sabato 30 marzo 2013

MIO PADRE, L' AMICO CHE AVEVA FATTO UN VOTO, POMPEI E VARIE...


Domani è Pasqua ( anche se sembra Natale), fb è pazzo/a più che mai, la tv si vede a tratti ( l'ing è a telefono con quello di Sky che spiega cosa fare), il pc fa le strisce e Gennaro Esposito ha postato una delle sue bellissime foto.
Visto che sono tante le cose " storte " faccio " sbariare" un poco la testa e racconto ricordi sparsi legati a Pompei e alla Basilica ( religiosi o quasi...).
Ho detto altrove che noi trascorrevamo là il 19 marzo giorno dell' onomastico di mia nonna milanese.
Partivamo presto da Napoli, appena arrivati si andava a Messa poi passeggiata e infine ristorante offerto dalla nonna.
Erano giorni che si ripetevano uguali di anno in anno eppure li ricordo con gioia.
Abbiamo una quantità di foto di noi tutti con me e mia sorella via via sempre più grandicelle, zia Vittoria, mamma e papà, la nonna e zia Checchina che era una sua compagna di scuola e amica " storica" e le domestiche, quella nostra e quella della nonna.
Mi colpiva molto, nella Basilica, la quantità di gente che per " sciogliere" un voto o per chiedere una grazia, percorreva tutta la navata in ginocchio.
Pensavo che dovesse essere faticoso e anche forse un atto di umiltà anche se erano tante le persone che lo facevano che non destavano particolare curiosità.
Un nostro vicino di casa, per questioni legate al lavoro, era stato trasferito al nord, forse a Genova.
Aveva fatto voto, se fosse riuscito a ritornare, di andare a piedi da Napoli a Pompei e quel " bello spirito " di mio padre si era subito offerto di accompagnarlo.
Lui, che non faceva un passo a piedi, che ebbe per anni l' autista, che prese la patente a 50 anni e credo che sia stato l' unica persona al mondo a obbligare quelli della Motorizzazione a fargli sostenere l' esame sulla sua automobile!
Non ricordo bene come andarono le cose: sono quasi certa che all' inizio l' amico di papà fosse a piedi e che lui lo seguisse con la macchina ( non in autostrada, sulla statale).
A metà strada papà convinse l' altro che ci potevano arrivare anche in macchina che, tanto, il più era fatto e la Madonna non si arrabbiava!

domenica 24 marzo 2013

VOLTI E FIGURE NEL TEMPO

Piazzetta Montesanto è uno slargo tra stradette nel cuore di Napoli.
Da una parte c'è via Tarsia che porta a Piazza Dante.
Dall' altra la Funicolare di Montesanto che sale al Corso Vittorio Emanuele e poi al Vomero.
Segue la stazione della Cumana e poi lo " slargo " si restringe nella Pignasecca, via piccolina, piena di negozi e bancarelle.
A Natale si fa lo " slalom" tra grossi catini pieni di capitoni guizzanti, qua e là bancarelle piene di frutta ma anche di oggetti vari: vestiti, soprammobili, cd, stereo.
Nella Piazzetta Montesanto, fin dove arriva la mia memoria c' è sempre stata questa donna con il suo banchetto.
Uguale nel tempo, almeno così appare a me anche se quaranta e passa anni fa, quando dal Corso scendevo con la funicolare e percorrevo quella strada per andare all' Università, doveva per forza essere più giovane.
Erano tre sorelle ( o forse due ma io ne ricordo tre) uguali con questi volti simili,segnati dal tempo e dalla durezza.
Volti impenetrabili che facevano parte dell' ambiente quasi come la statua detta " Corpo di Napoli".
Mi sembra che allora vendessero sigarette di contrabbando.
Forse lei era la più giovane ed è sopravvissuta riciclandosi in "bananiera".
Chiunque sia passato in quelle strada negli ultimi quarant' anni l' avrà vista immota e inaccessibile, uno dei volti " storici " di una Napoli che c'è ancora.
E vederla mi consola.

venerdì 22 marzo 2013

PERCHE' LE FOTO DI FERDINANDO KAISER PARLANO AL MIO CUORE.



Ferdinando Kaiser è un bravo fotografo.
Non faccio graduatorie, per carità: tra gli amici fotografi ce ne sono di altrettanto bravi e anche di più.
Vorrei solo spiegare perchè le sue foto mi commuovono.
Questo album, ad esempio: "'Mmiez' 'a via (On the road)
Disagi e strani incontri, bella e brutta gente per le strade di Napoli "
C'è tutta la Napoli che io ricordo che è poi quella di sempre: lacera e sporca come una vecchia bagascia ma al tempo stesso altera, eterna e indomabile come una regina.
Ci sono i vicoli, i ragazzi che giocano a pallone " che pazzeano 'o pallone", poveri e ambulanti, vicoli e " vicarielle", edicole e negozietti, ambulanti che si inventano la vita giorno dopo giorno.
Facce scarne e segnate, eppure sorridenti.
La stessa Napoli che Eleonora Pimentel Fonseca vide alla fine del '700, che Matilde Serao descrisse ne " Il ventre di Napoli " il secolo dopo, quella che Erri De Luca chiama "esagerata ", quella che tutti noi " napolidi" sparsi nel mondo come " molari strappati dal loro alveo" continuiamo a portare nel cuore.
Ci sono panni stessi e bassi " e vascie " e bancarelle che sono negozi e negozietti che compaiono dietro un angolo ed edicole votive e targhe di strade e palazzi in cui nacquero e vissero personaggi famosi.
Anche tanti extracomunitari neri; ma del resto Napoli è stata bizantina, francese, spagnola.
Ha una stradetta che si chiama" Rua catalana " e nel dopoguerra aveva scugnizzi napoletani con la faccia nera quelli che " è nato nu criaturo è nato niro, e 'a mamma 'o chiamma Ciro, sissignore, 'o chiamma Ciro."
E' una città irripetibile e unica, vecchia come il mondo, sempre identica a se stessa e sempre piena di sorprese, culla di grandi civiltà e a volte tacciata di immobilismo.
E' Napoli e i suoi volti noti e antichi come il tempo e saggi di una saggezza che altrove cercheresti invano perchè è frutto di ironia e rassegnazione, di inventiva e spirito di adattamento.
E Ferdinando, secondo me, la fotografa con il cuore perchè a me arriva diritto là!

giovedì 21 marzo 2013

RICORDO

Mio padre si chiamava Corrado; sua madre, Eva Barendson era di origine francese, suo padre, Tito, fu un grande avvocato negli anni 30 e 40. 
Papà era del 1910; quando scoppiò la seconda guerra Mondiale era a Bengasi, allora colonia italiana.
Fu fatto prigioniero dagli inglesi e la prigionia durò quanto la guerra, alla fine si finse muto e, dopo sette mesi, fu rimandato a casa.
Era il settimo di dodici figli, famiglia bene della Napoli bene di una volta; al ritorno dalla guerra, in casa di suo padre incontrò mamma, amica di una delle sue sorelle si sposarono dopo pochi mesi e fecero il viaggio di nozze a Ischia.
A papà piacevano le donne, era galante, di quella signorilità naturale, non ostentata, da baciamano appena accennato.
Non so se tradì mai mamma lei diceva che bastava non saperlo, era allegro, elegante, anche un po' vanitoso.
Da piccole, ci sculacciava se commettevamo birichinate, ma era incapace di tenere il broncio, un attimo e ti abbracciava e rideva.
Ci diede molto: una vita di benessere, lavorando tanto, la capacità di divertirci, la gioia di vedere il meglio della vita e goderselo.
Regalò a noi figlie la libertà, dono prezioso, quando nessuna ragazza, negli anni 60 e nei primi anni 70 era libera; ci insegnò che non è del giudizio degli altri quello di cui dobbiamo aver timore, ci insegnò a non essere gelose, di nessuno, perchè su nessuno possiamo vantare diritti di proprietà coniugi e figli inclusi; anzi diceva che l' affetto dei figli verso i genitori non è scontato, sono questi ultimi che devono guadagnarselo, altrimenti, diceva, il quarto comandamento non avrebbe ragione di esserci.
Aveva tanti amici quando morì, poche settimane dopo il mio matrimonio, dopo una lunga malattia e molte sofferenze, ai funerali comparve un sacco di gente sconosciuta, bottegai, un ciabattino, persone che lui, senza dirlo a casa aveva aiutato, era andato a visitare all' ospedale.
Amava giocare a carte, avevano amici e tavolini fissi lui e mamma ma non giocava per soldi nè con poste alte, era soprattutto per stare insieme.
Un amico di fb e lo ringrazio, mi ha detto che io so aprire i rubinetti del cuore e dire le cose che ho dentro, questo è una dei doni che mi ha lasciato mio padre.
Avevamo lo stesso carattere e litigavamo spesso, temporali di un momento che si concludevano ridendo.
Ci ha insegnato a mostrare agli altri, se possibile, un volto sorridente, a nascondere, se possibile, le pene e i dolori, mettendoli da parte e godendo il resto, ne ho fatto una filosofia di vita e ha giovato a me e a chi mi era intorno marito e figli inclusi.
Amava circondarsi di persone, a cena, chiunque fosse a casa, veniva invitato a trattenersi; non era una persona senza difetti, anzi, ma era molto amato dagli amici per la sua allegria, il suo affrontare sempre la vita con leggerezza.
Mamma era quella che dettava le regole in materia di studio perchè sulla libertà anche lei era d' accordo, papà era quello che di notte veniva a darti lo sciroppo se avevi la tosse, era quello a cui potevi raccontare le sofferenze d' amore; siamo sempre state sicure, mia sorella e io che avremmo potuto confidargli qualunque cosa e ci avrebbe aiutate, mai giudicate, conosceva le debolezze umane e ci insegnò, al massimo grado, la virtù della tolleranza.
Gli amici, dopo anni dalla morte, ne ricordavano gli scherzi, le battute, gli episodi comici che sapeva raccontare così bene, abbiamo avuto molto amore di riflesso, grazie a lui.
Voglio ricordare un' ultima cosa che credo riassuma come fosse e come, grazie a lui, siamo noi oggi.
Nel 73, io e mia sorella, con i nostri ragazzi ( impensabile per quell' epoca), andammo d' estate in Spagna; lui ci accompagnò all' aereo, lieto, allegro e spensierato come sempre.
Mi fu raccontato non so se da mamma o da lui stesso che, dopo averci lasciate, accostò l' auto al marciapiede e si mise a piangere per la tristezza che provava vedendoci andare via.

domenica 17 marzo 2013

MOMENTI


Siamo disillusi, ci sembra di non avere ideali o almeno di non vedere qualcuno che li incarni; ovunque dilaga il malcostume, la povertà, la disuguaglianza, l'ingiustizia.
Poi bastano piccoli segnali: un Papa nuovo che rifiuta gli orpelli, parla di sè come del Vescovo di Roma, chiede al popolo di pregare per lui, chiede di saldare personalmente il conto di un albergo, rifiuta l' auto papale e condivide il pulmino con gli altri cardinali.
Al Parlamento vengono elette come Presidenti di Camera e Senato due persone degne, non della vecchia nomenclatura politica ma seriamente impegnate e sulla cui onestà nessuno nutre dubbi.
Ed ecco che ci sentiamo di nuovo pervasi dalla speranza...forse siamo a una svolta, forse qualcosa accadrà, forse potremo di nuovo tornare a credere...ci vuole così poco perchè anche una piovosa e uggiosa giornata sembri piena di sole!
BUONA DOMENICA A TUTTI !!!
 

mercoledì 13 marzo 2013

IL CONCLAVE E I PAPI DELLA MIA VITA

Ieri, in diretta, guardavo il giuramento dei cardinali sul Vangelo e l" extra omnes".
Ormai l'uso dei media, il colore e la diretta da una parte rendono tutto più spettacolare, quasi un " red carpet " dei porporati, d' altro canto tolgono alla cerimonia quel tanto di " misterioso e segreto" che il bianco e nero dei nostri ricordi passati e la mancanza della ripresa in diretta le conferivano.
Noi " diversamente giovani " siamo nati con Pio XII l' ultimo " Papa regale" della storia con tutte le implicazioni positive e negative che la sua figura e le polemiche su di essa hanno comportato.
Seguì Papa Giovanni XXIII che, per me, resta il MIO papa.
Fu quello che per noi ragazzi di allora segnò la " grande svolta".
Un papa che parlava in prima persona e non con il plurale maiestatis; un papa che viaggiava; un papa che è chiamato ancora da molti " il papa buono " e che è stato uno dei più acuti e lungimiranti personaggi che la Storia recente ricordi.
Il Papa del discorso alla luna, il Papa del Concilio Vaticano II.
Seguì Montini, aspettato, annunciato, quasi erede naturale di Pio XII ma non ancora cardinale alla morte di quello.
Lo ricordiamo per la sua modernità, i dubbi che lo travagliarono, la grande profondità di pensiero.
Se Giovanni XXIII fu il Papa che uscì per la prima volta da Roma, Paolo VI fu quello che inaugurò l' era dei grandi viaggi, quello che visse e patì il sequestro di Moro, che si offrì come ostaggio ai rapitori, che celebrò un funerale di Stato senza la salma perchè la famiglia dello statista preferì funerali privati quasi in opposizione a uno Stato " assente".
Poi venne Giovanni Paolo !, uomo mite che parlò in quel breve mese di pontificato di " Dio madre oltre che padre".
Si sono spese tante parole sulla sua morte prematura ma, probabilmente, il suo cuore non resse e basta.
Papa Giovanni Paolo II veniva da una " Chiesa del silenzio".
E' stato, a mio avviso, uno dei Papi più tradizionalisti della storia ma anche uno dei più dotati dal punto di vista comunicativo.
E questa seconda parte è quella che è prevalsa nell' immaginario collettivo.
Lo ricordiamo tutti giovanile e scattante e poi sempre più lento e affaticato, ostentare la sua malattia quasi come un vessillo, in senso buono si intende.
E' stato il Papa delle " adunate oceaniche", quello che, a differenza di Giovanni XXIII, in nome delle Fede ha favorito il culto della personalità che l' altro aveva osteggiato.
Papa Benedetto XVI è stato, per me, una scoperta progressiva.
L' accento tedesco ce ne restituiva un' immagine intransigente e reazionaria che contrastava con la figura carismatica e " spettacolare" del predecessore.
Invece abbiamo poco a poco scoperto il fine intellettuale, l' uomo mite e schivo la figura, a mio avviso, quasi eroica di chi si fa da parte anche per " dare un segnale".
Ed ora il nuovo Conclave con un Papa emerito ma vivo.
Per chi è cattolico, con i cardinali c'è lo Spirito Santo che illumina e guida i loro gesti.
Per tanti ci sono giochi di potere come per ogni carica importante.
Per tutti noi uomini di buona volontà, in questi tempi bui ci vorrebbe un segnale.
Uno qualunque che ci desse speranza.

lunedì 11 marzo 2013

CASA DEL CUSTODE DELLE ACQUE



Oggi Gennaro Esposito ha pubblicato una splendida fotografia, quasi un dipinto, corredata da una dotta ed esauriente spiegazione sulla Centrale Idroelettrica di Semenza, sull' Adda.
Andando " in giro " per saperne di più mi sono imbattuta nella "CASA DEL CUSTODE DELLE ACQUE ".
Subito la mia fantasia si è sfrenata: pensavo a una casa abitata da qualcuno che, in qualche modo, come gli antichi casellanti sorvegliasse la diga e il suo funzionamento.
Non ero, almeno per quanto riguarda il passato, molto lontana dal vero.
Ho trovato questo che, comunque, è interessante!

Le prime fonti che si hanno di questa casa risalgono al 1542 nell’archivio di stato di Milano.
La casa sorge sull’argine del fiume Adda dove il naviglio Martesana piega a gomito in una posizione anomala e strategica.
La struttura è di una semplicità funzionale: una serie di stanze organizzate su due piani, un portico affacciato sul giardino e le acque di Adda e Naviglio che la circondano.
Nel 1571 viene nominata “Casa Regia” cioè luogo deputato ai pagamenti dei dazi.
Il gestore, detto camparo cioè custode, doveva riscuotere le tasse e mantenere funzionante il sistema delle acque tra naviglio e fiume.
La casa era inoltre punto di attracco del traghetto che congiungeva la sponda di Vaprio a quella di Canonica; un locale seminterrato fungeva da sala di attesa per chi aspettava il traghetto e da bivacco per i barcaioli.
La casa ha ospitato numerosi personaggi illustri tra cui la principessa di Savoia e il pittore olandese Gaspar Van Wittel nel 1719 che visitando il nord Italia si era fermato a Vaprio e proprio da questa casa fece un disegno preparatorio dal quale produrrà sette splendide “vedute di Vaprio”.
Anche Leonardo Da Vinci, prima dell’edificazione di questa casa, aveva scelto quel punto per dipingere alcune vedute del fiume e studiare l’andamento che un eventuale canale (l’attuale Naviglio), avrebbe dovuto percorrere.
Nel 1740-’44 un altro importante artista veneto Bernardo Bellotto vi soggiornò; sono di questo periodo le quattro “Vedute di Vaprio e Canonica”, commissionategli dal conte Simonetta; una di queste è conservata al Metropolitan Museum di New York.
Nel tempo, cambiando gli usi, i costumi e l’economia degli abitanti, la casa ha subito una progressiva decadenza fino ad arrivare al totale abbandono nell’ultimo secolo.
Nel 1781 fu effettuato un lavoro di ristrutturazione.
Alla fine del secolo scorso un gruppo di amici, aiutando Arturo Riccioli (figlio dell’ultimo Custode) a liberare dai rovi il giardino, ha ri-scoperto un piccolo angolo di storia e da allora la voglia e le idee di ridare vita a tutta la casa non si sono mai fermate. All'inizio del 2000 si è costituita l’Associazione “Casa del Custode delle Acque” con l'intento di conservare e valorizzare questo patrimonio storico-artistico.
Da sempre crocevia di persone e lavori, la casa oggi è pensata come un futuro centro culturale polivalente.
Un costante riscontro positivo è stato dato anche dal Comune di Vaprio d'Adda. Il lavoro di recupero della Casa del Custode delle Acque è stato terminato nell'anno 2010.
Durante le giornate F.A.I. del 26-27 marzo 2010 la Casa del Custode è stata aperta e sono state organizzate delle visite guidate.
La sua inaugurazione si è tenuta ad ottobre dello stesso anno
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VILLAGGIO CRESPI D' ADDA


http://www.villaggiocrespi.it/
CLICCATE QUESTO LINK: C'è TUTTO SUL VILLAGGIO...

Crespi d'Adda è una frazione del comune italiano di Capriate San Gervasio, in provincia di Bergamo, Lombardia.
Il paese sorge poco sopra la confluenza del fiume Brembo nell'Adda, all'estremità meridionale dell'Isola bergamasca.
È sede di un villaggio operaio, operante nel settore tessile cotoniero sorto a opera di Cristoforo Benigno Crespi a partire dal 1875 e passato poi nelle mani del figlio.
Per il suo rilievo storico e architettonico fu, nel 1995, annoverato tra i patrimoni dell'umanità dall'UNESCO.

Il villaggio venne costruito durante l'ultimo quarto del XIX secolo dalla famiglia Crespi, che scelse quest'area, vicina al fiume Adda, per costruire un cotonificio.
La fondazione si fa risalire al 1878.
L'ambizioso progetto di Crespi prevedeva di affiancare agli stabilimenti - similmente a quanto già accadeva nell'Inghilterra della rivoluzione industriale - un vero e proprio villaggio che ospitasse alcuni operai della fabbrica e le loro famiglie.
Il neonato insediamento venne dotato di ogni struttura necessaria: oltre alle casette delle famiglie operaie (complete di giardino ed orto) e alle ville per i dirigenti (che vennero costruite in seguito), il villaggio era dotato di chiesa (copia in scala ridotta del Santuario di Santa Maria di Piazza di Busto Arsizio), scuola, cimitero, ospedale, campo sportivo, teatro, stazione dei pompieri e di altre strutture comunitarie.
Il cimitero di Crespi d'Adda, è dominato dalla tomba della famiglia Crespi: una piramide con scalone monumentale, di stile eclettico e di gusto esotico, affiancata da due ampie esedre che sembrano idealmente simboleggiare l'abbraccio della famiglia Crespi a tutti gli operai del villaggio.
Nel prato di fronte al famedio dei Crespi vi sono piccole croci disposte in modo ordinato e geometrico, mentre le tombe più elaborate sono allineate lungo i muri di cinta, memoria della stratificazione sociale della comunità.
Negli ultimi decenni, tuttavia, il cimitero ha perso parte del suo originario rigore: tombe e monumenti recenti si sono sostituiti o aggiunti alle originali sepolture. Il cimitero è tuttora in funzione, caro alla comunità locale.

Il 5 dicembre 1995 il "Villaggio operaio di Crespi" è entrato a far parte della Lista del Patrimonio dell'umanità dell'Unesco. È uno degli esempi meglio conservati di villaggio operaio industriale che esistano al mondo. Contrariamente a siti analoghi, lo stabilimento è stato funzionante fino al dicembre 2003 e alcune case sono tuttora abitate.
Visitare questo villaggio è veramente un' esperienza indimenticabile.
Sembra di entrare in una sorta di " Spoon River "; silenzio e pace dominano ovunque.
Qualche casa è ancora abitata oppure vi si recano periodicamente le famiglie proprietarie.
Vi si trovano scolaresche in visita guidata; io stessa ci sono andata anni fa con classi diverse in periodi anche distanti fra loro.
La prima volta verso la fine degli anni '80 la scuola elementare era ancora funzionante, la seconda volta, anni dopo, era chiusa.
Quello che colpisce è come fosse tutto rigidamente costruito secondo una scala gerarchica: i palazzoni dove c' erano i piccoli appartamenti degli operai per passare poi a villette bifamiliari o unifamiliari.
Su tutto domina la casa dei Crespi.
Così è anche il cimitero: piccole tombe con iscrizioni, croci e lapidi ricordano operai e le loro famiglie, storie e fatti di tempi passati di cui rimane come traccia un nome, una frase.
Poi tombe sempre più grandi fino ad arrivare all' imponente mausoleo della famiglia Crespi che domina il cimitero come la villa dominava il villaggio.

venerdì 8 marzo 2013

PARLIAMO DI DONNE

Visto che oggi è la Giornata delle donna parliamo di alcune tra le più famose che abitarono questa splendida dimora.
La più nota è certamente Maria Antonietta d' Asburgo Lorena figlia di Maria Teresa d' Austria, andata sposa a Luigi XVI a soli quattordici anni e morta sulla ghigliottina nel 1793; di lei si raccontano stranezze ed episodi diversi.
La frase «Se non hanno pane, che mangino brioche!» (S'ils n'ont plus de pain, qu'ils mangent de la brioche) è tradizionalmente attribuita a lei che l'avrebbe pronunciata riferendosi al popolo affamato, durante una rivolta dovuta alla mancanza di pane.
In realtà la frase è sicuramente precedente.
L' ultima che abitò il Palazzo a cui appartengono questi giardini fu la spagnola Eugenia de Montijo, moglie dell' imperatore Napoleone III.
Ostacolò fortemente gli accordi tra l' imperatore e Cavour anche perchè questi accordi furono " favoriti " dall' intesa tra suo marito e la splendida Contessa di Castiglione, detta Nicchia che da Torino era stata mandata a Parigi proprio per questo scopo.
La leggenda e il romanzo " Ottocento " di Salvator Gotta narrano che, contemporaneamente, scoppiò una passione tra Eugenia e Costantino Nigra un giovane diplomatico che si trovava a Parigi per conto del Conte di Cavour.
Quello che è certo e dà un tocco romantico alla storia è che, quando Napoleone III nel 1870 venne sconfitto a Sedan e fu poi costretto ad abbandonare la Francia, fu proprio Costantino Nigra, divenuto ambasciatore del Regno d' Italia a Parigi, a rimanere l' unico amico di Eugenia nominata reggente.
Poiché il popolo era insorto proclamando la Repubblica, Nigra l'aiutò a fuggire ed a mettersi in salvo.
Storia e leggenda si mescolano in questo luogo di fiaba!

giovedì 7 marzo 2013

RIACCHIAPPIAMO I RICORDI

Ogni tanto lo faccio: inseguo i ricordi, li " riacchiappio", li riassaporo.
I figli: si sa " so' piezz' 'e core".
Noi siamo stati fortunati, forse siamo stati anche bravi a tirarli su, non so.
Ora che da anni non sono più in casa ma sempre presenti anche con una telefonata, un pranzo tutti insieme, raccolgo nelle mente i tanti momenti quotidiani, le " pagliuzze dorate" da tenere sempre vive.
Io non sono " nata madre": ho imparato ad esserlo come credo avvenga alla maggior parte di noi.
Stefano fu il primo: da piccolo era silenzioso, serio tranne quando, nei primi mesi di vita, aveva fame e, di notte, urlava e piangeva come un ossesso finchè non gli si dava il latte.
Aveva un anno e mezzo, eravamo a Vico e io mi assentai per un giorno per andare a Napoli da Vittorio che, per lavoro, si recava n America.
Quando tornai, non mi guardò per due giorni: gli parlavo, si girava dall' altra parte.
Fu allora che giurai a me stessa che non lo avrei (o non li avrei) lasciati mai.
Poi è chiaro che li ho cresciuti preparandoli e preparandomi al giorno in cui sarebbero andati via.
Paolo era del tutto diverso: biondo, riccioluto e tremendo, vivacissimo.
Non camminava ancora e già, in auto, si sganciava dal seggiolino e strisciando mi si aggrappava alle spalle e mi costringeva a guidare con lui in precario equilibrio sulla mia testa.
Poi crebbero, venimmo a Milano.
Sono stati sempre molto legati fra loro e anche a noi.
Si parla oggi tanto di " genitori amici".
Siamo stati prima di tutto genitori ma sempre con delicatezza; non sempre autorevolezza coincide con severità o sgridate o punizioni e noi abbiamo cercato di applicare questo principio.
Vigeva una regola: al ritorno dalle vacanze ci si sedeva a tavola e si stendeva un piano scritto di compiti quotidiani che coinvolgeva tutta la famiglia.
Era abbastanza semplice: ognuno sceglieva quando apparecchiare e sparecchiare la tavola; quello a cui toccava il sabato o la domenica aveva diritto a un turno in meno settimanale; si accettavano scambi.
Ognuno si rifaceva il suo letto e sparecchiava il suo posto a tavola mettendo i piatti nella lavastoviglie.
Era tutto fatto " in fratellanza" con uno spirito di comunità.
La mia mamma, poverina, abituata ad essere servita, ed essendoci la domestica, mi chiedeva se fosse necessario che anche lei partecipasse a questi turni.
Io le rispondevo che poi l' averi sostituita io: l' importante era che fossimo tutti uguali, una comunità di pari intenti agli stessi compiti.
Con calma e pazienza ( che credevo di non avere ) ho insegnato a cucinare a entrambi, a fare la spesa al super.
Chiedevo loro di andarci e segnavo con dei pallini un "percorso utile" seguendo il quale, quasi come in un gioco, imparavano a districarsi nei meandri del supermercato.
Le difficoltà maggiori sono state quelle di essere una mamma-prof.
Non si doveva ASSOLUTAMENTE evincere il secondo aspetto.
Dovevo manifestare, non nei discorsi quotidiani ma rispetto al loro percorso scolastico, livello di cultura zero.
Ricordo che una volta Paolo mi chiese di provargli Verga e io timidamente azzardai una frase sull' " impersonalità".
Venni immediatamente tacitata.
Per quanto riguardava il tempo libero, così come ero stata educata io nello steso modo non limitammo la loro libertà; l' importante era che prima si studiasse e poi, se si voleva, si uscisse.
Siamo stati fortunati; hanno avuto un' adolescenza serena e senza pretese; voglia di divertirsi in modo sano, amicizie simpatiche, grande passione sportiva.
Vittorio, anche se molto occupato per lavoro, è stato un padre presente e attento.
Ho fatto capo a lui per tanti consigli su come comportarmi con i ragazzi: erano maschi, lui ne capiva di più.
Stefano ebbe il suo momento di " ribellione " quando, in terza liceo classico, si fece crescere i capelli fino alle spalle e decise che voleva iscriversi a Sociologia a Trento.
Vittorio mi chiese silenzio, disse che se la sarebbe vista lui.
La cosa avvenne in modo delicato e quasi " non percepibile ".
Stefano, spontaneamente, si iscrisse alla Bocconi, esaudendo il nostro desiderio.
Paolo, per differenziarsi dal fratello, si iscrisse al liceo scientifico e poi a Comunicazione e, dalla prima superiore andò avanti come una scheggia fino al primo e poi al secondo livello di laurea.
Sono ricordi lontani: come è giusto hanno incontrato le ragazze che sono state le donne della loro vita e sono andati via di casa abbastanza presto.
Io, ogni tanto, " riacchiappo le mie pagliuzze dorate": i pomeriggi, tanti, trascorsi noi tre insieme, quando loro smettevano di studiare e insieme preparavamo the e biscotti, le sere in cui io tornavo dai consigli di classe e loro mi facevano trovare la cena pronta, gli scherzi e le risate insieme, le chiacchierate di politica con Stefano e quel suo studiare dovunque con gli auricolari oppure davanti alla tv, i sabato sera con la pizza da me preparata e la cena tutti insieme e loro poi che uscivano e la gioia di vivere quei momenti consapevoli che non sarebbero durati per sempre ma il saperlo li rendeva per questo più preziosi.
Grazie ragazzi per quello che ci avete dato: ho tante " pagliuzze d' oro" che mi bastano per una vita!

sabato 2 marzo 2013

NAPOLI E' ANCHE QUESTO...

Questa foto di Ferdinando Kaiser rappresenta la statua di Eduardo De Filippo o meglio uno dei suoi personaggi: Pasquale Lojacono ( anima in pena ) il protagonista di " Questi fantasmi " che Eduardo scrisse nel 1945 e rappresentò per la prima volta l' anno dopo.
La scena è famosa: Eduardo- Pasquale, uomo mite e povero, accetta, per dare un po' di benessere alla moglie, di abitare una grande casa che si dice sia infestata dai fantasmi.
In questo modo la casa riacquisterà valore.
Egli è di animo buono e scambia per fantasmi l' amante della moglie e altre figure che vede di quando in quando.
Come spesso accade non viene creduto; tutti pensano che sappia della tresca della moglie e sia consenziente.
Questa scena è un lungo monologo nel quale, parlando con un professore dirimpettaio che non si vede mai, il protagonista descrive la preparazione del caffè con la mitica " napoletana" e viene anche preso in giro sul doppio senso della parola " becco".
Molti critici sostengono che Eduardo, che poco prima aveva litigato con suo fratello Peppino, in questa prima commedia senza di lui abbia sentito la necessità di dialogare con un personaggio " immaginario" non trovando nessuno in grado di essere in sintonia con lui come lo era stato il fratello fino all' anno prima.
Commedia e statua sono famose; le foto di Ferdinando Kaiser, chissà perchè, oltre alla loro bellezza mi vanno dritto al cuore.
Sento i profumi, mi assalgono i ricordi: Napoli è questa statua, sono i vicoli, i bassi, l' insieme di squallore, allegria, filosofia, sopportazione, teatro continuo che la gente ti offre per la strada in una perenne rappresentazione di sè.
Come spesso ha detto Erri De luca, noi " napolidi" siamo come molari strappati al loro alveo.
Non credo che ritorneremmo indietro ma quando ripensiamo a Napoli alle sue bellezze e anche alla sua " esagerazione" che la rende unica ci prende qualcosa dentro.
Forse è nostalgia?

venerdì 1 marzo 2013

IL NARDO


" Mannaggia " a me, alle pile del mouse che si erano rotte, alla partita che cominciava e alla fretta!
" Giurini giuretta " che mai più posterò poesie delle quali non abbia fatto l' esegesi o parafrasi completa!!!
Ammetto la mia ignoranza, e voi cari amici lo sapete, in materia di piante e affini...traumi infantili che mi porto dietro!
Mia mamma era un' entusiasta della natura; quando facevamo una gita o un viaggio, noi bambine in macchina dietro e lei e papà avanti, ci indicava ogni albero e pianta che incontravamo sul cammino, dicendocene il nome e facendoci la descrizione ( la vedevamo!!! )
Ho sviluppato, forse, in quegli anni il mio rifiuto ( non scarso amore, perchè mi piacciono ) a riconoscere e distinguere una pianta dall' altra.
Forse anche in quegli anni, per reazione, è maturato quello che un' amica con una bella espressione ha definito " pollice assassino " che è il contrario del pollice verde.
Ieri ho commentato la bellissima foto " Adige " di Gennaro Esposito con una poesia di Federico Garcia Lorca :" Serenata"...e c' era questo nardo della malora e qualcuno mi chiede cosa sia il nardo e io non lo so e l' ora incalza e la partita anche e l' ing sta per tornare e vorrà cenare e su Google non si può cercare ( notate la rima involontaria) perchè si scaricano le pile del mouse e cerca le pile e metti le pile e poi, nel frattempo, visto che la comitiva è bella e ci si aiuta, un " Evviva " a Alina Bartolini che ci spiega che il nardo è una specie di lavanda e dopo un profluvio di interventi sapienti...ma forse solo io non sapevo cosa fosse il nardo?
E anche tu Sandro Moscato che me lo hai chiesto ma, non contento, poi mi hai postato la passiflora e giù altre domande e l'ing che soffriva da solo e il Napoli che arrivava a un faticoso pareggio.
RAGAZZI CHE SERATA!!! PERO' CHE BEL GRUPPO CHE SIAMO!!!
P. S. Luisa Bonizzoni, amica mia cara per quanto riguarda " l' anice di cosce candide " sono andata di fantasia e ho attinto ai ricordi e alle figure retoriche ( metafora e simili). Se ci sforziamo, anche se " diversamente " qualche memoria " piccante" emerge!!! ♥
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