavano casa nostra; io ricordo tanto affetto, lei meno; non riuscì mai a rapportarsi completamente con mamma.
Dopo la sua morte abbiamo chiarito tanti sentimenti inespressi; Pina mi ha mostrato una foto che ci ritrae tutte e tre: lei contempla mamma mentre questa guarda me con orgoglio.
E' uno scatto e io di questa preferenza ho preso coscienza solo da adulta, ma per Pina fu importante.
Io ero una sorella maggiore ingombrante, così decisa, brillante negli studi, andavo avanti come un panzer; da ragazze andavamo d' accordo, anche in periodi di conflitto ci siamo amate e confidate tutto.
Lei elaborò presto le strategie dei figli minori per averla vinta sui fratelli maggiori: mezzi necessari di sopravvivenza.
Ha vissuto meno di me la vita familiare e credo abbia perso molto, ma si è creata presto un suo mondo di amicizie e anche di fuga dalla famiglia che le stava, a volte, stretta.
Nonostante io fossi la " sorella brava ", lei esplose all' Università: laurea in filosofia in tre anni e una sessione con tutti trenta e lode e solo un venticinque in latino.
Ha poi sempre insegnato lettere con impegno e successo.
Era molto corteggiata e di questo io sono stata sempre orgogliosa; aveva e ha  ancora un fascino non legato alla bellezza quanto alla grazia innata dei modi.
Ebbe un fidanzato storico che lasciò dopo cinque anni: lui ci mise dieci anni a farsene una ragione e per noi di famiglia fu un lutto tranne che per papà che, come sempre, l' appoggiò.
Abbiamo sposato due uomini con lo stesso nome: Vittorio così li distinguiamo chiamandoli sempre per nome e cognome anche se l' ing è stato per lei come per tutti noi fratello, sostegno e roccia a cui appoggiarsi in ogni momento.
E' bello che lei ami i miei figli e io i suoi come se fossero di entrambe e questo ha agevolato l' affetto tra cugini che sono ancora adesso come quattro fratelli.
Poco prima che noi partissimo per Milano lei si trasferì stabilmente a Vico Equense; ora, in pensione, nonostante abbia la figlia sposata e il nipotino vicini, si sente pronta per nuovi orizzonti e forse prenderà casa vicino Benevento; mia madre,  come lei, aveva un che di nomade: non a caso a 72 anni con molta maggiore levità di me, si trasferì con noi a Milano.
Ha affrontato e vinto la battaglia con il cancro con una leggerezza che ammiro ancora e sopporta con altrettanta leggerezza delle noiose conseguenze che ne sono derivate.
Ci sentiamo più volte al giorno anche se lontane; quando io vado a Vico d' estate non ci vediamo molto,  ma ci conforta il saperci vicine.
L' ultimo giorno mi ha dedicato un' intera giornata ed è venuta in spiaggia con noi; da ragazze, quando terminavano le vacanze avevamo un rito: l' ultimo giorno andavamo insieme già alla Cattedrale su una terrazza panoramica a dire addio all' estate.
Da quando lei vive là, il momento dei saluti, quello cerchiamo di evitarlo: ci fa troppo male; alla fine della giornata trascorsa insieme a mare, io sono salita in camera e ho detto che sarei tornata dopo poco; nel frattempo il marito è venuta a prenderla.
Ancora una volta, e lo abbiamo commentato a telefono, ci siamo risparmiate la commozione dell' abbraccio finale.
Avere un fratello o una sorella è importane: ci sono sentimenti e momenti della vita che si possono condividere solo con loro: la morte dei genitori, la nascita dei figli, è come avere uno specchio dentro cui riflettersi; nonostante i momenti di fatica, poter contare l'una sull' altra è bello.