mercoledì 28 marzo 2012

LETTERA A FRANCESCO


mo di tutti; riportasti la gioia e il sorriso dopo otto mesi.
Papà nostro era morto a ottobre e mamma non aveva voluto intendere ragioni: aveva messo, contro tutte le usanze della nostra famiglia, il lutto.
Riuscimmo a farle promettere che lo avrebbe tolto il giono della tua nascita.
Quella mattina MariaCaro Francesco,
oggi è uno dei giorni più belli della mia vita, figurati della tua.
Ho pianto come una fontana come quando si vede :" La vita è meravigliosa " di Frank Capra e si comincia a singhiozzare quando lui capisce di essere " tornato" e si continua fino a quando suona la campanella sull' Albero di Natale.
Non posso dirti ch ti amo più dei miei figli: uguale ( non come Troisi e Benigni in " Non ci resta che piangere") veramente uguale, forse con un pizzico di struggimento in più.
Perchè tu fosti il pri Gambino suonò al citofono e disse a me e Vittorio: " La signora Pina è andata a comprare il bambino: è masculo!!!"
Il sesso per Maria era di importanza vitale!
Mamma fu di parola; quellla mattina stessa tornò dalla clinica e mise un vestito blu a fiorellini rosa: lo ha usato tanto, le piaceva.
Poi ci fu il lettino da campo vicino al lettone della nonna e da allora tanti ricordi.
Quella volta che avevi la febbre alta e mamma nostra aveva paura che delirassi e ti cantava :" Furia cavallo del West " finchè tu non ridesti e lei si tranquillizzò.
Ci sono montagne di foto e ognuna porta con sè un ricordo: tu e Stefano sempre insieme quasi della stessa età, e poi anche Michela e poi Paolo e sempre tutti insieme.
D' estate andavamo a Vico e all' inizio vi amavate molto e volevate dormire tutti e quattro insieme e Maria.
Alla fine dell' estate, dopo tre mesi, cominciavano i litigi e Pina diceva:" E' il momento di tornare a Napoli".
E si tornava ma due giorni dopo eravate di nuovo tutti insieme a giocare.
I Vadacca e " Retequattro!!!" urlata a dispetto del ragazzino che abitava nel palazzo di fronte.
E quando scendevamo al Circolo con il Maggiolone e cantavamo " Azzurro" sceneggiandolo e facevamo finta di " cercare l' estate" o passavamo sotto il ponte e cantavamo :" Il treno se ne va"
Una volta eravate in otto dietro il Maggiolone e ci accorgemmo che avevamo dimenticato Paolo al Circolo e tornammo e lo trovammo che ci aspettava come un piccolo lord, composto e un po' apaesato.
Una sera salivamo dal Circolo con la 500; c' era tua mamma, io che guidavo e forse tu e Stefano.
A un tratto, all' altezza della villetta, il cofano davanti si sollevò e io non vidi più niente; Pina disse che sarebbe scesa lei, di non preoccuparsi. Aprì la portiera della macchina e scomparve; c' era un fosso a terra ed era caduta dentro. Lei rideva come una pazza e tutti noi a ridere dietro.
Poi vi trasferiste a Vico e l' anno dopo, Vittorio e due anni dopo noi, a Milano.
D' estate, quando tornavamo tu facevi i bagagli e dicevi che venivi in campeggio a casa nostra.
Quando tu e Stefano batteste in un doppio quei due fighetti delle Axidie e tu, sfidando le ire di Marcantonio, corresti a tuffarti in piscina in completo da tennis, scarpe incluse.
Quando passavamo il Capodanno dai Lamarra e si faceva la gara di botti con quelli del palazzo di fronte.
Quando avevamo la casa col terrazzino fresco e nel pomeriggio io riposavo dentro e tu venivi a studiare approfittando del venticello e chiacchieravamo io da qua e tu da là della finestra.
Poi tornavi a casa tua, facevi la doccia e ritornavi per cena e poi passavamo lunghe serate con Ciro, Alessandra e quel ragazzo di Vico che si trasferì in Toscana e Stefano a giocare a Trivial Pursuit e ogni tanto qualcuno si affacciava al cancello in alto e poi c' erano il nonno e mamma e zia Vittoria e una sera a Ferragosto eravamo tantissimi!!!
E quando c' era la sera dei fuochi e ci mettevamo tutti in fila a decidere se fossero più belli i fuochi di quell' anno o dell' anno prima e voi facevate il " totomorto " e non ci prendevate mai perchè durante l' anno moriva sempre qualcuno ma non quello, sempre lo stesso, su cui puntavate.
E una notte desti allegria alla tua mamma e la facesti ballare in un momento in cui c' era ben poco da essere allegri ( e quando penso a quello è tanto l' amore per te e per lei che il cuore me lo sento stretto come una morsa).
E quando venimmo da Milano perchè era morto il nonno e tu che non avevi mai visto morti continuavi a dire : " Per favore non voglio vederlo" e si aprì la porta ed era là nel mezzo e non c' era modo di evitarlo; a volte anche in momenti tristi si ride.
Quando ci trasferimmo nella casa sopra che non era bella come l' altra ma quante pizze di Gigino e quante serate sul balcone a chiacchierare; e anche là continuarono i fuochi e le previsioni sbagliate sul totomorto.
Quando venivi qua a Milano, a volte all' improvviso ed era sempre una gioia!
E ora dopo tanto studiare e soddisfazioni e l' esame di procuratore e il lavoro di avvocato è arrivato il giorno del sogno raggiunto!
Dividilo con tutti noi che ti amiamo, ma tienilo anche stretto un momento per te.
E' un istante, dura poco ma è il momemto del conseguimento, come quando si scala una montagna e si raggiunge la vetta, come la notte dopo che a noi donne nasce un figlio.
Sono momenti sospesi nel vuoto, istanti di pura gioia, non turbati da niente; dopo verrà il lavoro, la routine, le soddisfazioni e qualche delusione.
Ma questo è il momento perfetto: resta fermo per qualche istante, stringilo al petto questo sogno diventato realtà, poi spalanca le ali e vola verso la vita e verso ogni gioia possibile.
Con tutto l' affetto del mondo!
Eva

I FATTI DI BRONTE E "LIBERTA' " DI GIOVANNI VERGA




Accadde durante l' impresa dei Mille, in Sicilia a Bronte.
I contadini che lavoravano per una miseria terre non loro speravano, prima o poi nella spartizione di queste; già Garibaldi al suo passaggio aveva diviso dei latifondi e dato terre, ma non a Bronte.
I Borboni nel 1799, per ringraziare gli Inglesi e Nelson in particolare per averli aiutati a soffocare nel sangue la Repubblica Partenopea, avevano regalato quella che viene chiamata:" Ducea di Nelson" un latifondo dove prima, secondo antiche usanze, i contadinii si servivano delle cosidette " terre comuni " per il pascolo o del taglio della legna nei boschi.
Quel terreno non fu toccato anche perchè dietro l' impresa dei Mille c' erano finanziamenti inglesi.
I contadini, esasperati, nel sentire risuonare la parola " LIBERTA' " che per loro signigficava spartizione delle terre un giorno d' estate si rivoltarono e massacrarono i " galantuomini " cioè i signori. Del movimento facevano parte anche borghesi divisi in fazioni più estremiste e in altre moderate; ma di ciò non scrivo.
Questa storia di libertà, sangue, violenza, ignoranza e pietà viene raccontata da Giovanni Verga in una novella intitolata appunto:" Liberta' ".
Nella prima parte che è tutta un incalzare, si assiste al cieco e tremendo massacro da parte dei " villani" di signori, donne, bambini.
La rabbia momta in loro e li spinge a usare qualunque arma: zappe, picconi, mani piedi;i bambini calpestati, scricchiolio di ossa, persone che vengono spinte giù dai balconi.
La seconda parte della novella ci mostra come alla rabbia cieca segua un ottuso silenzio e una domenica di smarrimento.
I contadini non lavorano perchè non ci sono i signori a dare loro ordini, le campane della chiesa non suonano e non c'è funzione religiosa.
Solo ignoranza, quasi spavento per quello che la loro rabbia insensata li ha portati a fare.
Arriva Nino Bixio, il luogotenente di Garibaldi, fa arrestare i rivoltosi, cinque o sai vengono fucilati subito perchè siano di esempio, gli altri portati in città e chiusi in carcere per tre anni in attesa del processo.
Nei primi tempi le donne li seguono, qualcuna trova lavoro in città, qualcuna " si perde", poi lentamente la vita al paese riprende come prima: i signori a comandare, i contadini a obbedire.
La moglie di uno dei rivoltosi diventa la donna di uno dei signori e lui, l' uomo, ci prova gusto ad averla tolta a quell' altro.
Quando c'è il processo, il tribunale è affollato, i giuduci confabulano tra loro poi uno di essi si alza e pronuncia le parole che condannano i " villani " al carcere a vita.
Verga, nel suo stile impersonale secondo l' uso verista, rivela la pietà per la cieca ignoranza dei contadini sfruttati nella frase finale della novella:" Il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: - Dove mi conducete?- In galera - O perchè? Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c' era la libertà!...-

Mi è venuta in mente la novella vedendo il titolo e le belle elaborazioni di Sandro Scalera e Mario Bozzi: che tutti imparino il significato della parola: " LIBERTA'".
Spesso prima che lo si impari scorre sangue anche innocente e spesso forze occulte e più potenti manovrano persone inconsapevoli, spingendole anche a sbagliare.
Chiedo scusa a tutti gli amici siciliani: conoscono i fatti di Bronte meglio e più profondamente di me; io mi sono limitata a ricordare la novella del Verga.
Sui fatti di Bronte esisteva un bellissimo film di Florestano Vancini:" Bronte: cronaca di un massacro" che come tutti i bei film non compare nei palinsesti televisivi.

martedì 27 marzo 2012

PIGMALIONE E GALATEA


Attraverso due elaborazioni di Sandro Scalera e due di Mario Bozzi, quest' ultima mi riporta alla mente il mito di Pigmalione e Galatea.
Ovidio ne " Le Metamorfosi " ce ne parla.
Pigmalione, re di Cipro, era anche uno scultore e aveva creato una statua in avorio che aveva chiamato Galatea dal greco " galaktos", latte per il suo colore.
Si era innamorato della sua opera tanto da dormire con essa sperando che, un giorno o l' altro, vivesse di vita propria.
Afrodite, la dea della bellezza e dell' amore, non restò insensibile alle sue preghiere ed egli vide la sua amata statua animarsi e vivere.
Si sposarono ed ebbero un figlio che chiamarono Pafo, nome che poi venne dato a una città dell' isola di Cipro.
Nei primi secoli del cristianesimo si tese a polemizzare con questo mito considerandolo come culto dell' idolatria.
Invece Ovidio volle solo celebrare l' immedesimazione e l' amore dell' autore con la sua opera.
Il mito di Pigmalione venne poi ripreso in una commedia di G. B. Shaw che ha lo stesso titolo del nome dello scultore.
Nella commedia Henry Higgins, professore di fonetica, scommette con il suo amico colonnello Pickering di poter trasformare una sporca, volgare e rozza popolana: Eliza Doolittle in una signora degna della migliore società inglese insegnandole l' accento delle classi più elevate.
Ma la ragazza, insieme alle maniere eleganti, acquisirà anche una sensibilità più elevata, si ribellerà a Higgins e gli preferirà Freddy, un corteggiatore povero e innamorato.
Ancora un cambiamento, come nelle elaborazioni ed ecco che il mito viene ripreso nel musical portato al successo a teatro da Julie Andrews e Rex Harrison: " My Fair Lady".
Dal musical venne tratto un film con la regia di George Cukor dove la parte della protagonista fu affidata a Audrey Hepburn, che, anche se doppiata nelle canzoni, fu ritenuta più famosa della Andrews ( che, qusi come vendetta quell' anno le soffiò l' Oscar interpretando " Mary Poppins" )
In " My Fair Lady", rispetto al " Pigmalione" di G. B. Shaw, cambia il finale.
Eliza acquista sensibilità e gentilezza da vera signora ma non se la sente di abbandonare il professore Higgins che, nonostante l' aspetto e i modi burberi, come il Pigmalione dell'antico mito, si innamora della creatura che ha contribuito a plasmare.
Così come da un' elaborazione all' altra dei nostri" maghi" della grafica cambiano immagini e suggestioni così anche un mito, nei secoli, cambia pur rimanendo uguale nell' essenza.

lunedì 26 marzo 2012

OPERAZIONE VALCHIRIA, " L' AMICO RITROVATO " E " UN' ANIMA NON VILE"


L' elaborazione di Mario Bozzi, sviluppo di un' altra di Sandro Scalera, tratta a sua volta da una foto di Alina Bertolini raffigura, anche se non ne sono sicura la" Cavalcata delle Valchirie".
Sull' origine di queste creature mitologiche, sulla loro funzione, e su quadri e musica splendida che da esse hanno tratto spunto, oggi non voglio parlare.
L' operazione Valchiria da cui fu tratto anche un film fu un complotto con cui alcuni coraggiosi ufficiali prepararono un attentato contro Hitler.
Furono scoperti e uccisi in modo atroce: impiccati a ganci da macelleria; la morte avveniva per soffocamento e lentamente.
" L' amico ritrovato " di Fred Uhlman è un racconto famosissimo e bello che fa parte di una trilogia.
Hans Schwarz è un ragazzo di origine ebrea che vive a Stoccarda, in Germania. Un giorno nella sua classe viene iscritto Konradin von Hohenfels, un ragazzo di nobile famiglia. Konradin intimidisce i compagni, pur provenienti da famiglie non povere, ma Hans desidera diventargli amico e riesce a catturare l'attenzione di Konradin. Da lì inizia un’amicizia basata anche su interessi comuni: Hans invita Konradin a casa sua, gli fa conoscere i suoi genitori e gli mostra la sua collezione di monete. Anche Konradin invita Hans a casa propria: la sua casa di famiglia è molto più bella di quella di Hans, ma l'amico non lo presenta mai ai genitori. La ragione di ciò sta nel fatto che la madre odia e teme gli ebrei; entrambi i genitori di Konradin non gradiscono che il figlio frequenti Hans. Per questo Konradin giunge a ignorare l'amico quando gli capita di incontrarlo a teatro in presenza di madre e padre. Con questo episodio la loro amicizia comincia a incrinarsi e si interrompe definitivamente quando Konradin scrive una lettera all' amico spiegandogli che lui crede in Hitler ma è sicuro che nella Germania del futuro per gli ebrei come Hans ci sarà posto.
Quando vengono promulgate le leggi razziali Hans viene mandato presso uno zio negli USA; i suoi genitori, il padre era un patriota decorato in guerra con la Croce di Ferro ( e qua si ripropone il tema di quanto un individuo fosse considerato ebreo e quanto cittadino tedesco o italiano durante la persecuzione nazista), decidono di togliersi la vita.
Hans in America per anni rifiuta di riconsiderare il suo passato, così come rifiuta perfino di parlare in tedesco.
Ormai adulto riceve una lettera dalla sua ex scuola che contiene un elenco degli alunni caduti nella Seconda guerra mondiale.
E' combattuto tra il rifiuto del passato e il desiderio di sapere cosa sia accaduto all' amico: legge l' elenco dove, accanto al nome di Konradin è scritto:" implicato nella congiura per assassinare Hitler. GIUSTIZIATO."
Dal passato l' amico ritorna a lui, " ritrovato". Egli sa ormai che l' altro aveva compreso l' orrore del nazismo, ed aveva pagato con la vita la sua redenzione.
Il secondo racconto della trilogia: " Un' anima non vile" è speculare al primo ed è una lettera che Konradin, in attesa di essere giustiziato, scrive all' amico.
Hans non la riceverà mai; nella missiva Konradin ripercorre momento dopo momento tutte le tappe della loro amicizia adolescenziale, parla dell' affetto che li univa, della cieca ammirazione che la sua famiglia e lui nutrivano per Hitler e che lo aveva spinto anche a umiliare l' amico quando a teatro, incontrandolo mentre era con i suoi nobili genitori, aveva finto di non riconoscerlo perchè ebreo.
Ricorda i genitori di Hans, di quanto avesse pianto al loro funerale.
Ripercorre le tappe della tremenda guerra a cui aveva partecipato e di come, poco a poco, avesse capito quale tremenda follia fosse il progetto di Hitler.
Conclude scrivendo:" ...io non avevo mai, mai, mai sentito di Auschwitz e Belsen....Hans, mio caro amico, questa è la verità...non sapevo niente delle camere a gas. Lo giuro...Lo giuro.....Non so se riceverai mai questa lettera...Perdonami mio caro amico - se puoi. Mi hai dato i mesi migliori della mia vita. Il mio amore per la poesia...lo devo a te...La morte mi sta chiamando..."
Quando penso alle Valchirie mi viene in mente " L' operazione Valchiria" e questo libro, tanto amato dagli alunni, che scrive di uno dei sentimenti più belli della vita di ogni individuo: la prima amicizia, quella dell' adolescenza, che rimane sempre nel cuore, che può distruggere una vita o riscattarla.

sabato 24 marzo 2012

IO ALLO SPECCHIO


Il mio gentile amico Mario Bozzi, mago del computer ha voluto regalarmi questa bella elaborazione.
Come ho detto oggi, ognuno di noi immagina se stesso fermo nel tempo; fuori invecchiamo, accumuliamo esperienze, viviamo la vita con i suoi dolori e le sue gioie eppure dentro ci sentiamo uguali a quelli che eravamo tanti anni fa.
A me capita in modo particolare forse per il mio carattere un po' fanciullo, forse perchè ho vissuto una vita tra i ragazzi, anche i miei figli non riescono a vedermi come tanto più grande di loro.
Eppure, quando ti vedi dall' esterno, in una fotografia come questa, vacanze natalizie, tutta la famiglia riunita, allora pensi:" Ma chi è questa vecchia?". Vogliamo dire " diversamente giovane" ma il succo è quello.
Ogni giorno ha impresso un piccolo segno sul volto: il lavoro, crescere i figli, tanti momenti di gioia e serenità, ma anche qualcuno di dolore e poi il trasorrere del tempo e la sua clessidra con i granelli di sabbia che scorrono via in modo inesorabile.
E' vero, il tempo passa e come uno scultore plasma il tuo volto e mentre " dentro" ti senti ancora uguale, ti accorgi che " fuori " sei un' altra.
Pensi a volte: " Mamma mia come vengo male in foto!"; poi vedi quelle scattate con i figli quando erano ancora adolescenti e pensi:" Dio mio, com' ero ancora giovane, e non ero niente male!"
Il nostro amico Gianpietro Valota ha commentato questa elaborazione con una frase: " Eva Assunta in cielo, carriera rapidissima!"
Questo no, metto un bel corno rosso e faccio i debiti scongiuri; dico come nel celebre film:" Gianpietro, il Paradiso può attendere!!!".
Tanto l' età c'è e non si nasconde; sotto quel volto segnato dal tempo c' è tanto amore, tanta allegria, c' è tutto un passato che non rinnego e che rivivrei giorno per giorno.
Certo che guardarsi allo specchio anche se blu e con uno splendido cuore nel mezzo, porta a riflettere.
GRAZIE MARIO!!! SONO COME SONO E NE SONO FIERA!!!

L' UOMO BLU


C' era una volta un uomo gentile e mite; era anche molto bravo nelle sue magìe a computer.
Da fotografie belle che ritraevano la natura ricavava immagini meravigliose, elaborazioni piene di fantasia e anche di sentimento.
Una signora " diversamente giovane" che credeva di non essere capace di inventare favole dovette ricredersi; in parte era merito di lui e delle sue splendide rielaborazioni.
Un giorno questo signore, che a me sta simpatico anche perchè ha la barba e io, con un uomo con la barba ci sto da 42 anni, compì un' altra delle sue magìe: sulla base della foto di un amico elaborò un' immagine speculare di se stesso, tutta in blu!
Quello che non sapeva era che il se stesso blu aveva una personalità indipendente e cominciò a interrogarlo sul suo carattere, sulla sua vita; gli chiese se era soddisfatto dei traguardi raggiunti, se pensava di essere felice, se riteneva di essere ancora giovane o se pensava, come tutti noi, di stare diventando " diversamente giovane".
Il nostro signore cominciò a seccarsi e disse :" Senti, uomo blu, io come ti ho creato così posso cancellarti! Renditi contio che tu non sei altro che una mia proiezione, non sei " altro " da me, sei solo me stesso visto come allo specchio."
L' uomo blu diventò un po' triste vedendosi aggredito in quel modo; in fondo quando ci guardiamo allo specchio, vediamo i " noi stessi" di sempre quelli che crediamo di essere.
Il tempo, invece, in modo inesorabile, ci cambia, giorno dopo giorno e a volte creare un " doppio " di noi può risultare imbarazzante perchè " l' altro " ci pone le domande che sono in fondo a ognuno di noi, domande sulla vita, sulla felicità, sul tempo che abbiamo utilizzato e quello che abbiamo sprecato, su cosa volevamo e se lo abbiamo ottenuto.
Il signore che ha creato il se stesso " in blu", secondo me può essere contento; qualunque cosa la vita gli abbia dato, lui regala tanto agli altri con le sue abilità grafiche e con il suo animo gentile! Il suo " doppio " in blu può essere soddisfatto. All' altro, quello originale, tutti noi amici vogliamo bene perchè è una persona speciale!

martedì 20 marzo 2012

DANTE UOMO DEL MEDIOEVO E POETA DI OGNI TEMPO


Dante fu profondamente uomo del Medioevo: ogni esperienza da lui descritta nella " Commedia " doveva avere valore esemplare e universale, valere non come esperienza individuale ma per tutti gli uomini.
Appartenne a quell' epoca anche per l' esigenza profonda di mostrarsi dotto in qualunque branca del sapere.
Per altri versi fu e rimane ancora oggi di modernità assoluta.
Nemico di Bonifacio VIII, primo papa della storia a celebrare un Giubileo, scrisse il suo poema ambientandolo nella Settimana Santa del 1300 per celebrare, contro quello del pontefice, il suo personale Giubileo, la propria personale via dalla dannazione e dal peccato, attraverso il pentimento, verso la salvezza.
Fu moderno perchè usò una lingua " il volgare " che aveva solo 300 anni e dimostrò in un tipo di verso " vincolante", la terzina a rima incatenata, come questa lingua giovane potesse spaziare attraverso ogni gamma espressiva: amore, dolore, disperazione, politica, fede, fino ad arrivare ad esprimere l' inconoscibile, la visione di Dio.
Usò questa lingua che non era riconosciuta dai dotti dell' epoca i quali si esprimevano in latino e vinse la sfida.
Fino a tutta la critica crociana, quindi fino a meno di un secolo fa, venivano considerati poetici soprattutto i canti dell' Inferno, quelli che trattano le passioni umane.
Celebre fra tutti il canto di Paolo e Francesca; leggendo del loro amore noi come il poeta proviamo compassione e pena; sono belli, giovani, quasi innocenti.
Dante nell' Inferno, fra i dannati, pone queste figure belle e lo fa per dimostrare come anche persone d' animo sensibile ed elevato possano cadere, per una colpa grave, nella morte eterna e nella pena più grave che è la lontananza per sempre da Dio.
Paolo non parla mai, piange; Francesca racconta la loro colpa con accenti toccanti e in quei versi c' è l' implicita condanna del poeta nei confronti della letteratura d' amore del ciclo bretone.
I due sono indotti al peccato dalla lettura dell' amore tra Ginevra e Lancillotto: " Quando leggemmo il disiato riso esser baciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi baciò tutto tremante..." dove il " che mai da me non fia diviso" indica il dramma eterno dell' essere sempre insieme per l' eternità, perpetuo ricordo, l'uno nei confronti dell' altra, della loro colpa.
Nel Purgatorio la figura più bella è forse Manfredi, il figlio bastardo di Federico II, morto in battaglia scomunicato e per questo, dopo morto, fatto a pezzi e sepolto in posti diversi fuori dal Regno.
Lui chiede a Dante di andare da sua figlia Costanza " genitrice de l'onor di Cicilia e d' Aragona" e di rivelarle la verità; in punto di morte si era pentito: " Orribil furon li peccati miei; ma la bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei.".
La critica post- crociana, finalmente rivalutò il Paradiso, ammettendo che, oltre a emozioni generate da passioni umane, esistano emozioni di natura dottrinale e scientifica.
Nel Paradiso Dante si avvicina all' immateriale, alla beatitudine, all' inconoscibile e fa sempre più spesso ricorso a luce e musica.
Non ci sono descrizioni fisiche,nel regno della felicità eterna i critici parlano di " poesia dell' oltranza ".
Il poeta deve parlare di ciò che non è descrivibile e allora ricorre alla " fictio " poetica del sogno: " Qual è colui che sognando vede, che dopo il sogno la passione impressa rimane, e l' altro a la mente non riede, cotal son io, chè quasi tutta cessa mia visione, e ancor mi distilla nel cor il dolce che nacque da essa".
Nel descrivere la Trinità ricorre all' immagine dei cerchi:" Ne la profonda e chiara sussistenza de l' alto lume parvemi tre giri di tre colori e d' una contenenza; e l' un da l' altro come iri da iri parea reflesso, e il terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri".
E infine la visione di Dio che la sua natura non riesce a sostenere se non per un istante e già l' Amore che muove l' universo sposta la sua mente e il suo sentire altrove:"...se non che la mia mente fu percossa da un fulgore che in sua voglia venne. A l' alta fantasia qui mancò possa; ma già volgea il mio disio e 'l velle, sì come rota ch' igualmente è mossa, l' amor che move il sole e l' altre stelle".

lunedì 19 marzo 2012

I FIORI E IO


Mi piacciono i fiori: a quale donna non piacciono? Amo le rose di ogni colore, i tulipan senza profumo ma splendidi e orgoigliosi, le orchidee, specialmente quelle che ti regalano nella scatola trasparente immerse nel loro piccolo vasetto d' acqua, le margherite di " m'ama , non m' ama", le viole timide e colorate, i gigli, insomma potrei citarne tanti.
Amo amche il verde e le piante; la mattina, dopo aver sbrigato un po' di faccende, mi seggo in poltrona in quella che un tempo era la camera dei ragazzi e guardo il giardino che circonda casa mia. Gli alberi stanno cominciando a mettere le foglie; è uno spettacolo a vedersi. Venerdì erano piccole, tra gemma e foglia, minuscole; oggi erano più grandi anche se ancora di un verde tenero; poi di botto diventano verde più scuro e riempiono i rami degli alberi.
Ma, e questo è il problema, non ho il pollice verde. In cucina, ad esempio, mi riesce tutto bene, anche senza pesare gli ingredienti, " a occhio" come si dice a Napoli, riesco a preparare tanti piatti e anche a sperimentarne di nuovi.
Ma per piante e fiori, ohimè, non c'è niente da fare.
Credo che mi basti guardarli perchè appassiscano e, in breve tempo, muoiano.
Quando eravamo a Napoli, provai perfino con le piante grasse, quelle che crescono nei sassi e hanno bisogno di poca acqua: niente da fare, ebbero poca vita anche loro.
La signora filippina che viene ogni giorno da me a sbrigare le faccende se possibile è anche " più negata " di me.
Quando ci regalano una pianta o dei fiori in vaso, dopo pochi giorni di cure inutili mie e sue, sento nella sua voce una specie di esultanza quando mi dice: " Queste ora sono morte, mettiamo nella spazzatura!"
Devo confessare che amo molto le fotografie della mia nuova amica Alina Bartolini: ci sono piante e fiori di ogni colore e specie, rigogliosi, splendidi, con le spiegazioni circa il nome, le proprietà curative di ciascuna specie.
Ti voglio bene Alina, non mi privare dei tuoi fiori, mi illudo gurdandoli, di poter imparare, un giorno o l' altro a prendermene cura nel modo giusto.
So che non accadrà mai ma già averli sott' occhio mi dà l' illusione che possa succedere.
Grazie Alina!!!
Dopo questa nota non sarò più taggata nelle foto di " Vecchio bosco".
P.S. Alina in una delle sue foto parlava del 21 marzo e dell' equinozio di primavera; ho insegnato lettere per 38 anni amando italiano e storia e odiando la geografia ma quella astronomica, le stagioni, i moti della terra, il piano dell' eclittica, l' orbita ellittica, il perchè solo all' Equatore per tutto l' anno ci siano 12 ore di dì e 12 di notte, in quella ero imbattibile! La sapevo bene e la spiegavo con chiarezza! Wow, questo mi consola un po' per quanto riguarda la mia ignoranza circa il mondo vegetale!!!

sabato 17 marzo 2012

MY WAY


Oggi la mia amica Jacqueline ha postato un video di questa, che è la mia canzone preferita.
In genere la si ascolta con piacere, soprattutto nell' interpretazione di Sinatra. Questo video aveva, e mi è piaciuto molto, la traduzione in italiano.
Io amo questa canzone anche perchè mi sento orgogliosa di aver vissuto " a modo mio".
Per vivere così non c'è bisogno di essere trasgressivi ad ogni costo; basta esserlo " dentro"; rimanedo fedeli ai propri ideali, non dovendosi mai pentire o vergognare di un' azione anche se si va incontro all' impopolarità.
Io mi considero fortunata: se lo sia stata veramente o se tenda a vedere la parte piena del bicchiere, questo non lo so.
Ho avuto dei genitori, soprattutto mio padre, che a noi due figlie hanno regalato la libertà di vita e di pensiero negli anni '60, quando nessuna ragazza era libera.
Negli anni dell' Università, pur laurendomi a 23 anni, ho fatto qualunque " pazzaria" possibile; serate passate fuori fino a notte fonda, amici che andavano e venivano, qualche amorazzo senza importanza e qualcuno importante.
Se c'è un Paradiso spero che i miei genitori si stiano divertendo e molto così come hanno permesso a noi, senza fare nulla di male, di divertirci.
Ci hanno insegnato a vivere con leggerezza, ci hanno insegnato che noi non apparteniamo a nessuno e non possiamo avanzare pretese di possesso verso nessuno, marito e figli inclusi. E questo, vi assicuro, nella vita aiuta molto.
Sono stata fortunata perchè da 42 anni sto con lo stesso uomo, quest' anno sono 37 di matrimonio; non tutti i momenti sono stati belli, ci sono periodi in cui ti sembra di non riconoscere l' altro ma poi pensi che a ognuno di noi è concesso essere nervoso o distratto da altro; l' importante, credo, sia pensare che può capitare a lui ma anche a te e io non ho mai chiesto, indagato, preteso.
Poi gli anni passano, i figli crescono e vanno via ed è bello terminare come si è cominciato ma più amici, complici, ci si fa compagnia, si sta bene insieme, sono ore belle come quando si era ragazzi ma con qualcosa in più.
Sono stata fortunata per le ore passate con i figli: le assaporavo quando vivevano in casa sapendo che un giorno le avrei ricordate.
Dopo la laurea sono andati via presto, li ho incoraggiati; amo molto le loro visite e telefonate perchè sono spontanee non richieste o pretese da noi.
Ma quello che ho amato di più al mondo, la mia passione e divertimento è stato insegnare.
Cominciai a fare supplenze nei paesi di " camorra" e mi innamorai di un posto alla periferia nord di Napoli dove ho insegnato per tredici anni fino all' 87 quando per motivi di lavoro di mio marito siamo venuti a Milano.
Qua ho insegnato per 20 anni, prima nelle periferie degradate, poi in un" progetto nomadi" e infine gli ultimi dodici anni in una scuola " bene" dove però c' erano anche alunni " truzzi" che erano quelli che amavo di più.
Sono stata fortunata perchè, fregandomene di quello che pensavano i colleghi, ho sempre dato il mio numero di telefono alle famiglie degli alunni, ho ricevuto i genitori fuori orario, ho raccolto confidenze di ragazzi con genitori separati che nei compiti raccontavano le loro pene e poi mi pregavano di non far leggere i temi a casa.
Ho fatto studiare Dante e Manzoni e tante poesie a memoria ma un giorno a settimana era dedicato al Cineforum: era un progetto educativo studiato da me e testato per anni ma lo vivevamo insieme come puro divertimento; i ragazzi portavano patatine e pop-corn, si sedevano dove gli pareva, anche a terra.
Dopo avere visto il film facevamo tanto lavoro anche scritto come relazioni, critiche, trailer ma quello che rimaneva impresso era il divertimento.
Il giovedì sotto scuola mia c' era mercato: all' ultima ora di lezione qualche volta uscivamo, i ragazzi e io; andavamo a vedere le bancarelle, poi li portavo dal panettiere e offrivo a tutti la focaccia, la mangiavamo in classe e tutto questo ci dava un meraviglioso senso di trasgressione.
Sono stata fortunata perchè dopo essere andata in pensione sono venuta su fb e intere classi, quasi 200 persone, mi hanno chiesto l' amicizia.
Hanno età diverse: i più grandi quasi 50 anni, io ho cominciato presto, eravamo quasi coetanei, i più giovani quest' anno hanno la maturità.
E' stato come avere la lampada di Aladino: quante volte ci si domanda che fine avrà fatto quell' alunno, se quell' altro avrà realizzato i suoi sogni. Grazie a fb io lo so.
Sono fortunata perchè, ostinandoomi a insegnare " a modo mio", si stabilisce un filo sottile di amicizia e complicità che non esclude il rispetto e che dura per sempre; non ci sentiamo molto o spesso ma basta un augurio, una frase, un link postato ed è come se tutto fosse accaduto ieri.
Qualche volta, lo confesso, per pochi minuti ho nostalgia di scuola: mi manca il senso di avventura che per anni ha accomunato me e un' enorme schiera di alunni. I volti cambiavano ma il senso che ogni giorno dovessimo scoprire insieme qualcosa di meraviglioso era sempre uguale nel tempo.
Vorrei, ma solo per qualche istante, sentire l' odore di scuola: quell' odore misto di gesso, lavagna, cancellino, scarpe da ginnastica, sudore.
Ho lottato in modo silente ma ostinato per fare " a modo mio"; quante volte i colleghi insistevano sul distacco, la severità, dicevano che noi professori" siamo un gradino più su"; credo che confondessero autorità con autorevolezza: i ragazzi sono molto intelligenti e sanno quando e chi devono rispettare qualunque sia il grado di confidenza.
Ho lottato e molto ma sono contenta perchè penso, avendo agito " a modo mio" e credendoci, di aver vinto.
Almeno ho bei ricordi

TRA CALZINI CHE PARLANO


-- Uffi, quando è domenica e questi tre sono nel lettone siamo stretti anche noi! ---
-- Tu no che non sei stretto, il tuo proprietario è al centro e occupa mezzo letto! --
-- Zitta tu che sei antiscivolo e hai quella faccina dipinta; tu sei scomoda solo perchè la tua compagna, piede e gamba compresi è avvinghiata a lui ---
-- Fammi sognare, questa è stata una notte di fuoco e passione! --
-- Sempre uguali voi femmine, vi basta una notte e dimenticate litigi e incomprensioni --
-- ( languida) Che vuoi che ti dica, lui stanotte è stato splendido! --
-- ( burbero) Sì, lo ammetto ma vedi che idea questa tasca sotto dove mette il cellulare, speriamo che non dimentichi di toglierlo --
-- ( birichina) Giorni fa hanno litigato perchè lei gli ha trovato un secondo cellulare nascosto e lo ha accusato di avere un' amante; ma stanotte, ahhhh che notte!!! --
-- Poi rinfacci al mio di stare " spaparanzato" nel letto! Ha lavorato e di fino stanotte e lei non ha più dubbi sulla sua fedeltà! --
-- Ma, in fondo, tranne qualche scappatella, lui è una brava persona; passa le sere in famiglia, gioca col bambino --
-- Sì, ma in ufficio c'è quella nuova segretaria che gli fa gli occhi dolci, ho sentito che la moglie ne parlava ---
-- Ma sai gli uomini devono pur difendersi, dar prova di sè --
-- ( vocina) Ma di che cosa parlate, io sono solo perchè il bambino con l' altro piede fa il solletico al padre --
-- Zitta che questo è piccolo non facciamogli sentire queste cose! --
-- Ma che vuoi che capisca! Si è appena svegliato ed è ancora mezzo addormentato, come il bambino, felice vicino a noi come lui è felice vicino ai genitori! --
-- In fondo siamo stati fortunati! Siamo rimasti insieme, in una famiglia normale; solo qualche punta di gelosia femminile e un uomo che fa il galletto ogni tanto ma che bella famiglia e poi, queste domeniche mattina nel lettone, sono una pacchia anche per noi! --
-- Siamo una bella famiglia anche noi! --
-- Che ne sai che io non faccia gli occhi dolci a quell' altra antiscivolo con la faccina? ---
-- Zitto, non dire stupidaggini, ti tengo d' occhio, io! E poi, sei un tipo fedele tu! ---
-- Lo vedi che anche io ho fatto la mia parte stanotte e tu sei tutta zucchero e miele? --
-- Attento! Sento profumo di caffè; il riposo è finito, stanno per alzarsi e noi, faccia a terra a lavorare-
-- Ma' Pa', si alzano? --
-- Sì gioia si alzano, preparati ad andare a terra! --

Grazie a Mario Bozzi e a Luisa Cighetti, Velia leporati e tutti quelli che hanno parlto di calzini.
Il titolo è preso da una commedia di Rosso di San Secondo che pochi ricordano e si intitolava :" Tra vestiti che ballano".
Quando, tempo fa, andai a cercarla su Google: il motore ( che non è onnisciente ) mi chiese se avevo sbagliato a digitare; forse cercavo: " Travestiti che ballano "...tempi che cambiano!

mercoledì 14 marzo 2012

QUELLI DALL' ALTRA PARTE


Tutti sapevano che non dovevano avvicinarsi troppo e che non dovevano fare domande su quello che c'era oltre la rete.
Quello che si conosceva con certezza era che tantssimii anni prima un gruppo di persone unite tra loro da una serie di disgrazie avevano deciso di ritirarsi dal mondo e di rifugiarsi in quello spazio dove speravano che, grazie a una vita tranquilla, improntata ad austerità, rigore e onestà, il male potesse non entrare e mettere radici.
I loro antenati erano molto ricchi e in un certo periodo era stata costituita una fondazione che garantiva la presenza di un corpo di polizia privato che custodisse i confini e non permettesse a nessuno di entrare e di uscire.
Tra ragazzi erano in molti a parlarne e a sognare come potesse essere vivere una vita di perenne pace e tranquillità, godere di un' esistenza bucolica mantenendosi con i prodotti della terra, non conoscere guerre, inquinamento, potere; essere, grazie alla ricchezza, al passo con la moderna civiltà.
Spesso, d' estate, quando la sera tarda a calare, i giovani si avvicinavano per quanto lo permettevano le ronde e sognavano il mondo beato che c' era oltre la rete senza disoccupazione, problemi economici, conflitti, odi, invidie per il conseguimento del potere.
Una di quelle sere una coppia di fidanzati, approfittando dell' assenza di guardie, si avvicinò tanto da poter sfiorare quella rete lieve e tenace insieme.
Videro che, dall' altra parte c'era una ragazza: era bella, bionda; indossava una tunica sciolta lunga fin quasi ai piedi e raccoglieva fiori canticchiando sottovoce.
Si fecero coraggio e si avvicinarono; anche lei venne verso la rete. Prima circospetti, poi con più sicurezza le rivolsero la parola
La ragazza rispose nella loro lingua e, con sempre maggior naturalezza, come avviene tra giovani cominciarono a parlare.
Loro erano molto interessati mentre la ragazza non sembrava desiderosa di notizie su quanto accadeva dalla loro parte anzi pareva che non sapesse nemmeno dell' esistenza del mondo che c' era di qua.
Aveva una certa ingenuità, un' innocenza come se avesse vissuto solo di dolcezza e di pace.
Chiacchierarono: sembrava anche abbastanza istruita; sapeva guidare, aveva studiato scienze ed ora era decisa a intraprendere studi di medicina per potere, disse, rendersi utile agli abitanti del suo paese.
A un tratto, non seppero come, si parlò di giornali e la ragazza sembrò stupita, non sapeva cosa fossero. Le chiesero se vedesse la televisione; quella la vedeva ma trasmettevano solo programmi di varietà, canzoni, quiz; insomma nessuna notizia di politica o che venisse dal mondo esterno.
A un tratto il ragazzo chese se qualcuno di loro fosse mai uscito; lei rispose che, per quanto ne sapeva, le sembrava che nessuno ne avesse mai avuto voglia.
Il tragazzo chiese:" Ma, se lo voleste, sareste liberi di farlo?" E lei rispose:" Che significa liberi?"
I due fidanzati cercarono invano di spiegarle cosa significasse essere liberi; inutile, la parola libertà non esisteva nel vocabolario di quel popoli placido e felice!
Dopo un po' si salutarono; i due giovani tornarono indietro mano nella mano, tristi e insieme felici, nel nostro mondo imperfetto, iniquo, crudele, spesso senza pace ma dove almeno il significato della parola libertà lo conoscono quasi tutti anche tanti che ne sono privi e che lottano e danno la vita per conquistarla.

" Ho tanti fratelli, che non riesco a contarli: ma ho una sorella bellissima, che si chiama Libertà"- E. Che Guevara

martedì 13 marzo 2012

LA GRANDE RETE


C' era sempre stata, fin dove potevano risalire i ricordi degli abitanti del luogo e anche le storie tramandate loro dai padri e dai nonni.
Nessuno ricordava un tempo senza la grande rete.
Di cosa fosse fatta non era dato saperlo: era una sostanza più leggera della tela di un ragno, sottile e trasparente e al tempo stesso più dura e resistente di un filo di acciaio.
Si traccontava che qualcuno, in tempi remoti, avesse provato a romperla, a scalfirla ma nessuno vi era mai riuscito.
Si innalzava sopra un fabbricato e, ogni tanto, era interrotta come da tralicci per poi estendersi ancora, fin dove lo sguardo poteva arrivare.
Molti prima a piedi poi a cavallo e in tempi recenti in auto avevano cercato di seguirne il tracciato per poter vedere fin dove arrivasse ma erano tornati indietro sconfitti; sembrava proseguire all' infinito.
Si raccontava che un re secoli e secoli prima l' avesse fatta erigere; qua e là nella trama sembravano essere incastonati dei volti.
C' era chi diceva che fossero le immagini degli antichi regnanti e dei nobili loro cortigiani; altri sostenevano fossero ciò che era rimasto delle migliaia e migliaia di persone, forse schiavi o artigiani o prigionieri di guerra che avevano contribuito a erigerla.
Cosa ci fosse dentro non si sapeva: alcuni favoleggiavano di un grande tesoro per custodire il quale era stata costruita; altri sostenevano che ci fossero le tombe dei primi re e delle loro spose.
Solo un vecchio saggio aveva avanzato una volta una strana ipotesi: erano tutti sicuri che là "dentro" ci fosse qualcosa?
Non era possibile che la grande rete chiudesse loro "dentro" e fuori ci fosse qualcosa di grande, libero e infinito?
Ma poichè era vecchio non gli avevano prestato molta attenzione; vivevano bene, erano felici, la grande rete era sempre stata là e sempre ci sarebbe stata. Perchè porsi domande inutili?

IL GENIO DELLA LAMPADA


C' era una volta un signore gentile con tutti; era bravissimo nella rielaborazione di foto e creava veri capolavori: figure fantastiche, costruzioni elaborate, immagini magiche e bellissime.
Pochi conoscevano il suo vero aspetto ma non era importante, tutti lo apprezzavano per la sua abilità.
Un giorno un mago gli chiese di esprimere un desiderio, sarebbe stato accontentato.
Egli chiese di poter essere per un giorno il genio della lampada ( quella di Aladino ) in modo da poter, anche solo per poche ore, esaudire i desideri di tutti.
Chiese anche di acquisire nuove sembianze per non essere riconosciuto.
Il mago era vecchio ed era fuori esercizio; nel compiere l' incantesimo sbagliò la formula!
Il poveretto fu trasformato sì ma non divenne genio della lampada si trovò invece con la sola testa " in una lampada" anzi in un lampione.
Quest' ultimo faceva parte della foto di una sua amica; egli rimase intrappolato là dentro e per di più vide che un gabbiano stazionava sul lampione.
Non gli rimase che cercare di scacciarlo per evitare altre brutte sorprese; ma era paziente e sapeva che il tutto sarebbe durato solo poche ore.
Si ripromise, per il futuro, di non affidarsi incautamente a maghi anziani e fuori allenamento.
P.S. Un amico, commentando la foto del lampione e del gabbiano, ha espresso la sua ammirazione per la bellezza dei gabbiani romani.
Devo precisare, per dovere di cronaca, che quello era napoletano verace; i genitori erano due " luciani" come sono chiamati i nativi del quartiere di S. Lucia a ridosso di Piazza Plebiscito.
Quel giorno si trovava a Roma perchè era in viaggio verso Londra per la partita Chelsea- Napoli.
Come lo so? Me lo ha confessato lui, dicendo: " Forza Napoli! Viva il pocho Lavezzi! ".
Poi ha aggiunto, da buon napoletano:" Speramm ca nun abbuscamm! " ( Speriamo di non prenderle )

domenica 11 marzo 2012

LA PRINCIPESSA PRIGIONIERA



C' era una volta, come cominciano tutte le favole, una principessa.
Era, logicamente, figlia di un re; era bella e amava divertirsi e, come tutte le principesse di oggi, andava in discoteca, viaggiava, si recava alle sfilate di moda.
A suo padre il re, che era all' antica, non piaceva questa vita.
Avrebbe voluto che restasse al castello, filasse, dipingesse e un giorno o l' altro scegliesse un principe degno di lei che la sposasse e la portasse nel suo regno per fare di lei una regina.
Tra padre e figlia scoppiavano continue liti per questo motivo.
Un giorno al castello arrivò una vecchia che era una strega malvagia, invidiosa della bellezza della principessa.
Riuscì a entrare nelle grazie del re e lo convinse a far bere una pozione magica alla figlia; disse che sarebbe diventata tranquilla e docile.
Il re, ignaro, acconsentì; quando la principessa ebbe bevuto la pozione si trasformò in una statua di pietra ferma nel tempo, lei che era stata così vivace e piena di vita.
Solo il volto conservò qualche traccia dell' antica bellezza.
Al re, disperato, non restò che circondarla di fiori, tanti fiori, erbe e piante.
Ordinò a un mago suo amico che sulla testa della figlia il cielo fosse sempre azzurro e mise ai suoi piedi una guardia a lui fedele che le facesse compagnia.
Era disperato, aspettava giorno dopo giorno che la strega sciogliesse l' incantesimo o che giungesse un principe tanto innamorato della bella principessa da accettarla così com' era; solo in quel caso l' incantesimo sarebbe cessato e lei sarebbe tornata come prima.
Non sembravano esserci speranze per la povera principessa!
Accadde un giorno che un giovane principe arrivasse in quel luogo ed essendosi innamorato perdutamente di lei, provò in ogni modo ad annullare l' iincantesimo.
Erano ormai cambiati i tempi in cui bastava un bacio!
Allora egli, pur di non essere separato da lei, pregò il re di fargli bere la pozione magica così che potesse restare per sempre accanto alla sua amata.
Come nella storia de " Il principe Felice " di Oscar Wilde i due riuscivano a comunicare grazie alle rondini che, volando in primavera e in autunno, tornavano da loro, raccontavano storie di paesi lontani e riferivano all' uno i messaggi d' amore dell' altra e viceversa.
Sul pennone più alto del castello riprese a sventolare il vessillo giallo come le mimose che la principessa tanto amava: i cuori si erano un po' riaperti alla speranza; tutti erano certi che prima o poi i due innamorati avrebbero ripreso le loro sembianze umane.
Forse, come per il Principe Felice, se avessero compiuto qualcosa di veramente eccezionale, il loro destino sarebbe cambiato.
E un giorno qualcosa accadde: le rondini, tornando dai paesi lontani raccontarono storie di donne povere, abusate, vittime di violenze, che lavoravano giorno e notte perchè i loro figli potessero sfamarsi; di donne malate ma che non si davano per vinte e lottavano.
La principessa capì che per queste donne la giornata dedicata a loro poteva avere ancora un significato e, con il linguaggio che usava con le rondini, chiese loro di prendere tutti i fiori che la adornavano e di lasciarli cadere, come una pioggia profumata su qualunque donna che in quel giorno soffrisse.
Le rondini obbedirono; la principessa non aveva più i fiori ma sentì una grande gioia nel cuore e si commosse: due lacrime scesero dagli occhi e le bagnarono le guance.
Si accorse che poteva muovere un braccio, poi l' altro e corse verso il principe, lo baciò e anche per lui l' incantesimo ebbe fine.
L' unica cosa gialla che rimase al castello fu il vessillo che, trionfante continuò a sventolare per sempre sulla torre più alta.
Grazie a Mario Bozzi e alle sue splendide elaborazioni come questa che stimolano la mia fantasia

venerdì 9 marzo 2012

SOLA...


Non sapeva da quanto tempo fosse arrivata là; l' ultima cosa che ricordava era la finestra della sua camera, di sera e la luna che splendeva lassù nel cielo!
Quanto tempo era passato? Si mosse con cautela; le sembrava di essere leggera, quasi senza peso.
Intorno un paesaggio brullo, desolato: montagne, laghi, tutto avvolto come in una nebbiolina leggera.
Mosse con cautela un passo, poi un altro: era come se i pedi si posassero senza sforzo a terra, se terra si poteva chiamare quel suolo strano.
Provò a guardare lontano...ecco in fondo all' orizzonte c' era una sfera che si muoveva con lentezza.
Anche i suoi occhi, ora, le permettavano di vedere oggetti lontani; forse nemmeno con gli occhi, li vedeva con una strana percezione del pensiero.
Capì che quella sfera che vedeva era la terra ma dove si trovava ora, avvolta com'era in questa strana luminosità?
Continuò ad avanzare: le vennero in mente i versi de" L' Orlando Furioso" quelli nei quali Astolfo va sulla Luna in groppa all' Ippogrifo per recuperare il senno di Orlando :
"Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
sono là su, che non son qui tra noi;
altri piani, altre valli, altre montagne,
c'han le cittadi, hanno i castelli suoi
con case de le quai mai le più magne
non vide il paladin prima né poi:
vi sono ample e solitarie selve,
ove le ninfe ognor cacciano belve."
Arrivò a un laghetto e immersa com' era in quella luce diffusa, si specchiò; vide una strana creatura, una piccola esile E.T. al femminile circondata da un alone di luce che la rendeva incorporea, leggera.
Capì: per uno strano scherzo del destino, contemplando la luna era diventata parte di quella, un essere diverso; sarebbe rimasta così per sempre oppure le sarabbe dato di tornare sulla terra? Forse avrebbe trovato altri esseri simili alla lei di adesso, trasformati in creature lunari.
Rimase ad aspettare, bianca, esile e leggera, qualcosa sarebbe accaduto...!
Grazie a Mario Bozzi e Maria Emanuela Massari che con le rispettive splendide elaborazione uno e fotografia l' altra hanno messo " le ali " alla mia fantasia!

mercoledì 7 marzo 2012

ALESSANDRO MANZONI




220 anni fa nasceva Alessando Manzoni. Ebbe una vita lunga, due mogli, molti figli. Di carattere era ipocondriaco, aveva mille tic e fisime; soffriva di claustrofobia e di agorafobia.
Nonostante tutto, come romanziere e poeta è stato uno dei più grandi mai esistiti.
La sua idea più originale fu, in un' epoca in cui c'era un italiano letterario antiquato e pomposo, scrivere " I Promessi Sposi " in fiorentino colto parlato; alcuni, oggi, arricciano il naso di fronte al fatto che due contadini lombardi dell' 800 parlassero toscano! Ringraziamo Dio che parlassero italiano e non padano, almeno in un' opera letteraria.
Nel romanzo seppe coprire tutta la gamma dei sentimenti; c'è la comicità nella notte degli imbrogli e in tanti episodi che riguardano don Abbondio; c'è la disperazione ( autobiografica) e il pathos che porta alla conversione nella tremenda notte dell' Innominato; c'è la tristezza di chi lascia la propria terra nell' addio ai monti di Lucia e nella fuga di Renzo quando attraversa l' Adda; c'è il coraggio dell' umiltà dopo una vita da guascone nella figura di fra' Cristoforo; c'è la materia delicatissima che è forse il primo ritratto realista della nostra letteratura quando si accosta al personaggio di Gertrude, la Monaca di Monza.
Ricordiamo che Manzoni viveva in una Milano dove le sue stesse figlie parlavano e scrivevano solo in dialetto lombardo o in francese.
Possiamo dire che, prima della televisione è stato colui che ha diffuso l' italiano nella nostra penisola
Non dimentichiamo i cori delle tragedie: gli italiani imbelli del primo coro dell' Adelchi:" Tornate alle vostre superbe ruine all' opere imbelli dell' arse officine, ai solchi bagnati di servo sudor..."; la figura splendida di Ermengarda, figlia di Desiderio e moglie di Carlo Magno, da lui ripudiata: " te collocò la provida sventura in fra gli oppressi:..."
E ricordiamo infine " Marzo 1821 ", ode in cui, per la prima volta Manzoni enuncia il moderno concetto di nazione: "...una d'arme, di lingua, d' altare, di memoria, di sangue e di cor...".

domenica 4 marzo 2012

L' 8 MARZO E LA FESTA DELLA DONNA


Il 25 marzo del 1911 ci fu un incendio alla «Triangle Shirtwaist Company» di New York (a Washington Square, nella zona industriale Est di Manhattan), che produceva le camicette alla moda di allora: ma erroneamente si è diffusa la credenza secondo cui la tragedia sarebbe avvenuta l’8 marzo. Nel rogo morirono 146 operai di cui 129 donne, quasi tutte camiciaie immigrate italiane ed ebree dell’Europa dell’Est. Erano rinchiuse a chiave nello stabilimento durante il lavoro per il timore di furti o di pause troppo lunghe: 62 di loro nel disperato tentativo di scampare alle fiamme si lanciarono dalle finestre dell’edificio, alto 10 piani. Alcune avevano 12 o 13 anni e facevano turni di 14 ore al giorno: la settimana lavorativa andava dalle 60 alle 72 ore con un salario dai 6 ai 7 dollari la settimana. Gli unici superstiti furono i proprietari della fabbrica, Max Blanck e Isaac Harris, che si misero in salvo senza preoccuparsi di liberarle. Il processo che seguì li assolse e l’assicurazione pagò loro 445 dollari per ogni operaia morta: il risarcimento alle famiglie fu di 75 dollari. In migliaia parteciparono ai funerali.

Se noi l' 8 marzo celebriamo la commemorazione di quell' evento, sono d' accordo! Per principio sono contraria a una " festa della donna" in genere, alle mimose e a tutto il resto.Trovo discriminante che ci sia una festa della donna e non una festa dell' uomo, dei bambini, dei negri, degli omosessuali, dei magri, dei grassi, dei " così e così "! Siamo tutti esseri umani e tutti degni, per ciò stesso, di uguale rispetto! Ogni giorno è la festa di tutti noi!
Se possibile, quel giorno, non vorrei ricevere auguri particolari, mi sento una persona e basta...