lunedì 31 ottobre 2011

SANTINO CHIAVERRI


Domani è la festa di Ognissanti; il mio bisnonno milanese si chiamava Santino.
Nel contratto di nozze datato 1882, viene specificato che è un " giovane di studio ".
Probabilmente era di condizione sociale inferiore alla bisnonna Virginia perchè  sempre nel contratto, viene minuziosamente elencata la dote di lei: mobili ( quelli della mia camera da letto ), gioielli, biancheria e viene specificato che tale dote rimarrà in suo possesso anche dopo il matrimonio.
Si amavano molto; andarono ad abitare in via Scaldasole, vicino a Porta Ticinese, " Porta Cicca " per i milanesi. Là nacquero mia nonna Giuseppina e suo fratello Alfredo quello che da piccolo, alle feste diceva. " Grazie, ho già mangiato a casa, ho già bevuto a casa".
Ora è sepolto a S Ambrogio tra i caduti della Grande Guerra.
Nel 1891 da Messina dove si trovava per lavoro, Santino scriveva alla moglie su carta intestata dell' azienda per cui lavorava:
 - Fratelli Bossi -
       Milano
Piazza S. Sepolcro 1
 " Carissima Virginia ( nelle doppie una delle s scende verso il basso ), ho ricevuto or ora la tua carissima lettera. Mi ha fatto il massimo piacere per le notizie confortanti della salute dei bimbi.
Mi domandi se mi ricordo di te? Puoi immaginartelo, mai permanenza a casa è passata senza nubi come stavolta se si eccettui la malattia dei bimbi; dal canto tuo non hai nulla trascurato a rendermi cara la vita presso di te e sovente rimpiango le serate passate al tuo fianco più che non l' abbia mai fatto sinora.
E perciò te ne sono gratissimo e ti bacio di cuore. Baciami assai assai i bambini.
Scrivimi a Catania ( Albergo Centrale ) pel seguito.
Tanti e tanti saluti ed un abbraccio dal tuo
                               Aff. mo Santino
Quando trovammo, tra le carte della nonna,  questa lettera ci riusciva difficile immaginare, in questa nostra epoca di messaggi rapidi e impersonali, di telefonate veloci,  un amore che dopo dieci anni di matrimonio riuscisse a esprimersi con tanta delicatezza.
Nel 1900 la ditta lo mandò ad aprire una filiale a Napoli; mia nonna aveva quindici anni e si diplomò tre anni dopo all' Istituto Magistrale Elena di Savoia.
Andarono ad abitare sulla collina del Vomero in via Morghen; non so la bisnonna come affrontò questo trasloco: si racconta, e l' ho detto altrove,  che chiese al portiere se ci fosse qualcuno che portasse la spesa a casa; questi rispose:" Signo' vene Cacaglia " ( a Napoli si indica così un balbuziente).
La poverina quando venne il garzone lo salutò dicendo: " Buongiorno signor Cacaglia!."
Morirono abbastanza giovani, a poca distanza l' uno dall'altro.
Prima lui: in casa non si è mai detto molto circa questa morte e non so nemmeno se mamma e mia zia sapessero esattamente; qualche volta si è mormorato di un suicidio per dissesti finanziari; gli affari della ditta, forse non andavano bene, ma non sono sicura di niente.
La bisnonna lo seguì poco dopo; un ictus, un malore improvviso, forse il dolore, si muore anche di questo.
Domani è la festa di tutti i santi, vorrei ricordare quest' uomo di cui so poco.
Ci rimane una lettera che testimonia il suo amore espresso con parole tenere e delicate, legate a un tempo che non c' è più.

AFFINITA' E DIFFERENZE NELLA PRODUZIONE TEATRALE DI EDUARDO E PIRANDELLO ( TESI DI ABILITAZIONE ALL' INSEGNAMENTO ANNO 1975 )


Eduardo e Pirandello: due tra i maggiori autori del nostro tempo.
Molti critici ritengono superfluo un confronto tra i due poichè sostengono che che il teatro post- pirandelliano si è, per un verso o per l' altro, rifatto all' autore siciliano e attribuiscono a ciò gli elementi " pirandelliani " del teatro di Eduardo.
Io penso che, confrontando gli argomenti trattati dai due, le problematiche della società che li circonda si potranno meglio  individuare affinità e differenze.
Pirandello vive la crisi della sua età, assiste al morire degli ideali romantici, all' insufficienza di quelli naturalistici e veristi, al nascere del decadentismo.
Egli, rispetto a D ' Annunzio, rappresenta l' altro volto del decadentismo, il più triste e disilluso, spietato e consapevole.
In un primo periodo aderisce al naturalismo e, obbediente ai suoi dettami, ricerca nelle vicende umane lo snodarsi della catena causa- effetto; ma ben presto entra in crisi perchè alla narrazione naturalista che si avvia verso esiti previsti si sostituisce quella di una realtà irrazionale che stabilisce fra gli uomini legami imprevedibili e casuali.
Attraverso: " L 'esclusa ", " Il turno ", e " Il fu Mattia Pascal ", Pirandello arriva a:  " Si gira ", come fu chiamato nella stesura definitiva: " Quaderni di Serafino Gubbio operatore " che è l' ultimo anello della catena che lo porta al teatro come unica possibile forma di comunicazione.
Vista l' insufficienza dei valori naturalistici e l' impossibilità di sostituire a questi, rivelatisi falsi, dei nuovi valori, arriva alla coscienza dell' impossibilità di pronunciare qualsiasi giudizio sulla vita e le azioni umane; la vita quindi non può che ridursi a un susseguirsi ininterrotto di scene, si riduce, insomma, a puro teatro.
E al teatro come unica possibile forma di rappresentazione del reale, Pirandello si volge.
Eduardo De Filippo nasce, possiamo dire, nel teatro ; figlio d' arte comincia a recitare nella compagnia di Scarpetta a quattro anni.
In un suo scritto Eduardo afferma: " Lo sforzo disperato che l' uomo compie nel tentativo di dare alla vita un qualsiasi significato è teatro."
Le prime commedie di  Eduardo sono, riallacciandosi alla tradizione scarpettiana, delle farse ma già contengono i germi di quell' amarezza che si individuerà nelle commedie della maturità.
Al  1933 risale l' incontro fra i due; Eduardo propose al grande drammaturgo di fare della novella: " L' abito nuovo ", una commedia.
Insieme prepararono la sceneggiatura che Eduardo volse in dialetto napoletano.
Il 10 dicembre 1936 Pirandello moriva senza veder rappresentata la commedia, lasciando in Eduardo il rimorso di non averla messa prima in scena.
Ricordiamo un elemento presente in entrambi: l' umorismo.
Da Pirandello è visto come " il sentimento del contrario ", scomposizione ironica della realtà che serve da preludio alla distruzione dei suoi valori e miti fittizi; da Eduardo come " la parte amara della risata ed è determinato dalla delusione dell' uomo che è, per natura, ottimista."
Passando ora alla produzione pirandelliana più feconda, notiamo i caratteri fondamentali di una realtà priva di valori; al capovolgimento di quelli ottocenteschi si erano create delle verità  fittizie, usate ipocritamente come vere.
Ecco quindi l' impossibilità di una verità certa in: " Così è se vi pare " dove il pensiero umano crea e distrugge la realtà,  la fa comparire e scomparire fino a culminare nelle parole di colei che, di volta in volta è la figlia o la moglie: " La verità è solo questa... per me io sono colei che mi si crede".
Ecco la disperazione dell' uomo che si vede assegnare dal destino e dagli altri una parte e a quella deve restare legato senza possibilità di scampo, condannato dalle convenzioni sociali e dall' ipocrisia degli altri a recitarla fino in fondo.
E' il dramma di Angelo Baldovino ne: " Il piacere dell' onestà " e lui a questa schiavitù si ribella; è il dramma di
Leone Gala ne: " Il  gioco delle parti " il quale non si ribella alla sua parte ma, attraverso di lei, si vendica.
E', infine il dramma di Martino Lori che in:  " Tutto per bene " scopre con orrore che la parte assegnatagli dal gioco non è quella da lui voluta, che la forma che lo chiude non gli appartiene.
Questi temi trovano la massima espressione artistica in: " Sei personaggi in cerca d' autore ".  L' uomo non può uscire dalla parte che gli è stata assegnata, che lo blocca e lo cristallizza, non può vivere un' esperienza diversa perchè in quella parte gli altri,  inevitabilmente,  lo ricacciano cercando di difendere,  a loro volta,  la propria ragion d' essere.
In: " Ciascuno a suo modo " la tragedia umana raggiunge il culmine e rivela l' assurdo di una vita ridotta ad apparire illusorio: a questo punto Pirandello si arresta e si allontana dal teatro per circa due anni.
Eduardo ha diviso le sue commedie in due parti: " Cantata dei giorni pari " e " Cantata dei giorni dispari "; la prima contiene le commedie precedenti alla seconda guerra mondiale, la seconda quelle del periodo post-bellico.
Il giudizio di Eduardo nel 1945 sulla prima raccolta è: " In quelle commedie ho tenuto in vita una Napoli che era già morta in parte e in parte tenuta in vita dalla paternalistica premura del regime fascista.".
La " Cantata dei giorni dispari " fa invece riscontro a un' epoca nuova che ha conosciuta la rottura causata dalla guerra.
Il mutamento maggiore è che Dio, religione, autorità, famiglia sono stati messi sotto accusa e contestati.
L' uomo si è trovato solo davanti alla vita senza riuscire a darle un significato, solo tra altri uomini con i quali non trova punti in comune e non riesce a comunicare; nè a ciò è seguita la nascita di nuovi valori.
Quindi anche la maturità di Eduardo si sviluppa in un periodo, anche se storicamente diverso, confuso come quello pirandelliano.
Ma, mentre per Pirandello è in gioco l' essere dell' uomo, la sua personalità,  la sua struttura psicologica, quei connotati che fanno di una persona un' entità inconfondibile, Eduardo osserva soprattutto il modo di essere dell' uomo, il suo comportamento e inserimento nei confronti della società.
Per Eduardo ogni personaggio ha dei precisi connotati che non vengono messi in discussione; piuttosto è la società che coarta l' uomo che ne indirizza le azioni in una direzione piuttosto che in un' altra, che lo avvolge in una rete di ipocrisie, di sospetti, di incomprensioni.
A volte i suoi protagonisti sono ingenui e disarmati come Luca in: " Natale in casa Cupiello " che non vede il male intorno a sè e, quando ne è toccato, non resiste all' impatto e muore.
Anche Gennaro di: " Napoli milionaria " è un incompreso ma in lui l' impatto con gli orrori della guerra genera una nuova maturità e consapevolezza che gli consentono di imporsi in seno alla famiglia e di trovare nella solidarietà fra i suoi membri la forza di affrontare i disastri che la guerra ha lasciato dietro di sè.
Nel 1946 scrive:" Questi fantasmi " che ripete il tema a lui caro dell' incomprensione fra gli uomini, della solitudine e della solidarietà vista come ancora di salvezza.
Per questa commedia e la successiva " Grande magia " per le quali si parlò di " pirandellismo " in Eduardo, è importante il giudizio di G. Pullini: " In Eduardo il dramma non consiste nell' impossibilità di trovare un linguaggio comune tra due realtà di cui è andata perduta la connessione logica ma...fra due realtà di cui è andato perduto il collegamento morale...Insomma da dramma intellettuale  che  sfiora la metafisica in Pirandello, si fa ( in Eduardo ) dramma di costume, di colpevolezza e di innocenza.".
Nelle commedie seguenti i mali della società sono affrontati da Eduardo con sempre maggiore amarezza: il trionfo della dignità  basata sulla menzogna:  " Le bugie hanno le gambe lunghe ", la rinuncia definitiva al colloquio con gli altri : " Le voci di dentro ", lo smembrarsi del nucleo familiare:  " Mia famiglia ".
In alcune come: " Il figlio di Pulcinella " e " Sabato domenica e lunedì "affiora la speranza nei giovani quali fondatori di un mondo migliore.
Pirandello, negli ultimi anni della sua produzione si stacca dalle preoccupazioni esistenziali e, nelle sue ultime commedie, ritrova il senso del misterioso, del miracoloso, della bellezza del mondo, il senso della poesia in un ritrovato amore per la natura.
Eduardo, al contrario, ha continuato a scandagliare i rapporti fra uomo e società perdendo man mano la speranza in una possibile solidarietà fra gli uomini.
L' essere umano è condannato alla solitudine e al perpetuo giudizio e condizionamento da parte degli altri.
Un lavoro a sè, nella produzione di  Eduardo è:  " L' arte della commedia ", in cui l' autore stesso parlando dei personaggi li definisce: " ...non personaggi in cerca d' autore ma attori in cerca di personalità..." frase che ribadisce, ancora una volta, la sostanziale differenza con Pirandello;  non persone in cerca di una loro identità ma uomini forniti di una precisa personalità che cercano una dimensione sociale in cui esplicarla senza soggiacere a pressioni e incomprensioni di un mondo che non sa o non vuole comprenderli.

giovedì 27 ottobre 2011

MORIRE GIOVANI


Oggi ho visto in tv i funerali di Marco Simoncelli;  la sua personalità, le modalità della morte, la fama e simpatia di cui godeva hanno richiamato migliaia e migliaia di persone: amici, compagni di sport, ammiratori e anche gente che, comunque, non riesce a sottrarsi allo spettacolo mediatico e che cerca a tutti i costi di "esserci".
Mi ha colpito fin da ieri l' atteggiamento dei genitori: composto, dignitoso, a tratti quasi sorridente pur nell' immenso dolore.
Non vale mai la pena di morire giovani; ci sono sport nei quali l' incidente mortale è sempre messo in conto e al tempo stesso scaramanticamente ignorato e tenuto lontano dalla mente.
Io spero che la famiglia e quanti lo hanno amato facciano qualcosa di serio che ne prolunghi la memoria: una fondazione o qualcosa del genere.
Se così non sarà, oggi, nei prossimi giorni, nei prossimi mesi, forse per qualche anno la memoria rimarrà viva sotto l' impatto emotivo, poi  accadranno altri eventi, nuovi idoli sorgeranno e lui, in ogni caso, sarà morto.
E quando il tam tam mediatico prima o poi sarà spento, quando gli amici si faranno vivi meno spesso, quando la fidanzata che è giovane, come è anche giusto si rifarà una vita, la famiglia  allora sarà sola con il suo dolore; quello sì, rimarrà per sempre nei suoi cari, anzi aumenterà ogni giorno perchè perdere un figlio è contro natura. Prima o poi accadrà e calerà il silenzio dopo la grande, immediata emozione dei primi tempi e altri eventi prenderanno il posto di questo che oggi ci sembra indimenticabile.
In chiesa c' era Giacomo Agostini; lo ricordo giovane; è ancora bello, un signore di mezza età che la sua storia è riuscito a viverla tutta. Aveva gli occhi pieni di lacrime, forse era uno dei più commossi anche se non conosceva Marco di persona ma conosce la vita e la fama che è quanto di più effimero esista.
" Innalzato il sepolcro dipartîrsi
tutti in grande frequenza, e nella vasta
di Prïamo adunati eccelsa reggia
funebre celebrâr lauto convito.
Questi furo gli estremi onor renduti1025
al domatore di cavalli Ettorre."

Sono gli ultimi versi dell' Iliade, Ettore e Achille nel nostro ricordo sono sempre giovani perchè morti nel pieno fulgore,  ma ne vale davvero la pena?  Penso di no.

martedì 25 ottobre 2011

CANZONI NAPOLETANE, IL MACELLAIO ED IO.


Il mio macellaio si chiama Sig.Ettore; su Vivimilano è risultato tra i migliori della città.
Ha della carne piemontese morbida e fresca, ha le polpette già pronte, le impanate di vitello, la mostarda di frutta artigianale; ha anche bei prezzi ma ne vale la pena.
Sono sua cliente da quando nel 1987 sono venuta a Milano; è vicino alla mia prima casa, in Piazza Vesuvio ( originale...) ma non lontano dalla casa che 20 anni fa comprammo e dove ci trasferimmo, vicino Piazza Napoli ( ancora più originale...). La distanza è di circa un chilometro, il quartiere è lo stesso, io ho continuato a fare la spesa da lui.
Due cose ci uniscono, oltre l' amicizia più che ventennale: abbiamo lo stesso medico di base che sta da tutta un' altra parte di Milano e cantiamo insieme.
Sì, proprio così, cantiamo insieme canzoni napoletane e anche qualcosa in italiano.
Lui è pugliese ma appassionato e competente, come me, di canzoni dell' antica tradizione napoletana.
In genere comincia lui, anche perchè sta lavorando e deve averne voglia, io gli vado dietro.
Non importa se il negozio è vuoto o stracolmo di clienti: spaziamo da " Fenesta vascia " a "Guapparia" a " Malafemmena", " Chiove", " Lacreme napulitane " e chi più ne ha più ne metta.
C'è tra noi una bella intesa, poi da quando io sono andata in pensione e non urlo più a scuola mi è anche tornata la voce, facciamo dei piccoli concerti.
La moglie, milanese doc, si vergogna moltissimo; spiega sempre ai presenti che io sono una professoressa, casomai qualcuno credesse che, a un certo punto, io possa andare in giro con il piattino.
I clienti approvano: un papà, un giorno ha detto alla sua bambina: " Senti come sono bravi!"; una signora mi ha chiesto se sono una cantante.
A volte la gente si stupisce di sentirci così affiatati; in questi casi io rispondo che facciamo coppia da quasi 25 anni!
Qualcuno mi ha chiesto un filmato, è difficile, mi sentirei poco spontanea.
Negli ultimi tempi l' ing si è incuriosito perchè ne ha sentito sempre parlare ma non ci ha mai visti; di fronte al negozio del Sig. Ettore c'è quello del Sig. Nicola , il barbiere storico di Vittorio.
Lui ci va una volta al mese di sabato: vuoi che qualche volta ci troviamo insieme e lui filma di nascosto un concertino? Tutto è possibile!

lunedì 24 ottobre 2011

L' ALUNNO CHE NON SAPEVA DI ESSERE STATO BOCCIATO


Insegnavo a Melito; l' anno dopo quello in cui nacque Stefano cioè nel 1979 avemmo la scuola nuova, bellissima,in periferia.  Fino a quel momento avevamo insegnato in paese in un appartamento di civile abitazione adattato a scuola.
Quella nuova aveva grandissimi corridoi, tanti bagni, il teatro che era situato in una cavea naturale nell' atrio.
Era enorme e bellissima, progettata da un grande architetto.
Anni dopo, quando l' utenza è aumentata a dismisura, ma io ormai non c' ero più, ho saputo che hanno sacrificato tanti spazi per creare aule nuove; tra questi  il teatro.
Poi, nel tempo, con l' arrivo di tanti ex terremotati  e altra gente da Napoli, le scuole medie sono diventate tre, ma io non so dove siano perchè là non ci sono più tornata.
Quindi avemmo la scuola nuova, ma già non bastava per tutti; come assegnare classi e insegnanti al plesso vecchio e nuovo?
Mi sembra che il primo anno si fece a turno: metà anno una parte delle sezioni e metà anno le altre; l' anno seguente, a parte qualche insegnante del paese che scelse di restare nella vecchia scuola, si stabilì una graduatoria;  i primi andammo nella scuola nuova e gli altri rimasero nella vecchia.
Fu così che io, tra polemiche varie cambiai corso: dal corso G dove c' erano ragazzi più poverelli, passai al corso E, il corso d' elite dove sono rimasta fino alla partenza per Milano.
Come ho già detto altrove c' erano dei genitori che non mi volevano perchè, oltre che la prima media, avrei avuto una terza tutta maschile e le famiglie preferivano che i figli  continuassero con la stessa insegnante dei primi due anni; si cercò di fare l' imbroglio, un collega ( che poi sarebbe stato per anni il mio collega di matematica) mi avvertì, io feci valere i miei diritti.
Tutto, del resto, sarebbe stato inutile perchè la collega risultò addirittura perdente posto e dovette cambiare scuola.
Fu comunque un anno difficilissimo con quella terza.
Nella scuola esisteva una famiglia i cui appartenenti avevano tutti i capelli rossi e si caratterizzavano per uno scarso amore per lo studio e per l' italiano parlato e scritto in genere; dopo ho avuto un altro della famiglia e rimpiango ancora oggi di non aver conservato i suoi temi: erano assolutamente incomprensibili, ma per il resto andammo sempre d' accordo.
Nella classe che lasciai nella vecchia scuola, c' era un altro della famiglia dei rossi; era  stato bocciato quindi non avrebbe potuto fare la terza con me anche se fossi rimasta nella vecchia scuola.
La madre, a cui era poco chiaro il tutto, ebbe una brillante idea: convinse il figlio a presentarsi nella scuola nuova, nella mia terza: " Tanto - disse - quella la Gambardella è buona, ti piglia".
Io mi trovai quindi, il primo giorno di scuola, in una terza tutta maschile, e non precisamente cordiale per aver dovuto cambiare insegnante, con il rosso che rifiutava di " schiodarsi " dalla sedia, perchè diceva che la madre gli aveva detto di " Andare dalla Gambardella".
Ci volle il bello e il buono per convincerlo che non era quella la scuola, non era quella la classe e soprattutto, che, essendo stato bocciato, non poteva stare in terza ma doveva andare in seconda.

sabato 22 ottobre 2011

LE ORE DI MUSICA A SCUOLA


Negli ultimi dodici anni, nella scuola in cui insegnavo  avevo come collega di musica una persona deliziosa a vedersi.
Piccola di statura, giovanile, amabile, aveva grandissime difficoltà a rapportarsi con gli alunni.
Io ho sempre sostenuto che il nostro è un mestiere da artigiani: i professori devono 1: sapere quello che insegnano; 2: credere in quello che insegnano; 3: saper passare con semplicità e far comprendere i contenuti.
Alla mia collega il punto 3 mancava, ohimè, totalmente.
L' ho constatato io stessa quando, qualche volta, abbiamo preparato insieme ( abbiamo cercato di preparare ) spettacoli di Natale o di fine anno scolastico. Aveva idee ben precise sulla musica: per lei esisteva quella sinfonica e basta; costringeva i ragazzi a delle ore di ascolto, in silenzio ( utopia!!!).
Per quanto riguarda musiche più recenti qualche volta faceva cantare: " Mamma mia dammi cento lire " e, occasionalmente: "La guerra di Piero " di De Andrè.
Sia le spiegazioni durante le lezioni, che le indicazioni per quanto riguardava gli spettacoli, erano assolutamente criptiche e incomprensibili, anche per  i movimenti da farsi e la successione dei numeri da eseguire; ho sempre ammirato moltissimo gli alunni che ci capivano qualcosa in più di me.
Quello che era chiaro è che dovevano vestirsi di bianco e blu.
Ho visto ragazzi ammalarsi improvvisamente per non partecipare allo spettacolo, inventare visite di parenti lontani, qualunque cosa.
E pensare che la musica, se insegnata bene, apre mondi nuovi e inesplorati, fa scoprire talenti nascosti.
Durante l' anno, o meglio durante il triennio, le lezioni di musica si svolgevano nel caos più totale; gli alunni facevano, come si dice a  Milano " la qualunque"
Lei si lamentava con noi colleghe di lettere e noi, da una parte, cercavamo di calmare i ragazzi e di ascoltare le loro istanze,  dall' altra dicevamo loro che non era quello il modo migliore di comportarsi. Io, da parte mia, con sincerità, ho sempre detto loro di stare buoni che poi agli esami sarebbe successo di tutto, ma purtroppo non sono stata mai ascoltata.
Gli esami: ecco la nota dolente; a quel punto la prof si vendicava di tre anni d' inferno e si scatenava agli orali con domande tremende e conseguente abbassamento di giudizi.
Allora entravo in scena io: quanta fatica e dispendio di energie mi è costato tutto ciò!
Cominciavo da marzo-aprile a preparare con gli alunni l' orale delle mie materie perchè il colloquio fosse PERFETTO; i titoli dei temi, quelli nessuno poteva saperli, ma i miei giudizi erano di un' indulgenza mostruosa.
All' orale, poi, era una faticaccia perchè, in teoria, solo la prima domanda era a piacere, poi erano cavoli miei. ricordarmi come doveva continuare il colloquio nei termini stabiliti con i ragazzi.
La mia collega di educazione tecnica, a cui non ero simpatica,  interveniva anche nelle mie materie e non è mai riuscita a capire come mai fossero tutti sempre così ben preparati in italiano, storia e geografia.
Poveretta, si è dannata per una vita!
Al momento dell' interrogazione di musica la prof della medesima si scatenava: domande tremende, i ragazzi la guardavano istupiditi, forse ( spero) pentendosi del chiasso fatto per tre anni!
Una volta,  il ragazzo si chiamava Stefano Carini, ma non  ha mai saputo quello che è successo, vista la malaparata, siccome lui meritava " distinto " e dalla piega presa con l' interrogazione di musica non ci sarebbe arrivato proprio, andai dalla Preside che era da noi come commissaria d' esame e la pregai di intervenire; fortunatamente venne e l 'esame prese la piega giusta.
Lo stesso Stefano, quando venne l' addetto del Comune per spiegare i vari indirizzi di scuole superiori, si fece giurare che a geometra non si studiava musica perchè altrimenti lui non si sarebbe iscritto. Un altro, Edo si chiamava, si era fatto regalare all' inizio delle medie una chitarra: in terza media la ruppe.
Ho sempre sperato, scolasticamente, di sopravviverle; non ce l' ho fatta.
Nonostante fosse più grande, ha insegnato un anno più di me, poi l' anno dopo è andata in pensione.
Resta vivo il suo ricordo tra gli alunni: lo vedo, a volte, anche su fb.

PER MATTEO NEL GIORNO DEL SUO COMPLEANNO


Matteo era già maturo in prima media; era uno che aiutava, organizzava. Quando c' erano da fare lavori di gruppo, cartelloni era il primo a rendersi disponibile. era bravissimo a scuola, tranne che in italiano scritto ma tanto fece che eccelse anche in quello.
Era elitario nelle amicizie: a chi gli piaceva dava tutto se  stesso, chi non gli era simpatico te ne accorgevi.
Anche questo aspetto ha saputo smussare col tempo anche se non è mai riuscito a cancellarlo del tutto.
Quando a fine anno facevamo la " Top - Ten " dei film visti era lui che, dal gran casino generale, tirava fuori, a computer, dati precisi e ordinati.
Tutta quella fu una classe simpatica, è stato un triennio divertente e stimolante.
Agli esami Matteo fece un figurone; la prof Paolini, quella di musica, terrore di tutta la classe perchè agli esami faceva stragi dopo che gliene avevano fatte passare di tutti i colori per tre anni, mise su una musica sinfonica pazzesca ( ascolto ) e Matteo la riconobbe e analizzò; questo la fece andare in delirio; molto meno andammo in delirio i compagni e io che dovevo tirare su i voti che la Paolini buttava giù...!!!
Matteo era affidabile, simpatico, mai presuntuoso, calmo, rassicurante, un amico da sempre e per sempre.
Ora è all' Università; che facoltà,  mi chiederete: ma INGEGNERIA, è chiaro!!!
Auguri i Matteo!!!

giovedì 20 ottobre 2011

L' ALUNNO DI CUI NON RICORDO IL NOME


Era, credo, l' autunno del '76; l' anno prima avevo avuto l' incarico del Provveditorato per le scuole serali le " 150 ore" e lo aspettavo anche quell' anno; nel frattempo ero disoccupata e accettavo supplenze come ormai capitava da sette anni; ero sempre riuscita a insegnare ogni anno per tutto l' inverno.
Fui chiamata in una scuola media di Napoli, credo che sia l' unica volta che non mi sia mossa dalla città.
Era una sezione staccata della scuola; si trattava di un riformatorio.
Sono stata là circa due mesi, poi arrivò l' incarico e andai via.
Ricordo un ragazzino di prima media: era l' undicesimo di tredici figli, era stato tolto dal tribunale alla famiglia perchè il padre aveva abusato di una sorella.
Era dei Vergini un quartiere popolare di Napoli; aveva dodici o tredici anni ma sembrava più piccolo della sua età.  Educato, schivo, tradiva con qualche gesto e qualche sguardo la visione e la consapevolezza di orrori familiari e ambientali nei quali io stessa rifiutavo di addentrarmi.
Mi raccontò che di notte nell' istituto c' era poca sorveglianza e parecchi di loro uscivano; credo che vivessero una tremenda, squallida e parallela vita nei vicoli della città; all' alba ritornavano.
Lo invitai a casa a pranzo; l' ho fatto tante volte con quelli più poveri o con caratteri incattiviti da una vita difficile. Mi sembrava di dare un' illusione di calore, di casa normale, non so se facevo bene, so che a loro ha sempre fatto piacere.
Passarono alcuni anni; un giorno sentii suonare alla porta: era lui, ormai  giovanotto, con un fascio di fiori per me.
Mi disse, in modo per me poco poco credibile che era stato all' estero; il ricordo di me, di quei pochi mesi in cui si era sentito trattato con tenerezza e umanità doveva essergli rimasto impresso.
Non fui affatto all' altezza delle sue aspettative; era  passato tanto tempo, qualcosa mi fece pensare che durante quegli anni fosse stato in prigione, provai diffidenza, pensai che fosse venuto con scopi poco chiari.
Chiacchierai per qualche minuto, gli offrii un caffè, poi lo lasciai andare.
Forse in quegli anni il mio ricordo lo aveva accompagnato e fu ricacciato indietro dalla mia paura e indifferenza; non ho saputo più niente di lui, non ne ricordo nemmeno il nome. Spesso, pensandoci ho provato rimorso come per una vigliaccheria commessa, per un' occasione persa ma è capitato anche altre volte; non tutte le storie scolastiche si concludono con successi, molte volte con delle sconfitte.

MILANO E IO, IL PRIMA E IL DOPO


Stanziale come sono, se mi avessero detto che sarei andata via da Napoli, ci avrei riso sopra.
Quando Vittorio e io ci sposammo nel' 75, lui trovò lavoro in un' industria di apparecchiature elettriche, che aveva una sede a Napoli e una a Bergamo; per contratto fu stabilito che sarebbe stato per due o tre anni a Bergamo per imparare e poi installare il reparto progettazione a Napoli.
Io insegnavo dal '71 come supplente e quell' anno per la prima volta ebbi l' incarico dal Provveditorato nelle 150 ore, la scuole medie serali per lavoratori; di conseguenza non potevo seguirlo perchè poi sarebbe stato difficile, se non impossibile per me,essere trasferita a Napoli. Furono due anni e mezzo tremendi; Vittorio tornava il venerdì sera con il treno , in cuccetta e risaliva la domenica sera.
Una volta, per la neve, il treno si fermò e dopo alcune ore tornò indietro e lui non arrivò mai.
Era difficile, nei due giorni del fine settimana ritrovare l' intimità e la complicità che ci avevano sempre unito.
Tutto avveniva in fretta, i suoi volevano vederlo, gli amici volevano uscire e lui non ne aveva voglia; alla fine di quei due anni e mezzo io aspettai Stefano e giurai a me stessa che, in qualunque momento futuro lui avesse deciso di andare a lavorare altrove saremmo andati insieme,  la famiglia deve stare unita.
Anni dopo, nell' 86,  Vittorio conobbe i giapponesi di questa società che oggi dirige, i quali volevano rilevare l' azienda di Napoli.
La cosa non si concluse e loro assunsero Vittorio per aprire una filiale della loro società in Italia; gli chiesero dove ritenesse più opportuno, lui disse che era  opportuno farlo a  Milano.
Pensava al futuro, ai figli, alla situazione lavorativa e organizzativa, insomma gli parve giusto così.
Io, memore di quanto mi ero ripromessa dodici anni prima, acconsentii subito; gli dissi solo di non badare a me se mi avesse visto triste o piangere.
In realtà ho pianto una sola volta, quando tornammo da Milano dove avevamo trovato casa; toccavo con mano che stava per succedere.
Vittorio partì nel settembre dell' 86 e io e i bambini con mamma lo avremmo raggiunto a  giugno alla fine delle scuole.
Quell' inverno fu tremendo; dicevo addio dentro di me ogni giorno a 38 anni di vita, agli amici, alla casa dove abitavo dalle medie, alla scuola dove insegnavo da più di dieci anni:  questo, forse, fu l' aspetto più tremendo.
Io amo pensare in termini di " sempre", il sempre umano, naturalmente, amo le abitudini, l' appartenenza a un ambiente; in quei mesi  quando nei consigli di classe si parlava dell' anno seguente mi sentivo morire.
L' inverno passò, a giugno ci trasferimmo, poi Vico e poi il primo inverno a Milano.
Quando il problema non è un futuro che non riesci a immaginare ma una realtà presente, io tiro fuori le unghie e divento combattiva.
Quell' anno bloccarono i trasferimenti e per cinque anni più due, nei quali ho insegnato nella scuola vicino casa, io  sono stata titolare a Napoli; all' inizio di ogni anno scolastico andavo al Provveditorato agli Studi di Milano, dove ho fatto amicizia praticamente con tutti, mi sedevo e pregavo chi di dovere di tirare fuori una cattedra per me, altrimenti sarei dovuta andare a prendere servizio a Napoli.
Spesso ho detto che la scuola è stata la mia grande passione ma che mi sono guadagnata tutto col sudore; anche in quel caso fu così: periferie degradate, due scuole insieme ( corri da una parte all' altra ), progetto nomadi per due anni consecutivi, ho fatto qualunque cosa.
Non mi è mai venuto in mente di andare in pensione ( e avrei potuto perchè c' erano le baby pensioni); dovevo averla vinta io!
Siccome io sono come Pollyanna quella del romanzo " Tanto meglio così " e cerco di tirare fuori da ogni accadimento l' aspetto positivo, devo dire che quegli anni furono utilissimi per la conoscenza della realtà variegata di Milano e delle sue periferie.
Mi aiutò molto anche l' avere figli: accompagnarli a scuola, organizzare festine per loro, fare amicizia con i genitori dei compagni.
Il primo inverno fu eccezionalmente piovoso, imparai anche, a orecchio, a suonare la tastiera dell' ing, peccato che poi abbia smesso!
Quello che feci,  in modo inesorabile fu tagliare quasi completamente con  gli amici di Napoli, sentivo quelli che vedevo a Vico perchè tanto continuavano a far parte del mio vissuto, ricevevo con piacere chi veniva a trovarmi ( e furono tanti ) e li portavo sul Duomo, in Galleria e in via Montenapoleone; girai Milano in lungo e in largo in macchina e con i mezzi pubblici, cercai di impadronirmene; molte amiche care, tra cui una che ora non c' è più, si lamentavano per le mie scarse telefonate; non potevo permettermi di provare nostalgia e di pensare al passato.
Mi sono concessa questo piacere quando sono stata sicura che non mi dava più dolore, allora ho ripreso tutti i rapporti anche quelli antichi con una forma quasi di voluttà.
Mi  diedi anche al volontariato, i figli frequentavano l' oratorio, io seguii dei corsi per educatore di strada, il nostro è un quartiere signorile, ma c' erano sacche di emarginazione e io mi dedicavo ai " truzzi" che mi volevano bene.
A giugno organizzavo con altre mamme le merende per l' oratorio estivo: andavo a far la spesa con il furgone dell' oratorio e preparavamo e distribuivamo ogni giorno, per sei settimane, le merende a 150 ragazzi.
Quante amicizie sono nate in quegli anni e che begli incontri anche con sacerdoti in gamba e pieni di entusiasmo!
E' stato come se, per necessità, io abbia avuto una seconda chanche, mi sono riciclata e data da fare, probabilmente a Napoli avrei continuato la vita di sempre.
A poco a poco questa è diventata la mia casa, il luogo dove i miei figli crescevano.
Nel 1994 finalmente sono ridiventa titolare a Milano nella scuola dove ho passato gli ultimi dodici anni della mia lunga carriera scolastica.
Poi, come diceva mia mamma, quando non è stato più così divertente, sono andata in pensione; in quel caso ho fatto sì che il distacco fosse graduale: prima sono uscita dal Consiglio di Istituto, poi dalle varie commissioni, poi ho smesso di essere collaboratore del Preside ( avevo scritto per una vita i verbali del Collegio dei docenti ), poi ho fatto un anno di part-time e, infine, l' 8 maggio del 2006 ho capito che non ce l' avrei fatta ad andare avanti, la fatica era maggiore del divertimento.
La scuola stava cambiando, e non in meglio, a noi di lettere venivano tolte ore, cambiavano i sistemi di valutazione; troppe riforme ho visto in 38 anni, non volevo tornare di nuovo ai voti come quando avevo cominciato.
Non ho mai avuto rimpianti anche se un po' di odore di classe, a volte, mi piacerebbe sentirlo; ho continuato ad andare ai pranzi di Natale e alle feste per i colleghi che vanno in pensione.
Ora ho smesso perchè di noi non c' è quasi più nessuno, vai e trovi una marea di volti sconosciuti e non si deve vivere di rimpianti.
Io ho sempre avuto una notevole autostima ma riconosco i miei difetti e i miei limiti;  so che ora mi sono impigrita, mi piace godermi la casa, esco quando ne ho voglia, non accetto lezioni private se non occasionali e a ragazzi che conosco, vado a prendere il caffè con la mia amica al bar ma torno presto perchè mi piace vedere Forum ( si diventa anche un po' stupidi in pensione), sono contenta quando i figli vengono a pranzo e ancora più contenta quando mi chiedono loro di venire; significa che continuano a sentire questa come casa loro; sono contenta che Vittorio torni sempre più presto la sera e ora che andrà a Glasgow sarò triste perchè sono sempre meno abituata ai suoi viaggi  che si sono fatti rari e mi piace godere della reciproca compagnia.
Non ho rimpianti, mi sento una sopravvissuta: considerando che sono stanziale, ho lottato, combattuto e vinto.

martedì 18 ottobre 2011

CHI SIAMO NOI " NAPOLIDI " PER ME


Lo scrittore Erri De Luca chiama " napolidi " quelli che sono andati via da Napoli.
 Ora cercherò di spiegare per me che significa essere " napolide".
Un mio preside di Milano nato ad Avellino mi disse una volta che dal giorno in cui ci eravamo spostati non appartenevamo più, completamente, a nessun luogo, non eravamo nè di qua nè di là.
Io sono nata a Napoli da genitori napoletani con nonni di origini varie: uno napoletano, una francese, una milanese e uno lucano.
A casa mia non si parlava il dialetto: io l' ho imparato dalle domestiche, dalle canzoni e dagli alunni ( quelli di Napoli).
Da ragazza io ricordo una Napoli splendida, vivibile, dove, come aspetto negativo, esisteva una strana mescolanza di classi sociali e, al tempo stesso, una rigida struttura che non poteva essere sovvertita.
Il tramite che c' era, e ancora adesso esiste, tra questa apparente contraddizione, è una parola:  " voi".
A Napoli il " voi " avvicina e separa, crea confidenza e, al tempo stesso,  definisce e delimita confini; lo si usa ancora tra padrona e domestica, tra professori e genitori, tra bottegaio e cliente,  tra classi sociali diverse.
Crea una sorta di intimità e al tempo stesso sottolinea, a differenza del " tu " e del "lei " che io sto da una parte e tu stai dall' altra.
A Napoli ci sono palazzi nobili e aviti, posti fianco a fianco con abitazioni fatiscenti, con " bassi", in quartieri poveri : è un altro aspetto di questa strana e perenne contiguità.
Napoli ha una storia antica, ha cinque Palazzi Reali,  ha subìto  dominazioni da popoli diversi  ma assorbito cultura da ognuna di esse.
Napoli ha ricevuto il colpo di grazia dal terremoto del 1980: dopo nulla è stato più come prima e, soprattutto, c' era la sensazione che nulla potesse tornare come prima.
A Napoli, " il paese del sole", mare e sole si vedono solo nelle strade dei signori; il resto è un dedalo di vie e " scalinatelle"  che scendono giù a imbuto; se alzi gli occhi vedi, lassù, in alto, uno spicchio di azzurro.
Alcuni di noi sono andati via con la precisa intenzione di lasciare tutto e andare.
Alcuni hanno deciso di restare.
Generalmente noi " napolidi " che viviamo in città come Milano, non torneremmo mai indietro; io sicuramente no.
Sono felice degli anni vissuti qua, sono felice che i miei figli abbiano le loro radici qua, ma sono anche felice che continuino a sentirsi napoletani e a tifare disperatamente, anche nei periodi più bui, per il Napoli.
Al tempo stesso continuiamo a sentirci napoletani " dentro" anche se non ci identifichiamo più con la Napoli di oggi;
Non amiamo che dei "non" napoletani parlino male di Napoli; noi, del degrado della Napoli di oggi, parliamo male, ma sempre fra noi "napolidi".
Mai parlare male di Napoli con un napoletano che vive ancora là; sono veramente pochi quelli che vedono la realtà con occhi sinceri; ci si rifugia sempre nello stereotipo del clima, del " paese del sole", dell' inventiva, della risata facile.
C' è un mio amico che lavora qua a Milano da 17 anni e si sente napoletano e ha nostalgia di Napoli,;  però, quando ne parliamo, dice che lui  quando va a Napoli  la vede degradata.
Io gli dico che a noi " napolidi", quando viviamo lontano è come se cadesse un velo che, prima, ci impediva di vedere la realtà; chi è rimasto non la vede, la sopporta e la tollera; noi semplicemente, non ci riusciamo più, anche se il constatarlo ci comporta sofferenza.
Essere " napolide " non è facile; tempo fa sono stata contraddetta da un mio amico di fb perchè osannavo Reja, l' allenatore della Lazio che ha portato il Napoli dalla serie C alla serie A.
Lui mi ha risposto che gli allenatori sono dei mercenari, il che è vero, ma i napoletani Reja non lo dimenticano e lo applaudono.
Una cosa ci unisce tutti: almeno quelli che c' erano quel giorno.
La mattina dell' 11 maggio del 1987, dopo una notte di festeggiamenti per il primo scudetto conquistato, chi uscì di casa vide una città che, di notte, era stata tutta dipinta di azzurro: vie, marciapiedi, fontane, strade; era uno spettacolo.
Credo che molti  napoletani e " napolidi"  su un' altra cosa si trovino sempre d' accordo: " Maradona è meglio 'e Pelè".

sabato 15 ottobre 2011

VIRGINIA, UN NOME VECCHIO E NUOVO Scritto il 6 gennaio 2011



Mia mamma si chiamava Virginia; ieri era il giorno del suo compleanno, se fosse stata viva avrebbe compiuto 97 anni, ma è morta dodici anni fa.
Mia madre era una signore bella, raffinata, discreta, anche se di carattere molto forte.
Fu implacabile per quanto riguardava lo studio, l' alzarci presto la mattina, l' andare a scuola, ci mandava anche con la febbre se non era alta; tanto, diceva, la febbre sale nel pomeriggio e  non perdi un giorno di scuola; per il resto, come papà, ci lasciò assolutamente libere in un' epoca in cui nessuna ragazza lo era.
Mia madre insegnava alle elementari; quando vinse il concorso nel '32, non aveva ancora compiuto i 18 anni, fu mandata a insegnare in un paese chiamato Salento, sopra Vallo della Lucania, dove si arrivava a dorso d' asino e ci restò per quattro anni, poi insegnò sempre a Napoli; mia nonna le permise di andare perchè era milanese e credeva nell' indipendenza delle donne, del resto erano tre donne sole: mamma e due figlie perchè mio nonno, tenente medico degli alpini era morto sul Carso nella Prima Guerra a 28 anni e le figlie erano troppo piccole per ricordarlo.
Quando io discutevo con mio padre ( e succedeva perchè avevamo lo stesso carattere ), mamma diceva che io non sapevo la fortuna che avevo, visto che lei suo padre non lo aveva quasi conosciuto.
Fu fatta Cavaliere della Repubblica perchè fu tra le prime insegnanti a usare il metodo globale; da lei, anche se ho insegnato lettere alle Medie, ho imparato tanti " trucchi del mestiere" solo osservandola.
Lei si faceva molto amare, non era espansiva era dolce, discreta, amava fumare, giocare a carte, circondarsi di amici.
Abbiamo vissuto sempre insieme; ci siamo molto amate. Era una buona ascoltatrice; le potevi confidare qualunque cosa, non si scandalizzava e non dava consigl, ascoltava.
A Vico Equense, al Circolo del Tennis, organizzava ogni anno un bellissimo torneo di carte, di cui ancora oggi si favoleggia; perdeva un sacco di tempo a scegliere i regalini per tutti i partecipanti e a decidere col cuoco del Circolo il menù per la cena, era un evento; lei non partecipava, ma accoglieva gli ospiti ed era felice che tutto andasse bene.
Mi ha insegnato a trattare con gentilezza ogni genere di subordinati; con le domestiche, per esempio, ho imparato da lei e abbiamo rapporti splendidi per anni.
Ha vissuto sempre con noi; venne a Milano a 72 anni, comprò un visone enorme, lunghissimo e visse in assoluta allegria altri 13 anni.
Come nonna fu splendida; mise i paletti in modo discreto: lei era la nonna, io la mamma. Badava ai miei figli e a quelli di mia sorella se necessario e sempre con l' aiuto di una domestica, ma fu subito chiaro che voleva i suoi spazi, non era interferente, non ricordo mai che sia intervenuta in una discussione tra me e i miei figli.
Riusciva con la stessa amabile e signorile gentilezza a far sentire una persona il centro del mondo oppure un verme; come ci riuscisse, non lo so.
Amava le borse, i cappelli, le scarpe costose, andare spesso dal parrucchiere, avere le mani curate con le unghie lunghe e laccate; ha lavorato per tutta la vita e, da anziana, qua a Milano, diceva che ormai poteva permettersi di spendere quello che voleva.
Mio marito e lei si volevano molto bene: quando a lui fu proposto dai giapponesi di venire a Milano per aprire una filiale della loro azienda, lui le disse che eravamo una famiglia e che avrebbe accettato se lei fosse venuta con noi, lei disse addio alla vita di Napoli senza pensarci.
I miei figli e quelli di mia sorella l' hanno molto amata e anche tra loro sono legatissimi; credo , forse, avessero una specie  di patto. Sta di fatto che tra quattro mesi a mio figlio e mia nuora nascerà una bambina e  ci sarà una nuova Virginia; ieri ci pensavo e ne ero commossa: è bello che una persona riesca a farsi amare e ricordare tanto.
Oggi è la festa della mamma, io pubblico di nuovo questo mio ricordo; nel frattempo la nuova, piccola Virginia è nata...e ci rende tutti felici.

venerdì 14 ottobre 2011

LE " MIE " CANZONI



Ognuno di noi ha delle canzoni che gli ricordano momenti, sensazioni, amori; ognuno di noi ha anche dei generi musicali che preferisce e altri che non ama.
Per noi " diversamente giovani " il numero di canzoni aumenta in maniera smisurata perchè il tempo che è passato è tanto anche se sembra tutto avvenuto poco fa.
A un mio amico di fb (fonte frequente di idee) piace il rock e solo il rock, a me non piace, la mia è puradi ignoranza del genere.
L' ing ama tutta la musica, senza riserve: lui suona anche e, come tutti quelli che suonano, non ricorda le parole; a volte, quando di sera si mette alla tastiera lui suona, io canto e dico che si  è aperto il piano bar.
Ma le canzoni come ricordi, quelle chi le dimentica?
Quando io ero piccolissima e Sanremo era veramente Sanremo il giorno dopo il  festival i giornalai vendevano dei libricini con le parole di tutte le canzoni e, da subito, tutti le sapevano a memoria e le cantavano.
Io mi sono innamorata la prima volta il 21 aprile del 1963 ballando " Io che amo solo te " di Sergio Endrigo.
D' estate a Vico negli anni '60 si ballava al Circolo dell' Unione sotto gli occhi indulgenti dei genitori, e nascevano gli amori estivi.
Mia madre un giorno mi diede uno schiaffo perchè la sera prima mi aveva visto ballare un lento con un cameriere del bar; come si era classisti, quel povero ragazzo era uno studente dell' Istituto Alberghiero, bello come il sole: oggi forse è uno chef di fama.
A Vittorio piaceva il rock e, una sera, nel '73 mi portò a vedere i Genesis che si esibivano al Palazzetto dello Sport; è stato uno degli incubi della mia vita quella sera: il rumore, le luci un senso di fastidio e di oppressione.
A mio padre piacevano le antiche canzoni napoletane, un mio zio bancario, bravo al pianoforte, d' estate a Vico le suonava e noi parenti e amici ci divertivamo a cantarle; mi sono fatta una cultura in questo,  ricordo tutte le parole e mi piacciono; a volte le canto con il mio macellaio di Milano, non è napoletano ma è un esperto del genere.
Credo che la moglie si vergogni, ma noi anche davanti ad altri clienti ci esibiamo in " Malafemmena" o " Lacreme napulitane". Abbiamo un affiatamento più che ventennale e, nelle nostra piccola follia riscuotiamo successo tra i presenti.
Da ragazzi impazzimmo per gli Inti Illimani: quanti concerti andammo a vedere e si concludevano tutti con " El pueblo unido"!
Ho amato Gianni Morandi e con mia sorella andavamo a vedere tutti i suoi film " musicarelli".
Li vedevamo più volte tanto che mia sorella era, a volte, zittita, perchè anticipava le battute.
Si ballava il cha-cha-cha, il rock and roll, ma poi venne lo shake e si ballò solo quello; ovviamente c' erano i " lenti " e quelli servivano per abbracciarsi e far solo finta di ballare.
Mi è piaciuto Peppino Di Capri da sempre e per sempre; abitava a Napoli nel palazzo di mio suocero e lo incontravamo nell' ascensore. Ha sposato la figlia di un' amica di mia mamma.
Una mia amica e io abbiamo periodi di " astinenza " da Peppino e una volta ogni due o tre anni, se viene in costiera DOBBIAMO andare a vederlo, i mariti ci accompagnano e ci vengono a prendere, almeno risparmiano due biglietti!
A me, non so perchè, è sempre piaciuta molto l' operetta ma è un genere che ora è poco rappresentato. Poco prima di venire a Milano andai al S. Carlo a vedere un' edizione meravigliosa de" La vedova allegra " con Raina Kabaivanska e Elio Pandolfo, c' era anche un tenore tedesco bellissimo e sembrava di essere a teatro nell'800: le signore gli lanciavano fiori e anche gioielli.
Fu un' edizione memorabile: prima e dopo ci furono modeste compagnie di operetta, l' ultima fu quella di Sandro Massimini che abitava qua vicino e che morì abbastanza giovane. Nei primi anni di Milano, al Nazionale nelle vacanze di Natale c' era il Festival dell' operetta: ne davano tre o qauattro, le più famose e io portavo zia Vittoria e mio suocero, che venivano da Napoli, a vederle.
Amo molto i musical:  ho cantato come ninna- nanna ai miei figli tutte le canzoni di Mary Poppins, ho visto My fair Lady a teatro, a cinema e in tv tutte le volte che ho potuto e non parliamo di : " Tutti insieme appassionatamente"
Il mio difetto- pregio è cantare sempre e dovunque, a volte al supermercato, mentre spingo il carrello, non mi accorgo di alzare la voce e vedo qualcuno guardarmi in modo strano ma generalmente  tiro dritto e canto, abbassando un po' il tono.
Un giorno, proprio al super ho incontrato un tizio che cantava anche lui; ci guardammo, ci comprendemmo e ci complimentammo a vicenda.
Quale, per me, la più bella canzone fra tutte?. Semplice :" My way " naturalmente cantata da Frank Sinatra; non è solo una canzone, è una dottrina di vita.

martedì 11 ottobre 2011

LETTERA A UNA FIGLIA AMOROSA



Cara signora Maria,
dicono che facebook sia una comunità virtuale; lei e la sua famiglia, in questi giorni, tra i tanti pensieri, avete avuto anche questo: noi amici di Gaetano che,  preoccupati per la sua assenza, riempivamo di frasi e di pensieri la bacheca.
Gaetano è un grande artista ma soprattutto è un uomo ricco di umanità; qualche tempo fa mi parlò  con orgoglio della sua bella famiglia, così come partecipò con gioia al fatto che da pochi mesi io sono diventata nonna.
Essere grandi artisti non è da tutti; ma essere persone profondamente umane e sensibili è da pochi e Gaetano lo è; io non parlo a nome mio ma anche a nome della moltitudine di amici VERI che lui ha su fb.
Tutti noi siamo stati in pena; lei, che è sua figlia e quindi profondamente umana e sendibile è stata così delicata da aprire la bacheca e rassicurare in chat o sulla pagina tutti noi!
Grazie per la sua delicatezza che la rende degna figlia di suo padre; possa il nostro affetto essere come un grande abbraccio che aiuti Gaetano e voi in questi giorni che, sono sicura, passeranno.
Presto lo rivedremo su fb, rivedremo le sue opere ma soprattutto leggeremo la sua saggezza antica e umana.
Che la vita vi sia lieve, che questo periodo passi presto,  siamo in tanti a farvi compagnia e la pagina, grazie a lei sta riprendendo a funzionare.
Grazie ancora e un abbraccio a Gaetano e a tutti voi da parte di tutti noi
Eva Gambardella

lunedì 10 ottobre 2011

LETTERA A UN AMICO MOMENTANEAMENTE ASSENTE



Caro Amico,
In questo periodo sei assente, e io e tanti altri speriamo che presto tu possa tornare a chiacchierare con noi.
Su facebook l' amicizia, si sa, è virtuale ma spesso quando si tratta di persone speciali le sentiamo veramente amiche.
Spero che tu sappia che la tua bacheca in questi giorni è come un fiume in piena, un fiume di affetto; ci mancano le immagini che siamo abituati  a vedere e di cui godiamo da tempo, ci manca il saluto domenicale tutto in lettere maiuscole.
A me mancano anche le tue mail, sempre incoraggianti e piene di buon senso; ci siamo sentiti vicini in momenti difficili ora per uno ora per l' altro e sempre hai trovato parole sagge e ricche di buon senso e umanità.
Sinceramente mi sento in colpa in questi giorni; sono stata superficiale, piena di impegni e di ospiti, abituata alla tua presenza come a un sottofondo noto e costante.
Non ho notato subito la tua assenza e me ne faccio una colpa:  si è spesso distratti e presi da mille faccende quotidiane che ci impediscono di notare subito la mancanza di qualcuno, anche perchè, solitamente quando ti assenti, lo dici.
Sappi che la pagina di fb è vuota senza la tua presenza,  sembra quasi di sentire le tantissime voci delle persone che chiedono di te.
Torna presto, ti aspettiamo con affetto grande
Eva

sabato 8 ottobre 2011

COSIMO IL FEDELE, FORTE COME UNA ROCCIA.



Di Cosimo ho già parlato altre volte;  quando insegnavo a Melito, vicino Napoli è stato mio alunno dal 1983 all' 86, l' anno prima che partissi per Milano.
Era l' ultimo di quattro fratelli, due maschi e due femmine; la sorella maggiore era stata mia alunna, gli altri due in sezioni diverse. Lo ricordo ancora, aveva appena undici anni e si impuntava perchè il padre parlasse con il segretario, il preside o chiunque altro: VOLEVA essere nella mia classe. Se penso alla fedeltà la immagino incarnata in lui; non era di molte parole, era cosciente delle sue capacità e si impegnava il giusto; non era leccapiedi, se pensava di avere ragione sosteneva con forza il suo punto.
Il padre aveva un vivaio e ci teneva che i figli studiassero, ma lo aiutavano anche nel lavoro: a Natale vendevano gli alberi, collaboravano in tutti i modi.
Mi raccontavano che, quando erano piccoli, se non obbedivano il padre li puniva; li legava per la vita come salami al soffitto e diceva che sarebbero scesi da là quando avessero cambiato idea. Cosimo somigliava alla sorella maggiore in quanto a cocciutaggine ma in quanto ad affetto, forse nessun alunno nella mia vita mi ha voluto bene quanto lui.
Il padre lo voleva ragioniere, lui ed io volevamo che frequentasse l' Istituto Alberghiero; era portato, aveva dentro questa passione.
Ci furono molte discussioni e molti interventi da parte mia; naturalmente lui, senza troppe parole, l' ebbe vinta.
Poi io partii per Milano, per molti anni ci sentimmo, anzi uno dei primi contratti, appena diplomato, lo ebbe d' estate al nostro Circolo del Tennis a Vico.
Io penso e dico spesso che, per me che ho lavorato con i ragazzi con grande passione, facebook è come una fata buona con la bacchetta magica: mi fa vedere il futuro diventato presente.
Ora Cosimo è mio amico su fb, ci siamo ritrovati e anche risentiti;  ha 40 anni, moglie e tre figli, è uno chef affermato, ha due ristoranti ed è professore all' Istituto Alberghiero, oltre a partecipare a meeting e altre manifestazioni del settore. Spesso mi scrive che se non fosse stato per me che gli avevo indicato la strada, non sarebbe quello che è oggi.
Io non credo, penso che ce l' avrebbe fatta comunque; spero solo che gli anni divertenti e appassionanti come un' avventura trascorsi insieme gli abbiano lasciato quel pizzico di follia e tanta curiosità che io ho sempre cercato di comunicare perchè l' avevo anche io.
Oggi mi sono commossa:  ha postato un piatto particolare e sotto c' erano i commenti entusiastici dei suoi alunni che lo ammirano tantissimo!
Ho fatto anche io un intervento, ma mentre lo scrivevo mi sentivo un' intrusa, ero di troppo nel magico rapporto tra allievi e professore.
Cosimo ce l' hai fatta, e alla grande!

venerdì 7 ottobre 2011

GIORNATE AMERICANE


La mia nota di ieri sembrava a me, come ad altri, stranamente malinconica e rifletteva qualcosa accaduto in questi giorni; oggi mi sono ripresa e spiego il perchè della mia stanchezza mentale e fisica.
Qualche mese fa, l' ing mi comunicò che gli aveva scritto una mail una cugina dall' America dicendo che a ottobre sarebbe venuta in Italia per " ritrovare le origini " e che lui le aveva risposto invitandola come nostra ospite nelle sue giornate milanesi.
Io prima  amavo molto avere ospiti, ora meno, se si tratta di amici intimi non c' è problema, ospitare in casa due persone di cui una mai vista ( l' amica della cugina ) e l' altra vista l' ultima volta 32 anni fa diventa più problematico. Ma per amore dell' ing non sarebbe stato un gran sacrificio.
In realtà è una cugina in secondo grado: suo padre e mia suocera erano figli di due sorelle; questo cugino finchè è vissuto è venuto in Italia quasi ogni estate con la moglie. Erano persone deliziose, divertenti e brillanti molto legati anche a mia mamma. Hanno passato molte estati con noi a Vico e abbiamo dei bellissimi ricordi di loro.
Scambio di mail e telefonate sempre più intenso, dibattito se ospitarle nella nostra camera da letto ( opinione mia), o in quella dei ragazzi ( l' ing).
Vince lui per 1 a 0 e prepariamo la camera, che in effetti è già pronta, trasformata com' è in studio con il divano letto sotto il quale c' è un altro letto, librerie, tavolini, la mia scrivania aerea da dove il computer verrà spostato ( tragedia per me!!! ).
Vado al super la settimana scorsa e faccio una mega-spesa; la visita durerà per quattro giorni;  saremo in quattro per breakfast e cena, il lunch si farà in giro per Milano, verranno i ragazzi e quindi a volte saremo sei o forse otto; quindi compro qualunque cosa.
Il giorno dell' arrivo Vittorio mi telefona dall' ufficio verso mezzogiorno ( dovrebbero arrivare alle sedici ) e mi comunica che alla stazione di Roma alla cugina hanno rubato portafogli,  passaporto, carte di credito e contanti,.
Rimane stupito dalla mia non-reazione; già ero immersa in preparativi per la cena della sera, già ero un po' in ansia per il mio inglese che ha bisogno sempre di qualche giorno per " carburare ", non so ma la cosa mi lascia muta ( e ce ne vuole ).
Reazione di Paolo quando glielo racconto: " Cominciamo bene! " che anche non è fatta per incoraggiare.
Già all' arrivo del treno, prima tappa in questura dell'  ing con le turiste.
La povera derubata, che già di suo si è scoperto non avere un carattere facile, piomba a casa mia arrabbiata nera.
Il tempo passa tra telefonate alle compagnie di taxi di Roma ( vuoi vedere l' abbia dimenticato là) e telefonate ancora più convulse in America per bloccare le carte e chiedere che le venga spedito del contante.
La sera si cena,  due chiacchiere, poi a letto. La mattina dopo, breakfast, poi l' ing e le due vanno in questura e al consolato. Là devono farle un nuovo passaporto; scatta le foto, non le piacciono, le impediscono di rifarle, urla contro i suoi connazionali che l' hanno anche tenuta in attesa per quasi due ore, poi l' ing le porta al Duomo, in galleria.
Tornano e la situazione sembra essersi calmata; la seconda sera siamo invitati a cena da mio cognato dove ci raggiungeranno anche Paolo e Valentina.
Stefano, Gloria e la piccola Virginia, tra lavoro, asilo nido e spostamenti vari non sono venuti .
Sotto casa di mio cognato l' ing ci lascia e va a parcheggiare; noi attraversiamo un primo cortile per entrare poi nell' atrio della casa.
La cugina americana ha un collare perchè alcune settimane fa l' hanno operata a tre vertebre e deve portarlo per precauzione; stiamo per entrare quando alle nostre spalle sentiamo che Vittorio ha parcheggiato e sta per suonare il citofono.
La cugina settantenne, con un balzo da pantera corre ad aprirgli, non vede uno scalino, cade e batte violentemente la faccia contro il cancello di ferro.
Urla: " Oh my God, oh my God ", Vittorio grida di chiamare un' ambulanza; lei si gira e vedo una maschera di sangue e altro sangue che viene giù dal naso.
 Un amico di fb mi aveva scritto scherzosamente di non fare come in" Arsenico e vecchi merletti"; che dire, la poverina sta pensando da sola ad auto- eliminarsi!
Chiamiamo l' ambulanza e vengono questi ragazzi gentilissimi del primo soccorso; le misurano la pressione, le tamponano il sangue, ma lei continuando ininterrottamente ed energicamente a parlare, rifiuta di andare in ospedale :" No hospital, no hospital " ripete come una litania.
Ai poveretti non resta che farle firmare una liberatoria, raccomandare a noi di controllarla e poi finalmente possiamo salire e cenare.
La tempra è robusta e se la cava con un bozzo sulla fronte.
Il terzo e quarto giorno, l' ing le scarrozza per ogni dove, io tra  braekfast,  lunch e cene, cerco di ritrovare qualche attimo di pace, ma con la mia cara Delia quando loro non ci sono, rifacciamo letti, sparecchiamo e apparecchiamo tavole, riordiniamo casa.
L' ing prenota anche il treno per Venezia e Firenze ( prossime tappe del viaggio ) e gli alberghi nelle rispettive città:  penso sempre più che sia un angelo travestito da uomo, ha una pazienza infinita!
Ieri sono partite alle sedici;  ultime fotografie, ormai gli occhi della poverina erano tutti neri per la caduta ( in America penseranno che picchiamo gli ospiti ).
Poi Vittorio  le ha accompagnate alla stazione in taxi ed è tornato in stato di grazia, libero una volta tanto da impegni di lavoro e di ospitalità.
A casa abbiamo festeggiato con vino bianco ghiacciato, patatine e noccioline; squillo del telefono: è un nostro amico di Napoli, compagno dalle medie dell' ing che dice che sarà a Milano domenica e verrà a cena ( ma lui è in albergo e poi e di quelli intimissimi che vediamo sempre con gioia).
C' era una canzone lunghissima e comica napoletana di Armando Gill che raccontava un' avventura amorosa che si rivela una " bufala " ai danni del protagonista.
Tra una strofa e l' altra, in genere chi la canta si ferma e invita il pubblico a dire :" E allora?".
E allora è finita bene perchè il computer rimane qua in salone sul tavolo sorrentino. Ho detto addio per ora alla mia scrivania aerea , qua come postura sto molto più comoda, non sembro un gufo che scrive e non mi sento le spalle " incriccate" ; in definitiva le giornate " americane " sono state faticose e piene di emozioni, ma sono finite e bene!!!

giovedì 6 ottobre 2011

CHE ETA' HO?


Credo che ognuno di noi, come è giusto, viva alla sua maniera la propria vita e partecipi a quella degli altri.
Ma io che età ho?
 Non era appena poco tempo fa  che gli adulti quarantenni  mi sembravano vecchissimi ? Perchè riesco a sentire ancora sulla mia pelle le emozioni di quando ero ragazza?. Basta una canzone un profumo, una parola, il ritrovarsi insieme ed ecco che gli anni sembrano svanire e invece tanto è accaduto e si è vissuto.
Credo che per ognuno noi ci siano, nel ricordo, delle età o dei periodi che sembra siano dietro l' angolo, ma no non sono passati, si sono solo un momento allontanati.
A scuola, all' improvviso mi sentii non più giovane; non con gli alunni, per loro, grazie a Dio, non si ha età; fu quando le colleghe giovani, le supplenti, quelle appena arrivate cominciarono a darmi del lei e non c' era verso di costringerle a dare il " tu", non ci riuscivano, semplicemente.
Cominciai a vedermi con i loro occhi; ma non era solo pochi anni fa che noi giovani professoresse giudicavamo cariatidi quelle che erano nella scuola da tanti anni?
Ci sono i momenti in cui al portone o all' ingresso di un negozio, persone che ti sembrano coetanee ti cedono il passo, dicono:" Prego, prima lei".
Dentro ti senti uguale; certo, come dicevo oggi, quando sta per cambiare il tempo te ne accorgi, capisci di avere delle ossa e dai loro anche dei nomi, le individui insomma.
Il difficile è che dentro tutto è presente, non hai il sentore della quantità di tempo che sia passata da un certo evento, ti sembra proprio recente, poi ti rendi conto di quanti anni siano trascorsi e il fatto che ti sembri di essere la stessa di allora è solo una tua illusione.
Molti dicono: " Non conta l' età che si ha ma quella che si dimostra". Ci sono dei momenti in cui te la senti tutta. Quando capita? Quando, per esempio, leggi " Anziana pensionata di 55 anni derubata da un motociclista".
E " dentro" oggettivamente delle età continuano a sembrarti da anziani ma è come non riguardassero te, come se tu fossi fuori dal conteggio.
Quando poi due conticini te li fai scopri che sei " anziana" o " di mezza età " parole veramente insopportabili.
E' come nei sogni: vorresti protestare, dire che non è così, invece sei costretta a fare i conti con il reale...è il reale è che il tempo trascorre e un po' di artrosi c' è e mentre prima con le amiche si parlava di moda ora a telefono o al bar si parla di analisi,  di colesterolo e trigliceridi e c' è una specie di curiosità morbosa nello scambiarsi e chiedere notizie sull' argomento.
Sarà che sono diventata nonna? Saranno momenti passeggeri?
Certo che perciò sto da Dio a Vico; là ci conosciamo tutti da piccoli e, essendo i rapporti di età immutati, ci vediamo con gli stessi occhi di allora, in pratica è come se d' estate gli anni non passassero.
Io sono stata sempre felice di essermi trasferita da Napoli a Milano ma, a volte, invidio le mie amiche milanesi che continuano a frequentare per tutto l' anno gli amici di sempre: essersi conosciuti da ragazzi garantisce come una rassicurante, anche se illusoria, giovinezza.
Sarà perchè prima ero tanto amante della compagnia, della gente, amavo uscire a tutte le ore anche la sera tardi, nulla mi bastava mai.
Poi è venuto il tempo della quiete, del piacere anche di un po' di solitudine, dei riti ripetuti, delle abitudini consolidate che sono come dei paletti che ti rassicurano che nulla sta cambiando, dell' ansia nei confronti delle novità quando prima qualunque evento nuovo ti stimolava e ti incuriosiva.
Forse è questo invecchiare; e, se ci si riflette, si prova un poco di tristezza.

domenica 2 ottobre 2011

ANCORA SU MONDO REALE E MONDO VIRTUALE


Tempo fa ho parlato sul mio blog di facebook: vorrei dire ancora qualcosa.
Ripeto che, inizialmente, entrai per contattare ex alunni; da questo punto di vista, come in una bella favola, ho realizzato il sogno di ogni professoressa di lettere (o altro ) che abbia svolto per quasi 40 anni questo lavoro con passione: sapere cosa ne sia stato dei propri alunni, se hanno realizzato i loro sogni e aspettative, se noi abbiamo lavorato bene per loro e individuato le loro potenzialità.
In terza media svolgevamo sempre un tema in classe:" Io e i miei compagni fra 20 anni". Veniva fuori di tutto: l' antipatico della classe sarebbe diventato spacciatore o, nel migliore dei casi, un barbone; il secchione diventava un povero sfigato.
Poi, in genere, lo impostavano sempre allo stesso modo: inventavano una festa o una giornata particolare in cui, come per incanto, tutti incontravano tutti; diventava un elenco di nomi seguito da successi e insuccessi a seconda della maggiore o minore simpatia che li teneva uniti.
Una sola volta ci fu uno svolgimento insolito: un ragazzo, geniale e distratto, con tutti i pregi e difetti del vero genio, uno di quelli che è stato il primo di due fratelli miei alunni ( di quante famiglie ho avuto in classe il primo/a e poi secondi e anche terzi ) scrisse che era era stato invitato ad una festa e aveva incontrato persone gentilissime che sembravano ricordare benissimo lui chi fosse e che, invece, lui non conosceva affatto.
Solo per combinazione aveva scoperto, dopo, che si trattava dei suoi ex compagni delle medie; li aveva semplicemente rimossi. Aveva ragione, non fu una classe delle più simpatiche, non per i singoli ma per lo spirito di classe che è un' altra cosa.
Del resto da quando sto su fb le abitudini dei giovani sono già cambiate: loro le novità le divorano, le assimilano e le cambiano, ora è raro trovare link postati da ragazzi o anche da giovani o da adulti al di sotto di una certa età.
Scrivono brevi, criptiche frasi oppure usano il mezzo per chattare.
Sono stati sostituiti sempre di più  dai " diversamente giovani", da noi insomma.
Desiderio di aggregazione? Non sempre. Una punta di narcisismo? Certamente, vedere le proprie impressioni scritte e commentate fa provare spesso un senso di orgoglio. Solitudine? Qualche volta.
Molti come i fotografi lo usano semplicemente per esporre le proprie foto: poi fa sempre piacere vederle commentare positivamente sia da profani che da addetti ai lavori.
Io ho tanti amici fotografi e più che piacermi o meno e scriverlo, non posso, di fotografia non ne capisco niente: invece loro sono attentissimi e si fanno complimenti e usano termini tecnici.
Se penso all' ing che, da quando i ragazzi erano piccoli e anche ora che siamo noi due soli, un giorno d' estate, uno degli ultimi, quando non può più farne a meno, come se prendesse un antibiotico, prende la macchina fotografica, scatta quanto più può, come viene viene e considera la cosa terminata. Esiste la testimonianza visiva che le vacanze e Vico sono là dove  e come sono sempre state negli ultimi 55 anni.
Ho delle vecchie foto di gruppo, specie se eravamo in molti, che venivano fuori da sue impazienti raccomandazioni : " State  un po' più stretti, abbassatevi un po'" Sembrava Totò in " Miseria e nobiltà "; spesso venivamo acefali o senza piedi.
Ne conosco tanti di fotografi e sono loro  amica nel senso che ci scriviamo e con qualcuno ci telefoniamo.
 Jacqueline  ha un modo personalissimo e " maschile " di fotografare la realtà e definirlo maschile è un complimento: va all' essenziale, senza fronzoli, il suo mondo è limpido, nitido, ordinato; io dico spesso che Jacqueline farebbe sembrare ordinati, se li fotografasse, anche i cumuli di " monnezza " di Napoli.
C' è, tra i fotografi, uno le cui foto mi fanno commuovere tanto le vedo belle; non dirò il suo nome,è una persona schiva. Fotografa  sempre in bianco e nero e riesce a dare un' anima alle cose o mette la sua anima interamente in quello che rappresenta.
Mi è capitato di assistere in modo indiretto a eventi umani che lo hanno toccato e penso che abbia veramente una bella anima.
Dopo aver detto la mia da non tecnica sui fotografi passo all' amicizia.
Una mia amica di fb con cui abbiamo preso l' abitudine di sentirci anche telefonicamente, mi ha comunicato che ne usciva  per le troppe delusioni ricevute.
Ho cercato di dissuaderla ma lo ha fatto ugualmente.
Penso che non dobbiamo sovradeterminare il mezzo: è piacevole discorrere, scambiarsi opinioni, scoprire interessi comuni, in qualche caso intrecciare vere e proprie amicizie, ma poi basta.
 Nemmeno nella vita "reale" dobbiamo caricare persone che ci sono care di aspettative esagerate; ognuno ci dà quello che può e non possiamo pretendere di più.
Un' ultima notazione che non avevo mai fatto prima: ci sono presone che conosco su fb da tanto tempo, addirittura " amici " della prima ora, che sono lettori assidui del mio blog quindi sanno tutto di me e io di loro non so nulla, nemmeno che lavoro facciano, nemmeno il volto conosco perchè si nascondono dietro dipinti o immagini di fantasia;  la prudenza va bene, ma penso che sarebbe più giusto, anche se poco, " gettarsi dentro", giocare alla pari. Ma è un' opinione come un' altra; ognuno poi faccia come meglio crede.